Intervento all’incontro “Uomini e religioni” di Aachen

Laici e credenti: agenda per il nuovo millennio

E’ ormai tradizione che, negli incontri “Uomini e Religioni”, non manchi un momento di confronto tra laici e credenti. E, penso, con qualche originalità. I primi tentativi di dialogo in genere si fanno risalire agli anni Cinquanta, quando cristiani e marxisti si incontravano per cercare un contatto sul baratro che divideva il mondo in due. Ma era un confronto più tra due “religioni” che tra due culture. Il mondo più propriamente laico, di fatto, sfuggiva a questo bipolarismo, anche perché non era caratterizzato da quel messianismo che segnava, invece, sia il cristianesimo che il marxismo. Il Concilio Vaticano II e Paolo VI, oltre al dialogo con le confessioni cristiane e le altre grandi religioni mondiali, aprirono la Chiesa all’incontro con la modernità. E trovarono nel mondo laico una sponda attenta. E questa volta non si trattava più di un incontro tra due Chiese, ma tra due tradizioni culturali che si ritrovarono, potremmo dire, nella comune radice ebraico-cristiana.
Fermandomi all’interno di questi nostri incontri, posso dire che la Comunità di Sant’Egidio li ha vissuti sotto quell’ispirazione, semplice e profonda, indicata da Giovanni XXIII: cercare anzitutto quel che unisce e mettere da parte quel che divide. Questo, prima ancora che un esame dei contenuti, ha significato un modo di rapportarsi che, appunto, senza sopprimere le differenze fa evitare però lo scontro. In un tale orizzonte, la discordia non significa inimicizia, la differenza non equivale a disastro, e l’altro non è più il nemico da sconfiggere e abbattere. Al contrario, il dialogo ha significato un’opportunità per accomunare laici e credenti nella comune battaglia per la pace, per la giustizia, per la difesa dell’uomo e la costruzione di un mondo nuovo.
Chi ha seguito l’itinerario di questi incontri ha potuto constatare che si sono toccate corde profonde, direi spirituali, e non si sono fermati nelle secche di una politica di corto respiro. Fin dall’inizio è parso necessario andare al fondo delle nostre ragioni e del nostro impegno. Ricordo, ad esempio, l’incontro avvenuto qualche anno tra Felipe Goncales e il sottoscritto. Nel lungo dibattito, è stata chiara la rinuncia a tutti i fondamentalismi, religiosi e laici. E si auspicava una concordia tra laici e credenti su un comune denominatore etico per affrontare i gravi problemi che il mondo contemporaneo si trova a dover vivere. Questa frontiera si è allargata e ha preso diversi toni nei diversi paesi. Gli amici francesi potrebbero parlarcene a lungo, e ce ne parleranno. Ricordo per parte mia l’interessante dibattito tutto interno al mondo laico, come quello tra il Luc Ferry e De Sponville, ambedue non credenti. Per loro la posta in gioco non è la scelta tra trascendenza e immanenza, bensì tra materialismo e spiritualità. Ma poi si è aperto il tema sulla “laicità”, un mistero francese. In Italia, se da una parte il dibattito si è fatto molto vivace, dall’altra rischia di bloccarsi nelle maglie della politica, perdendo così l’orizzonte “religioso” o “spirituale” che gli è proprio. In taluni casi il dibattito si è ristretto all’ambito politico chiedendosi se i credenti debbono o no mettere da parte la loro fede per essere davvero democratici. Ma non mi dilungo su questo. Altro respiro, invece, presentano posizioni più attente alla dimensione etica o culturale del cattolicesimo, penso a Perniola che delinea il cattolicesimo come la forma culturale più alta di una religione universale. Parafrasando Benedetto Croce dice: “perché non posso non dirmi cattolico”; ma di un cattolicesimo inteso come “una fede senza dogma” o “senza ortodossia”.
Ma quel che a mio avviso è sempre più urgente far emergere in tali dibattiti è la categoria della spiritualità o, se volete, dell’oltre, dell’altro, del mistero. Se per un verso, infatti, si sostiene la necessità di una morale, di un’etica dei comportamenti, e sono in tanti ad augurarselo, dall’altra se ne vede anche l’insufficienza se ci si pone di fronte alle questioni sollevate dalla nuova situazione del mondo che vertono sul senso stesso dell’uomo e dell’esistenza. Riprendendo il pensiero del noto filosofo ebreo, Habraham Heschel, potremmo dire che la crisi contemporanea non è dovuta anzitutto a conflitti economici, ma ad una paralisi spirituale. E cita Isaia: “Gli inviati di pace piangano amaramente…I patti sono rotti, i testimoni disprezzati, non c’è rispetto per l’uomo” (33,8).
E’ singolare che anche tra i laici si inizia a parlare esplicitamente di “fede laica”, di “religiosità laica” da recuperare. Norberto Bobbio, un noto filosofo laico italiano, non solo supera la vecchia controversia che opponeva la religione allo stato, ma giunge a sostenere la necessità della “religione” per la stessa democrazia: “A meno che non esista un’altra forza capace di toccare le motivazioni interiori all’azione, bisogna accettare l’idea della necessità della religione”. E coglie nella dimensione del mistero il punto di congiunzione tra fede laica e fede religiosa: “Se fede laica vuol dire fede nell’uomo, mi domando se questa non sia altrettanto soggetta al dubbio quanto quella religiosa. Allora non resta che il senso, che può anche essere angoscioso, ma è l’ultimo termine cui giunge la nostra ragione, del mistero. Non è forse questo senso del mistero che unisce profondamente e indissolubilmente gli uomini della fede laica e quelli della fede religiosa?”
Davanti al nuovo millennio, davanti alla globalizzazione, il dialogo laici-credenti deve ruotare attorno ai grandi interrogativi sull’uomo e sul destino del pianeta. Credo sia questa la via per prenderci sul serio tra noi e per evitare la banalizzazione e l’autoreferenzialità. Per ambedue è facile restare chiusi nei propri recinti, religiosi o laici. Al contrario, bisogna praticare quella che Paul Ricoeur chiamava la “ospitalità delle convinzioni”. Ne guadagneremo tutti. Se si scende al fondo delle proprie fedi, o delle proprie convinzioni, è più facile incontrarsi. Ed è qui che si coglie quell’energia che muove i santi e gli spiriti alti. Il vescovo Pietro Rossano, nell’incontro di Varsavia, diceva: “Riteniamo di poter affermare che la santità salverà il mondo. Perché soltanto essa è capace di muovere liberamente gli uomini a servire Dio e i fratelli”. Laici e credenti debbono avere un sussulto spirituale, e si ritroveranno di fronte alle antiche e ingenue domande di sempre: possiamo sperare di costruire un mondo senza violenza, senza miseria, senza egoismo? Ma questa volta non soli, bensì assieme e con nuova energia.


L’INCONTRO DI AACHEN 2003