Gmg: messa a Terni

Gmg: messa a Terni

 


Care sorelle e cari fratelli che in questi giorni siete con noi a Terni. Il Signore volga il suo sguardo su di voi e vi benedica.


 


Siamo stati davvero lieti di avervi accolto nelle nostre case. Siete stati una benedizione per noi. Proprio l’altro giorno, mentre stavo in una libreria, ho ascoltato due giovani sposi che dicevano ad un loro amico: “Abbiamo accolto due giovani provenienti dal Brasile. E’ stata per noi e per i nostri figli una benedizione. Ora siamo dispiaciuti che se ne vanno”. Debbo confessarvi che per me è stata una gioia sentire queste parole. Sì, tutti voi siete stati una benedizione di Dio per la nostra diocesi. Nella Lettera agli Ebrei si scrive: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolti degli angeli senza saperlo” (Eb 13, 2). E voi, in certo modo, siete stati degli angeli per noi. Ho davanti ai miei occhi la festa di ieri sera. Era bella. Sì, eravamo tutti un po’ come gli angeli, felici di stare accanto al Signore.


Andremo insieme Roma, pellegrini verso quella croce che, nei giorni prossimi, vedremo piantata in mezzo al “popolo di giovani” provenienti da ogni paese. Quella croce, care sorelle e fratelli, non è un segno vuoto. Quella croce, quella povera e semplice croce di legno, dal 1984, quando partì da Roma per la prima volta, ha traversato i continenti, ha traversato le grandi città del pianeta. Essa è senza ornamento e senza pietre preziose, perché vuole essere la testimonianza delle infinite croci che ancora pesano sulle spalle di milioni e milioni di uomini e di donne, di milioni e milioni di bambini e di anziani, di milioni e milioni di giovani e di adulti. Tutti noi vogliamo portare sotto quella croce tutte le croci del mondo.


 


Questa santa liturgia somiglia molto alla tappa del profeta Elia. Il profeta si trovava all’aperto, come noi siamo all’aperto questa sera, senza alcuna protezione se non quella del ginepro, un piccolo arbusto. Elia era triste e scoraggiato perché era perseguitato. Noi, che non siamo certo nella situazione del profeta, rischiamo di fermarci perché ci addormentiamo nel nostro egoismo. Ebbene, anche a noi l’angelo ci dice: “Alzati e mangia!” Forse la nostra pigrizia è più forte di quel che pensiamo, e l’angelo insiste: “Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”.


 


Sì, alzati e mangia! Alzati dalla tua pigrizia, alzati dall’amore per te stesso, alzati dalla tua indifferenza! E mangia! Mangia la Parola di Dio, mangia il Vangelo e nutriti del pane della vita e del calice della salvezza! Il Signore Gesù, infatti, è la Parola che si è fatta carne: “Io sono il pane disceso dal cielo”. Nella sinagoga di Cafarnao, al sentire questa affermazione, tutti iniziarono a mormorare contro di lui, e si chiedevano: “Come può dire che viene dal cielo?” Essi sapevano bene che Gesù veniva da Nazareth, un piccolo villaggio di confine che neppure godeva di buona fama. E Nazareth non era certo il cielo! E poi, conoscevano bene i genitori; ricordavano persino i loro nomi. Non era quindi possibile che quel giovane profeta venisse dal cielo. Eppure lo scandalo di allora, tanto spesso diviene lo scandalo di oggi. Diviene anche il nostro scandalo, quando pensiamo che il Vangelo sia debole o comunque ingenuo; quando pensiamo che non abbia la forza di cambiare i cuori e la storia; quando pensiamo che quel pane e quel vino consacrati non abbiano una energia capace di trasformare noi stessi e il mondo.


 


Quel che si dice di Gesù, del Vangelo e dell’Eucarestia, si applica anche alla Chiesa. Potremmo chiederci: com’è possibile che noi giovani, deboli e senza potere, possiamo essere strumento della salvezza? Eppure questo è il cuore stesso della fede cristiana: Dio sceglie le cose deboli per confondere i forti. Dio ha mandato un uomo mite ed umile di cuore per salvare il mondo. Questo mistero che scandalizza la nostra cultura contemporanea è, in verità, una grande liberazione. In che senso? Nel senso che non abbiamo più bisogno di fare sforzi sovrumani per poter comprendere qualcosa del cielo, che non dobbiamo fare salti mortali per poter raggiungere il Signore, che non abbiamo più bisogno di mediatori raffinati e sofisticati per comunicare con Dio. Tutti indistintamente, piccoli e grandi, sapienti e ignoranti, ricchi e poveri, santi e peccatori, tutti possiamo avvicinarci a Dio mangiando il pane eucaristico e ascoltando il Vangelo. Perché nell’Eucarestia e nel Vangelo incontriamo Gesù, il suo corpo e la sua parola. “Dio, nessuno l’ha mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1,18). Pertanto, se vogliamo vedere il volto di Dio guardiamo Gesù; se desideriamo conoscere la volontà di Dio indaghiamo quella di Gesù; se desideriamo comprendere l’agire di Dio vediamo le opere di Gesù.


 


Gesù è la nostra salvezza. Egli continua a dire: “Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia”. A leggerle con attenzione è difficile, in effetti, non scandalizzarsi. Forse noi vi abbiamo fatto una tale abitudine da non sentirne più la forza dirompente di queste parole. L’equivoco tuttavia non è possibile: Gesù è la salvezza per il popolo d’Israele come la manna lo fu nel deserto. Sì, l’Eucarestia e il Vangelo sono la manna per la nostra vita; sono un dono incredibile da accogliere. Come non rimanere stupiti per tanta misericordia da parte di Dio? Quale mente umana avrebbe potuto osare tanto? Solo lo straordinario amore di Dio per gli uomini ha potuto escogitare e realizzare il dono del suo Figlio come pane spezzato e come Vangelo. Gesù è il pane vivo, disceso dal cielo. “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”.


 


Care sorelle e cari fratelli, accogliamo il Signore nella nostra vita. Sia egli il nostro compagno. Ci sarà fedele per sempre. E anche noi, come Elia, riprenderemo le forze per un nuovo cammino: “Con la forza datagli da quel cibo, Elia camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb”(1 Re 19,8). Il profeta fece il cammino del popolo d’Israele all’indietro, percorrendo tutto il deserto fino al monte ove Mosé aveva incontrato Dio, come riprendere l’energia genuina, come per attingere alla fonte. Anche noi andremo a Roma per incontrare, assieme a Giovanni Paolo II, il Signore Gesù risorto. Sì, vogliamo attingere ancora una volta alla fonte della vita. Sì, vogliamo incontrare il Signore risorto, e con lui entrare nel nuovo secolo, nel nuovo millennio. Non vogliamo entrare in questo secolo da soli, con le nostre chiusure, le nostre abitudini tristi, la nostra indifferenza. Entreremo avendo accanto un amico buono, con un cuore largo, che allargherà anche il nostro cuore. E assieme con lui andremo incontro agli uomini e alle donne dei nostri paesi perché si aprano anch’essi all’amore. Care sorelle e cari fratelli, apriamo il nostro cuore al Vangelo e all’Eucarestia e anche il mondo si aprirà all’amore.