Intervento al congresso sulle cure palliative

Oggi la comunità scientifica delle cure palliative riconosce alle religioni un ruolo importante nel dare impulso concreto a questa forma di accompagnamento della persona malata o morente, data la capacità delle religioni stesse di raggiungere le periferie dell’umanità, coloro che all’interno di una comunità sono sotto qualche profilo maggiormente bisognosi. Questo certamente è vero. Ma le religioni sono e fanno molto di più. Le religioni non sono solo funzionali a raggiungere una maggiore presenza delle cure palliative laddove ve ne sia il bisogno, ma sono esse, le religioni, tra le forze vere delle cure palliative. L’attenzione integrale alla persona viene mortificata dalla logica economicista che tende a colonizzare le culture e le società contemporanee. Il frutto di tale logica non può che essere la cultura, o meglio l’anti-cultura, dello scarto. Una lettura dell’esistenza umana e della realtà che valorizzi l’esperienza religiosa consente di vedere e affermare un bene che va al di là e non corrisponde alla misura del calcolo. Il riconoscimento della costitutiva apertura alla trascendenza della persona consente di affermare che nella vita umana, anche quando è fragile e apparentemente sconfitta dalla malattia, vi è una preziosità intangibile. Le cure palliative incarnano una visione dell’uomo di cui le grandi tradizioni religiose sono custodi e promotrici: è questo il contributo più profondo e incisivo che ne possono ricevere, in termini di motivazione e di ispirazione. Le cure palliative rappresentano oggi per tutti noi una proposta concreta che si inserisce in un contesto di povertà di amore per l’essere umano e di crisi dei legami sociali che da un generico disimpegno sta giungendo a una vera e propria disintegrazione sociale che coinvolge tutte le forme comunitarie a partire dalla famiglia. La societas, come comunione di uomini al di là delle forme istituzionali che si scelgono, è necessaria all’uomo-individuo per la sua stessa realizzazione. Se l’individuo non è asservito alla società, questa neppure è puramente strumentale alla realizzazione dell’individuo; essa è piuttosto condizione per la realizzazione di ogni uomo. È difficile fare crescere l’umano in una società dai rapporti desertificati. L’io, come sempre più viene concepito dalla postmodernità, diviene attore di dissoluzione, non di legami; di esclusione, non di inclusione; di liquefazione, non di solidificazione. È dunque irrinunciabile mettere in gioco non solo logiche di problem-solving (espressione di un pragmatismo che rimane in superficie), ma il sogno epocale di un nuovo umanesimo per tutti e di una fraternità universale da ricostruire. Reinventare una nuova fraternità è la sfida antropologica e sociale dei nostri giorni e mandato specifico che Papa Francesco ha consegnato alla Pontificia Accademia per la Vita in occasione del venticinquesimo anniversario della sua istituzione. Anche su questo le religioni hanno una parola specialissima da dire. La dipendenza – luogo dell’humanum caro alle religioni e alle cure palliative – è un aspetto della condizione umana, ma più propriamente dovrebbe essere apprezzata come un valore umano irrinunciabile, quando scelta liberamente: l’io trova il suo compimento nella relazione, quindi nel noi. Il noi è non meno innato dell’io. E che l’esistenza di ciascuno si svolga in un movimento permanente in cui passiamo dall’io al noi è un’evidenza. L’umanesimo deve necessariamente essere solidale. Il compito di “custodire” l’altro e il creato è ben diverso dall’atteggiamento prevaricatore, predatorio, distruttivo così spesso attuati dall’uomo (non solo verso la natura e la terra, ma anche verso il fratello, specie quando è percepito come un intralcio o non più utile per i propri scopi). La comunità delle cure palliative testimonia un nuovo modo di convivere che mette al centro la persona e il suo bene a cui non solo l’individuo, ma l’intera comunità, nella reciprocità, tende. In questa comunità il bene di ciascuno è perseguito come bene per tutti. Le cure palliative rappresentano un diritto umano e vari programmi internazionali si stanno adoperando per attuare ciò; ma il vero diritto umano è continuare ad essere riconosciuto e accolto come membro della società, come parte di una comunità.

Berlino, 23 maggio