Gesù, bambino ebreo e palestinese

Un altro Natale è alle porte. E sono certo che, anche a motivo dei tempi difficili che stiamo attraversando, è un giorno che attendiamo. E facciamo bene. Anche se non ne comprendiamo fino in fondo il senso e il valore, tutti sappiamo però che non è la festa dell’egoismo, ma della pace. Gesù viene a portare la pace. E tutti siamo come invitati ad andare a Betlemme. In effetti, le chiese si riempiono alla Messa di mezzanotte. E noi, come quei primi pastori, ci stupiamo. Giustamente. Allora – nota l’evangelista – quei pastori se ne tornarono pieni di gioia per quel che avevano visto e udito. In effetti il Vangelo che ascoltiamo in quella notte ci disegna le radici di Gesù, della sua crescita. E ci viene in mente allora la sua vita da bambino, che non possiamo disgiungere dalla situazione odierna della sua terra. Gesù era ebreo. Da piccolo ha imparato a pregare, forse sotto la guida di Giuseppe. Il venerdì ed il sabato si recava nella sinagoga di Nazareth; lì come ogni maschio ha ascoltato la Scrittura e da adulto l’ha letta; e possiamo immaginarlo nel coro dei bambini della sinagoga, il venerdì sera, quando cantava «viene amico, incontro al sabato»: Crebbe ebreo con gli ebrei, cantò con loro, chiamò Dio con loro e, nei momenti drammatici della sua vita, come nella Passione si affidò a lui. Ma Gesù bambino lo immaginiamo anche piccolo palestinese, rimasto nella sua terra, seppure in situazione difficile (oggi, molti dei palestinesi cittadini dello stato israeliano sono sotto i 14 anni); oppure come un bambino palestinese, figlio di emigrati, fuori della sua terra sparso in tante altre terre ove è sempre straniero. “Fuggi in Egitto …” disse l’angelo a Giuseppe. E quanti sono nell’attesa di udire che finalmente hanno anche loro una patria! Gesù Bambino lo vediamo allora mentre prega nelle sinagoghe prima di tante stragi, ma lo vediamo anche nei campi palestinesi ove aspetta di sentire quella voce che richiama il figlio nella sua patria. Questo bambino nasce comunque in un luogo strano. Dal Vangelo di Luca sappiamo che Maria incinta, alla vigilia del parto, fini col dare alla luce il Figlio suo in una mangiatoia. Di questo dice il Vangelo – ed è una delle frasi del Vangelo di Natale più importanti e decisive per capire il senso di una memoria che non smette d’essere sacramento – «non c’era posto per loro nell’albergo». Non c’è posto in albergo per il bambino ebreo, non c’è posto per il piccolo palestinese, e non non c’è posto per tanti poveri, deboli, malati, anziani, stranieri. E quanti posti mancano ancora nell’albergo della vita e quanti sono costretti a stare nelle mangiatoie! Il Natale è il giorno in cui veniamo messi di fronte al mistero di Dio che si fa vicino e si fa conoscere in un bambino. E’ lo scandalo che anticipa quello della croce. Noi crediamo nel Dio dell’amore e della debolezza che, bisognoso di tutto, è vicino ai “piccoli” e ai deboli. Con questo tipo di amore è venuto a cambiare il mondo. E’ un Dio che mentre si fa simile, è sempre tanto più diverso da noi stessi. Abbiamo bisogno di lui. Abbiamo bisogno del Natale.