Giornata di riflessione ebraico-cristiana

Giornata di riflessione ebraico-cristiana

“Ricordati del giorno di sabato per santificarlo” (Esodo 20,8)
 
Con questo incontro riprendiamo a riflettere assieme, ebrei e cristiani, sul senso del quarto comandamento. Ovviamente la coincidenza con la visita di Benedetto XVI al Tempio Maggiore conferisce un sapore tutto particolare a questa nostra riflessione. E non posso fare a meno, prima di presentare qualche riflessione sul Sabato, di fermare l’attenzione su ciò che questa visita vuole sottolineare, ossia il valore e la irreversibilità del dialogo ebraico-cristiano. Per tutti i cattolici, la scelta fatta dal Concilio Vaticano II costituisce un punto di non ritorno su come concepire e vivere i rapporti tra cristiani ed ebrei. Nel corso degli ultimi quaranta anni l’impegno perché i dettami conciliari passassero nella coscienza comune dei fedeli è stato notevole. E dobbiamo riconoscere che in prima fila ci sono stati gli stessi Pontefici. Tutti ci siamo resi conto quanta fosse lunga la strada da percorrere. Oggi però possiamo affermare con soddisfazione che, nonostante le increspature che di volta in volta possono accadere, non solo sono stati superati quei pregiudizi che nel passato hanno contribuito al diffondersi di sentimenti antisemiti e antigiudaici, ma si sono stabilite nuove relazioni, si è rafforzato il dialogo, si è approfondito il legame storico e spirituale del cristianesimo con l’ebraismo. E si può dire con certezza che si tratta di un cammino ormai irreversibile. Ci sono infatti alcuni “punti fermi” che costituiscono una piattaforma nel dialogo ebraico-cristiano da cui non ci si può più allontanare.
 
Punti fermi nel dialogo ebraico-cristiano
 
E partirei da quello “punto fermo” che con il cardinale Martini chiamerei imperativo teologico: «L’amore per Israele non è un’opzione per i cristiani, bensì un imperativo teologico che condiziona l’annuncio della salvezza. Nello stesso tempo dobbiamo rispettare l’identità di fede della comunità d’Israele, riconoscendo che il piano misterioso di salvezza, nel quale siamo stati innestati, riguarda sempre anche il popolo dell’Alleanza mosaica».[1] Questo richiede ai cristiani una consapevolezza storica delle tragedie che hanno colpito il popolo ebraico per generare non solo un senso di dolorosa solidarietà ma anche per giungere «alla confessione umile delle nostre complicità, ripudiando ogni forma di antisemitismo e guidandoci sul cammino della teshuvà».[2] Ci sono tre principi basilari che trovano nella Bibbia il loro fondamento: a) Dio non ha revocato la sua alleanza con Israele; b) nel Cristianesimo e nel Giudaismo sussistono profonde differenze, ma anche una comunanza fondamentale; c) «Espressione e realizzazione di questa attuale comunità di percorsi è il dialogo ebraico-cristiano».[3] E va notato inoltre – è l’allora cardinale Ratzinger a scriverlo – che «mai il Nuovo Testamento chiama la Chiesa ‘il nuovo Israele’»;[4] al contrario, dalle Scritture deriva una conclusione di solidarietà tra le due comunità di fede: «Ben lontana quindi dal sostituirsi a Israele, la Chiesa resta solidale con esso».[5]
Vi è ancora un’altra implicazione importante riguardo alle sacre Scritture e al loro posto nel dialogo e che deve essere ancora affrontato nelle sua potenzialità. Il documento della Pontificia Commissione Biblica Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, afferma che la lettura ebraica della Bibbia «è una lettura possibile, che è in continuità con le sacre Scritture ebraiche dell’epoca del secondo tempio ed è analoga alla lettura cristiana, che si è sviluppata parallelamente a questa».[6] Ne consegue l’urgenza per i cristiani, dopo la Shoà, di promuovere «un rinnovato rispetto per l’interpretazione giudaica dell’Antico Testamento»,[7] poiché «i cristiani possono imparare molto dall’esegesi ebraica praticata per 2000 anni» (ibid.). Ed è stato significativo che nel Sinodo sulla Parola di Dio svoltosi in Vaticano nel 2008 sia stato invitato anche un rabbino per esporre la visone ebraica circa le Sante Scritture.
E credo che si possa anche aggiungere che il recente dialogo di Ratzinger-Bendetto XVI con il rabbino Neusner ha riportato in posizione centrale, accanto alla Scrittura, alla storia ed ai Comandamenti, la persona e il mistero di Gesù in rapporto a Israele e alla Torà. Da un rinnovato dialogo, rispettoso e franco, su Gesù, sul suo «grande posto nella storia della fede d’Israele» (Buber), potranno brillare meglio le fiaccole della fede ebraica e cristiana, per servire umilmente tutte le genti, ed anche la Chiesa potrà meglio comprendere il suo proprio mistero e la propria missione.[8]
Un altro aspetto nel quale emerge la singolarità del rapporto Israele-Chiesa è quello del peculiare percorso salvifico ebraico. C’è chi afferma che «rispetto all’Ebraismo non può esserci alcuna missione istituzionalizzata»[9] da parte cristiana. Infatti, il “no” ebraico a Gesù come Messia-Cristo vuole essere un “sì” fedele a Dio,[10] e assolve alla funzione di mantenere i cristiani tesi verso l’orizzonte escatologico.[11] In ogni caso, tenendo ovviamente salda la fondamentale libertà di coscienza di ogni uomo rispetto alla scelta della propria fede, le due comunità – quella del ‘Primo Testamento’ e quella dell’Alleanza ‘rinnovata’ – «sarebbero l’unico popolo in cammino»[12] verso una piena comunione «sotto il segno dell’unico progetto di salvezza del mondo»[13] che richiede la risposta ebraicamente denominata come impegno per il Tikkun olam, ovvero la cura amorevole del mondo bisognoso di redenzione. Più volte si è sottolineato il tema della comune speranza ebraico-cristiana verso il compimento del regno messianico: «I due popoli [Israele e la Chiesa] restano accomunati nel segno di una ricchissima tensione messianica».[14]
Da queste considerazioni scaturisce una ineludibile chiamata alla reciproca accoglienza tra ebrei e cristiani: «la Chiesa – scrive l’ebreo Peter Hunermann – è obbligata a dare accoglienza agli ebrei, che appartengono al popolo di Dio attuale a causa della preistoria» della salvezza,[15] una preistoria che è però «ancora efficiente», così che «se la chiesa vedente delle nostre cattedrali del Medioevo non abbraccia la sinagoga cieca, non avrà futuro».[16] Reciprocamente, si può egualmente dire, come nota Carmine di Sante, che proprio «dialogando con il popolo eletto e amato da Dio, la Chiesa riscopre meglio se stessa: le sue “radici”, il suo mistero, il suo volto, la sua identità», e «scopre di essere ospite del popolo eletto da Dio e di sedere a mensa con i figli di Abramo».[17]
E qui permettete almeno un cenno su quello che chiamerei “ecumenismo abramitico”. Sappiamo che Abramo, venerato da ebrei, cristiani e musulmani, è considerato come padre spirituale di una moltitudine di credenti.[18] Il Dio di Abramo, d’Isacco e d’Israele è il medesimo Dio creatore, che si rivela nella storia. Sappiamo tuttavia che le tre famiglie religiose, benché fiorite dall’unico tronco della tradizione abramica, nel corso dei secoli e dei millenni hanno tenuto prevalentemente un atteggiamento di diffidenza reciproco e di esclusivismo, sviluppando sistemi dottrinali e scuole di pensiero a volte molto differenti.[19] A parte rari esempi di vero dialogo, solo a partire dal secolo XX si può dire si sia compiuta una vera svolta, che ebbe nel Concilio Vaticano II la sua Magna Charta più alta e significativa con la programmatica Dichiarazione Nostra aetate[20] e poi con l’evento di Assisi che ha liberato non poche energie di pace e di incontro all’interno delle tre grandi religioni abramitiche. Consapevoli di una eredità in parte comune, nonostante un passato segnato da notevoli incomprensioni, polemiche e persecuzioni, oggi il dialogo tra le tre religioni deve riprendere il suo itinerario sia in estensione che profondità.[21] Più volte abbiamo toccato con l’amico Di Segni questa dimensione del dialogo, o meglio del “trialogo”. Del resto «il futuro dell’Europa e del Medio Oriente nel terzo millennio dipenderà in maniera decisiva dalla capacità di ebrei, cristiani e musulmani di approdare o meno a questa fraternità abramica».[22]
Ma torniamo al rapporto fra ebrei e cristiani. L’incontro tra le due fedi che abbiamo visto ormai robusto può e deve crescere con maggiore speditezza. E questo può accadere più facilmente se inserito in un dialogo con Dio “Padre nostro” al quale i figli e le figlie esprimono fiducia, adorazione, ringraziamento e speranza nella prova. Le preghiere delle rispettive tradizioni – evitando accuratamente sincretismi e confusioni – possono arricchire la riflessione, nutrire gli spiriti, preparare alla contemplazione, illuminare nell’azione. E la preghiera potrà farsi grido d’implorazione in tempi di calamità, orazione di pace per Israele, per la Chiesa e per il mondo, come fu quella innalzata dal Rabbino capo di Roma Elio Toaff – a cui vorrei inviare da questa sede i miei più affettuosi saluti – ad Assisi nel 1986,[23] o quella formulata da Schalom Ben-Chorin: «Possano i popoli riconoscere in questo coro [di preghiere] la chiara voce di Israele e ad essa rispondere. E Israele possa riconoscere che nella preghiera della Chiesa risuona l’eco della sua stessa preghiera su tutta la terra […] Quanto l’ultimo dei profeti ha gridato ai suoi contemporanei della casa di Israele e Giuda vale oggi per l’intera umanità: “Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio?» (Malachia 2, 10).
Le Dieci Parole, patrimonio comune
Com’è noto, sono ormai cinque anni che, di comune accordo, ebrei e cattolici italiani, hanno scelto di riflettere assieme sulle Dieci Parole. E’ un passo ulteriore nel dialogo tra le due fedi e si addentra in una prospettiva non solo di amicizia ma di confronto spirituale e teologico. Seguendo la scansione ebraica siamo giunti a riflettere sulla Quarta Parola: “Ricordati del giorno di sabato per santificarlo”(Esodo 20,8). L’idea mi venne a seguito dell’intervento di Benedetto XVI in Germania nella Sinagoga di Colonia a poche settimane della sua elezione: «Incoraggio un dialogo sincero e fiducioso – disse Benedetto XVI – tra ebrei e cristiani: solo così sarà possibile giungere ad un’interpretazione condivisa di questioni storiche ancora discusse e, soprattutto, fare passi avanti nella valutazione, dal punto di vista teologico, del rapporto tra ebraismo e cristianesimo”. Benedetto XVI, sottolinea quindi che tale dialogo non deve passare sotto silenzio le differenze esistenti e neppure minimizzarle, anzi esse debbono essere occasione di mutuo rispetto. Ma poi indica qualche pista per la continuazione del dialogo trai credenti delle due fedi: “Il nostro ricco patrimonio comune – continuava il Papa – e il nostro rapporto fraterno ispirato a crescente fiducia ci obbligano a dare insieme una testimonianza ancora più concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo e della sacralità della vita umana, per i valori della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo. Il Decalogo (cfr Es 20; Dt 5) è per noi patrimonio e impegno comune».[24]
Più tardi, durante l’incontro personale con il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, il Papa precisava il suo pensiero aggiungendo che «in Cristo noi partecipiamo della vostra stessa eredità dei Padri, per servire l’Onnipotente “sotto uno stesso giogo” (Sofonia 3, 9), innestati sull’unico tronco santo (cfr. Isaia 6, 13; Romani 11, 16) del Popolo di Dio. Ciò rende noi cristiani consapevoli che, insieme con voi, abbiamo la responsabilità di cooperare al bene di tutti i popoli, nella giustizia e nella pace, nella verità e nella libertà, nella santità e nell’amore».[25]Le “Dieci Parole”, considerate come il miglior riassunto dell’intera Torà, sono una parola di perenne valore anche per la Chiesa. Ebrei e cristiani assieme sono chiamati a comunicarle all’intera umanità.
“Ricordati del giorno di sabato per santificarlo”
Il “Sabato” viene benedetto e santificato al momento stesso della creazione, come è scritto nelle prime pagine della Torà: “Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto, e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando”(Gen 2, 2-3). Dio stesso pertanto santifica il Sabato e ben prima della consegna delle Dieci Parole a Mosè sul Sinai. Ne fa infatti il culmine stesso della creazione. Il rabbino Di Segni ne parlerà con molta più competenza di me, ma credo che sia utile qualche intreccio di riflessione. Molte riflessioni sul Sabato risuonano nel sentire cristiano. Le suggestive pagine sul Sabato di uno studioso come A.J.Heschel, per fare un esempio tra tanti, coinvolgono ebrei e cristiani in un sentire vicino. Heschel parla di “amore per il Sabato”: “Questa espressione – scrive – è rara nella nostra letteratura, e tuttavia per più di duemila anni l’emozione ha riempito i nostri canti e le nostre anime. Era come se un intero popolo fosse innamorato del settimo giorno. Molto del suo spirito può essere compreso soltanto come esempio di un amore portato all’estremo”[26]. Il Sabato è paragonato ad una sposa e come tale è accolto dal popolo credente. E’ di straordinaria bellezza l’inno Lechà Dodi (Vieni, o mio diletto) che si canta nella sinagoga mentre arriva il Sabato, composto a Safed dal mistico Salomone Alcavez verso il 1550:
 
«Vieni, o mio diletto, incontro alla sposa, accoglieremo l’arrivo del Sabato.
L’obbedire e il ricordare con un’unica parola
ci fece ascoltare il Signore.
Il Signore è Uno, il suo Nome è Uno per fama, per gloria, per lode.
Incontro al Sabato venite e andiamo, poiché esso è fonte di benedizione,
dai tempi più antichi fu consacrato,
fu al termine dell’opera della creazione,
ma nel pensiero di Dio era all’inizio.
 
Il Sabato è il tempo dell’ascolto della Parola di Dio, del riposo, della lode, della comunione gioiosa, del ricordo della creazione, dell’Alleanza, della redenzione pasquale e quindi della gioia: «Fate attenzione a ricordare sempre il giorno di sabato e, nel caso ti capitasse qualcosa di bello, serbalo per il sabato», commenta Rashi di Troyes, grande esegeta ebraico medievale. E’ infatti la festa del “ricordo dell’opera dell’inizio”, come si dice nella preghiera serale. Ma in esso è presente già la fine del tempo. Il ricordo della creazione apre lo spirito alla comunione con ogni creatura, e in particolare con ogni persona umana, nella quale si rispecchia e rivela l’immagine e la somiglianza divina. Il Sabato, tempo di riposo divino (cfr. Esodo 31, 15-17) e di distensione, diviene così occasione anche per una solidarietà nuova verso il prossimo che si allarga a tutte le creature. Il grande canto del Sabato diviene così un canto di tutta la famiglia umana e dell’universo intero, cogliendo così anche le dimensioni sociali ed ecologiche tipiche della cultura contemporanea (cfr. Esodo 23, 12). Né si deve dimenticare quanto si afferma nella Mechiltà: «Il Sabato è stato dato a voi, e non voi al Sabato» (su 31, 13). I rabbini «sapevano che la religiosità esagerata può mettere in pericolo il compimento dell’essenza della legge: “Nulla è più importante, secondo la Torà, che salvare la vita umana…Anche quando vi è soltanto la minima probabilità che una vita sia in gioco, si può trascurare ogni proibizione della legge”. Si devono sacrificare le mizvoth per amore dell’uomo, anziché sacrificare l’uomo per amore delle mizvoth.»[27] Anche il Vangelo testimonia questo stesso spirito che pone l’uomo al centro: «Gesù non viola mai la santità di tale giorno. Egli con autorità ne dà l’interpretazione autentica: “Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Marco 2, 27).»[28] Il Sabato insomma mostra la presenza di Dio nella vicenda umana.
In questa linea Heschel può affermare: “I sabati sono le nostre grandi cattedrali; e il nostro Santo dei Santi è un santuario che né i Romani né i Tedeschi sono riusciti a bruciare, un santuario che neppure l’apostasia può facilmente distruggere: il Giorno dell’espiazione. Secondo gli antichi rabbini, non è l’osservanza del Giorno dell’Espiazione, ma il Girono stesso, ‘l’essenza del Giorno’ che, con il pentimento dell’uomo, espia le colpe di quest’ultimo”.[29] E l’autore sottolinea che l’ebraismo è una religione del tempo che mira alla santificazione del tempo. E’ una prospettiva quanto mai attuale. Contesta infatti in maniera robusta anche se sottile la civiltà della tecnica che fa della conquista dello spazio e dei beni il suo scopo. Accrescere il potere sullo spazio e sui beni è il principale obiettivo di tale civiltà. Ma sappiamo bene che avere di più non significa essere di più. E’ il tempo biblico, ossia lo scorrere dei giorni, come presentato nelle Scritture appare come il cuore stesso dell’esistenza.[30] Esiste un regno del tempo – sottolinea Heschel – in cui la meta non è l’avere ma l’essere, non l’essere in credito ma il dare, non il controllare ma il condividere, non il sottomettere ma l’essere in armonia. La vita è indirizzata male quando il controllo dello spazio e la conquista delle cose dello spazio diventano la nostra unica preoccupazione.

Potremmo dire che l’architettura del tempo è il genio dell’ebraismo. E’ nel tempo che avviene l’incotnro con Dio, perché è nello scorrere dei giorni, nella storia concreta del popolo di Israele che Dio ha rivelato la sua amicizia e la sua compagnia con l’uomo. Il sabato, “settimo giorno” della creazione, diviene il luogo della organizzazione della vita del popolo ebraico. E, in effetti, nella sua storia millenaria il popolo ebreo ha potuto vivere per secoli senza il tempio, mai senza il sabato. Questa concezione religiosa del tempo come luogo dell’incontro con Dio ha segnato in maniera indelebile la comunità cristiana. Non dobbiamo dimenticare che all’inizio la comunità cristiana continuava ad osservare il sabato. Ma al di là dell’osservanza rituale qual che è centrale per ambedue le fedi è il tempo inteso, appunto, come il luogo nel quale Dio si rivela agli uomini. In tal modo il tempo degli uomini non è estraneo e tanto meno opposto a Dio e alla sua eternità; al contrario, è il luogo della Rivelazione di Dio. Ed ha una dimensione lineare, con la creazione all’inizio e la nuova creazione alla fine dei tempi.
Potremmo dire: come il Sabato culmina la creazione, così il Sabato eterno culmina la Storia umana. E’ una concezione notevolmente diversa da quella greca che vede il tempo come uno sviluppo circolare, ossia come un avvicendarsi di cicli con il mito dell’eterno ritorno e quindi radicalmente privo di speranza. La concezione del tempo unisce in maniera strettissima ebraismo e cristianesimo. Per cui, se nella mentalità greca la storia non ha un fine, non è dominata da un “télos”, e l’uomo, per soddisfare il suo bisogno di rivelazione e di liberazione, non può che ricorrere ad una mistica atemporale che pensa in categorie spaziali, per ebraismo e cristianesimo il tempo è il luogo della salvezza e del progressivo realizzarsi della rivelazione e della liberazione del mondo.
Si afferma così il primato assoluto di Dio, che solo conosce e abbraccia la linea infinita del tempo e della storia. Egli solo è l’eterno, il “re dei tempi”, come scrive anche Paolo. E la sua sovranità si rivela nel manifestare dentro la storia il suo mistero. Nello scorrere del tempo Dio e l’uomo si incontrano e interagiscono: è la storia reale nel suo svilupparsi. Il tempo di Dio e quello dell’uomo non sono separati, sono intimamente correlati e si intersecano nella prospettiva dello sviluppo, della crescita e della salvaguardia di tutto il creato. Questa concezione salvifica del tempo ci libera dal mito dell’eterno ritorno e dalle catene di una prigionia umana senza speranza. E’ una concezione particolarmente salutare in questo tempo di globalizzazione e di spaesamento ove l’uomo può apparire in balia totale di un destino cieco e ingovernabile. Il Sabato rompe le catene del fato, spacca il cielo chiuso che ciascuno si costruisce a propria immagine e somiglianza e ci permette – come nota Heschel – di prenderci “cura speciale dei semi di eternità piantati nella nostra anima”.[31]
Non mi dilungo oltre, ma credo sia opportuno a questo punto sottolineare che non è senza significato il fatto che per i cristiani la centralità  del tempo viene compresa “il primo giorno dopo il sabato”, come scrivono gli autori del Nuovo Testamento. La citazione biblica neotestamentaria indica quel singolare rapporto di vicinanza e rottura assieme che definiscono le due fedi. “Il primo giorno” della settimana ebraica sottolinea simbolicamente l’operosità di Dio creatore, che di nuovo chiama l’uomo e la donna a collaborare alla sua opera di amore riprendendo il lavoro quotidiano, sospeso durante il Sabato, a “prendersi cura del mondo” (Tikkùn Olàm). Nella tradizione cristiana, l’attesa messianica si completa con l’azione del Padre che ridà vita al Figlio, il quale ricapitola in sé tutte le cose e affida ai redenti la responsabilità di cooperare alla pienezza della redenzione. Ebrei e cristiani sono sollecitati dalla divina volontà a rivolgere a Dio il loro sguardo e a porsi a servizio, gli uni e gli altri, per il bene del prossimo, dell’umanità nel suo insieme e dell’intero universo creato.
Il tempo, anche quello della vita di ciascuno di noi, ci immerge in quel pellegrinaggio universale che ci porta verso la Gerusalemme, pacificata e redenta, come predetto da Isaia (Isaia 66, 18-24). E’ il sogno e l’impegno di ebrei e cristiani. E desideriamo ambedue che gli altri popoli si uniscano verso il Sabato eterno. Nella visione cristiana questo pellegrinaggio verso la Gerusalemme pacificata s’intreccia con la tensione complementare ed opposta con cui Dio fa scendere dall’alto la Gerusalemme celeste, come una sposa pronta per il suo sposo, dono messianico (Apocalisse 21-22). Insieme siamo dunque uniti nell’invocazione di Davide che invita alla danza tutte le genti in cammino, intrecciando cori tra cielo e terra per vivere assieme il Sabato eterno di Dio:
«Le sue fondamenta sono sui monti santi
Il Signore ama le porte di Sion
Più di tutte le dimore di Giacobbe.
Di te si dicono cose stupende
Città di Dio.
Ricorderò Raab e Babilonia fra quelli che mi conoscono
Ecco, Palestina, Tiro ed Etiopia
Tutti là sono nati.
Si dirà di Sion: “L’uno e l’altro è nato in essa
E l’Altissimo la tiene salda”.
Il Signore scriverà nel libro dei popoli
“Là costui è nato”.
E danzando canteranno
“Sono in te tutte le mie sorgenti».
 
 

[1] Carlo Maria Martini, Verso Gerusalemme, cit., pp. 170-171.
[2] Ivi.
[3] Ibid., p. 112.
[4] Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, Prefazione di Joseph Ratzinger, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2001, p. 152, nota 301.
[5] Ibid., p. 152, § 65.
[6] Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, cit., n. 22 (citato da Joseph Ratzinger nella Prefazione, p. 12).
[7] Ibid., pp. 12 e 55.
[8] Un’interessante rassegna di studi storici su Gesù è esposta e commentata da Gabriele Boccaccini, Gesù ebreo e cristiano: sviluppi e prospettive di ricerca sul Gesù storico in Italia dall’Ottocento a oggi, in «Enoch» 29 (1/2007), pp. 105-154.
[9]  Così, secondo Erich Zenger, L’alleanza mai revocata. Inizi di una teologia cristiana dell’Ebraismo, in Chiesa ed ebraismo oggi ,  cit., p. 130, va interpretato il testo della Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana.
[10] «Non credo che Dio vorrebbe altrimenti» come risposta da parte dell’ “Israele eterno”, afferma Neusner nel suo dialogo immaginario, cfr. Disputa immaginaria tra un Rabbino e Gesù, cit., p. 165.
[11] Erich Zenger, L’alleanza mai revocata. Inizi di una teologia cristiana dell’Ebraismo, in Chiesa ed ebraismo oggi ,  cit., p. 134.
[12] Bruno Forte, Israele e la Chiesa, i due esploratori della Terra Promessa. Per una teologia cristiana dell’Ebraismo, in Il dialogo ebraico-cristiano dalle origini a oggi, (Chiesa ed Ebraismo oggi, cit., p. 101).
[13] Ivi, ibid.
[14] Ivi, p. 102.
[15] Peter Hünermann, La relazione ebraico-cristiana: una scoperta conciliare e le conseguenze metodologiche nella teologia dogmatica, in Il dialogo ebraico-cristiano dalle origini a oggi, cit., p. 142.
[16] Ibid., p. 145.
[17] Carmine di Sante, Dialogo ebraico-cristiano, cit., p.545.
[18] Cfr. Karl-Josef Kuschel, Streit um Abraham. Was Juden, Christen und Muslimen trennt – und was sie eint, R. Piper GmbH & Co. KG, München, 1994; tr. it. La controversia su Abramo. Ciò che divide – e ciò che unisce ebrei, cristiani e musulmani, Queriniana (Giornale di teologia, 245), Brescia, 1996.
[19] Per l’ebraismo si veda Isidore Epstein, Judaism, a historical presentation, 1959; tr. it. Il giudaismo. Studio storico , Feltrinelli Economica, Milano, 19822; Giuseppe Laras, Storia del pensiero ebraico nell’età antica, Giuntina (Collana «Schulim Vogelmann», 130), Firenze, 2006; per l’Islam cfr. Miguel Cruz Hernández, Historia del pensamiento en el mundo islámico, I. Desde los orígenes hasta el siglo XII en Oriente, II. El pensamiento de al-Andalus (siglos IX-XIV), III. El pensamiento islámico desde ibn Jaldūn hasta nuestros dias, Alianza Editorial, madrid 1996; ed. it. A c. di Bruno Chiesa e Roberto Tottoli, Storia del pensiero nel mondo islamico, voll. III, Paideia, (Philosophica. Testi e studi, 3-5) Brescia 2001.
[20] Il testo completo latino-italiano della Dichiarazione, con introduzione, si trova in Fratelli Prediletti. Chiesa e popolo ebraico. Documenti e fatti: 1965-2005. Prefazione di Walter Kasper, a cura di Pier Francesco Fumagalli, Mondadori, Milano 2005; sui rapporti con l’Islam cfr. Augusto Tino Negri, Relazioni e dialogo tra cristiani e musulmani, in L’Islàm. Storia, dottrina, rapporti con il cristianesimo, Centro Federico Peirone, Elledici, Leumann, 2004, pp. 269-295; per un approfondimento del dialogo ebraico-cristiano – anche in rapporto all’Islam – si può vedere, P.F.Fumagalli, Roma e Gerusalemme. La Chiesa cattolica e il popolo d’Israele. Postfazione di Riccardo Di Segni, Mondadori, Milano 2007. 
[21] Richard W. Bulliet, The Case for Islamo-Christian Civilization, Columbia University Press, 2004; tr. it. di Leonardo Capezzone, La civiltà islamico-cristiana. Una proposta, Laterza, Roma-Bari 2005.
[22] Karl-Josef Kuschel, La controversia su Abramo, cit., p. 426.
[23] Il testo della preghiera pronunziata in quella Giornata mondiale di preghiere per la pace dal Rabbino Capo di Roma, Elio Toaff è pubblicato anche in Roma e Gerusalemme, cit., p. 269.
[24] Benedetto XVI, Discorso nella Sinagoga di Colonia, 19 agosto 2005, in «Information Service», 119 (2005/III), pp. 147-148.
[25] Benedetto XVI, Discorso al Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, 16 gennaio 2006, in «Information Service», 121 (2006/I), p. 19.
[26] Abraham Joshua Heschel, Il Sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, Rusconi, Milano 1972, p. 29.
[27] Id., ibidem, p. 29.
[28] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2173.
[29] Heschel, Il Sabato, p. 12.
[30] Abraham Joshua Heschel, L’uomo non è solo, Milano 1970, p. 206.
[31] Heschel, Il Sabato, p. 21