Inaugurazione del restauro Seminario regionale umbro

Questa santa Liturgia dona un sapore particolare alla inaugurazione del Seminario restaurato dopo il terremoto. Dopo aver visitato i vari luoghi ci siamo ora raccolti qui, nella cappella, che ne rappresenta il cuore. Di qui infatti sgorga l’intera vita del Seminario, da questo altare viene plasmata la vostra vita, cari seminaristi. E in questo altare, in questa cappella, possiamo dire che sono simbolicamente presenti tutti gli otto altari delle rispettive cattedrali delle nostre Chiese umbre. Non è solo un caso che oggi siamo presenti tutti gli otto vescovi delle Chiese dell’Umbria. Il seminario è nel nostro cuore, nelle nostre preghiere, nei nostri pensieri, nelle nostre preoccupazioni pastorali. E desideriamo – anche a partire dai lavori di restauro – che divenga sempre più un luogo privilegiato della vita pastorale della nostra Regione. Sì, c’è bisogno di legare ancor più fortemente il Seminario alle Chiese diocesane e viceversa. E inaugurarlo nel corso dell’anno sacerdotale sottolinea ancor più questo desiderio. E’ bello perciò che oggi anche tanti ex alunni possano partecipare a questa straordinaria festa.
Il Vangelo di Cana che ci è stato annunciato ci suggerisce alcune riflessioni in proposito. A Cana Gesù opera il primo dei sette miracoli, dei sette segni, narrati nel quarto Vangelo. E in quel giorno, dopo che Gesù aveva trasformato l’acqua in vino, i discepoli cedettero in lui. Non fu una manifestazione di potenza e tanto meno di maestria di quel profeta. Gesù non voleva stupire il maestro di tavola e gli altri commensali facendo servire un vino migliore. Gesù voleva piuttosto toccare il cuore dei discepoli perché credessero in Lui, perché comprendessero che valeva la pena mettersi al suo seguito. E non è forse anche questo quello che deve accadere nel Seminario? Non dovete, cari seminaristi, mentre state nel Seminario lasciarvi toccare il cuore e la mente per seguire Gesù nella via del sacerdozio? Non dovete diventare come quei servi che sanno portare ai commensali della vita un vino buono?
Spesso, in particolare oggi, il vino dell’amore, della felicità, manca nella tavola della vita della nostra società umbra. E non solo. Sì, possiamo dire anche noi al Signore, come fece Maria: “non hanno più vino”. Anche la gente che frequenta le nostre comunità cristiane spesso appare poco felice. Un sacerdote straniero che opera qui in Umbria, rivolto ai fedeli durante l’omelia disse loro: “Perché siete tristi anche quando cantate?”. C’è un tristezza diffusa. E’ come se non ci fossero più i colori, intendo dire i sentimenti belli, forti, quelli che richiedono anche sacrificio, attenzione, coraggio, creatività, impegno, rinuncia. Ci si accontenta dell’acqua delle sei giare, ad ogni stagione della vita. I giovani – purtroppo ora anche i nostri adolescenti – per avere qualche sensazione forte si rifugiano nell’alcool, o nella droga o in gesti duri e violenti. Gli adulti si rassegnano ad una vita piatta e gli anziani si auto convincono che non debbono essere di peso e si rassegnano alla solitudine.
Ma non è questo quel che il Signore vuole. Maria, la madre di Gesù, attenta a quanto sta accadendo, rivolge al Figlio la sua preghiera: “Non hanno più vino!”. E’ una preghiera audace che vuole forzare la volontà di quel Figlio. E’ la preoccupazione materna della Chiesa che non si rassegna alla vita banale e triste che gli uomini e le donne stanno conducendo. E innalza la sua preghiera perché il Signore intervenga ancora. Di fronte alla risposta ferma di Gesù, Maria non si ferma e si rivolge ai servi dicendo loro: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. E’ un bel consiglio. Cari seminaristi, queste parole, debbono suonare particolarmente vicine a voi, visto che qui invochiamo Maria con il titolo di Madonna del Buon Consiglio. Sì, Maria diede a quei servi un buon consiglio. Essi lo accolsero e obbedirono. Forse non compresero bene quelle parole, ma obbedirono. E parteciparono a quel miracolo. Quel che ora fanno i servi con il vino, lo faranno poi gli apostoli con il pane moltiplicato. E’ Gesù che compie il miracolo, ma la distribuzione è fatta dai servi, dagli apostoli.
Non pochi Padri commentano questo primo segno di Gesù legato all’Eucarestia. Potremmo allora raccogliere la vita del Seminario in quella frase di Maria “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. La formazione nel Seminario è racchiusa in questa frase: diventare servi dell’altare, servi di quel miracolo del nuovo vino e del pane santo. Ecco perché oggi l’inaugurazione trova qui, attorno all’altare il suo vero significato. E’ qui, è l’altare, il fonte e il culmine della vostra formazione, anzi della vostra vita. Potremmo dire che tutto di voi, tutto del sacerdote, tutto del vescovo, tutto della Chiesa, nasce e culmina all’altare. Al termine della vostra formazione, sentirete anche voi cari seminaristi, come lo ha sentito ciascuno di noi,m vescovi e sacerdoti: “Fate questo in memoria di me”. Potremmo dire che nell’altare si riassume l’intera opera del Sacerdote.
Papa Giovanni XXIII, quand’era Patriarca di Venezia, esortava tutti a fissare lo sguardo sull’altare. Era l’altare prima del Concilio, e vi si ponevano il Libro e il Calice, oggi potremmo dire: l’ambone e l’altare, la Bibbia e il Calice. E diceva che erano l’alfa e l’omega della vita del prete: “Nel libro, la voce di Cristo sempre risonante nei nostri cuori; nel calice, il sangue di Cristo presente a grazia, a propiziazione, a salute nostra, della santa Chiesa e del mondo. Le due realtà vanno assieme… fra l’una e l’altro seguono tutte le lettere dell’alfabeto, ossia tutti gli affari della vita individuale, domestica, sociale; tutto ciò che è importante pure, ma è secondario in ordine al destino eterno dei figli di Dio, e che non vale se non in quanto è sostenuto dalle due lettere terminali: cioè la Parola di Gesù sempre risonante in tutti i toni nella Santa Chiesa dal libro sacro: ed il sangue di Gesù nel divino sacrificio, sorgente perenne di grazie e di benedizioni”.
Questa convinzione gli fece dire ai fedeli, il giorno del suo ingresso al Laterano come vescovo di Roma: “E’ dunque sull’altare che amiamo invitarvi a cercare sempre il vescovo e il sacerdote, nell’atto di distribuire il corpo e il sangue del Signore…”. Se ci chiediamo perciò dove sta il sacerdote, la risposta è chiara: lo possiamo vedere in tanti luoghi del mondo e in tanti aspetti della vita della Chiesa, ma il suo posto è l’altare. Il sacerdote lo vediamo a partire dalla mensa dell’Eucarestia. Qui è il cuore del suo ministero. C’è un legame indissolubile tra il sacerdote e l’altare. Noi preti, noi vescovi, nasciamo come tali proprio dall’altare. E dobbiamo vivere presso l’altare. Qui è il cuore della nostra esistenza. Papa Giovanni aggiungeva: “E’ dall’altare; è da questo monte santo che dobbiamo guardare le cose terrene, giudicarle e servircene. Anche le questioni più gravi in cui talora si dilania la umana convivenza, di là debbono prendere il principio di una giusta soluzione”. Il prete, il vescovo, debbono guardare la vita, i problemi, i drammi, dal monte santo dell’altare: con uno sguardo liturgico, si potrebbe dire. Guardare le cose dall’altare vuol dire vederle in maniera diversa che da casa propria o dalla strada. C’è un’originalità dello sguardo dall’altare che riguarda prima di tutto colui che presiede la celebrazione liturgica e colui che serve ad essa. Sì, bisogna cominciare a guardare la vita – anche la propria – dall’altare, cioè nella prospettiva della liturgia.
Cari seminaristi, comprendete allora la preziosità degli anni della vostra vita nel Seminario, direi attorno a questo altare. Forse non è casuale che la sistemazione attuale non sia compiuta. Certo la sistemazione definitiva va pensata nell’orizzonte a cui ho accennato. E’ come dire che l’ambone e l’altare debbono crescere dentro di voi, nella vostra mente e nel vostro cuore, perché siate sempre annunciatori del Vangelo e ministri del pane della vita e del calice della salvezza.