Francesco, icona vivente di Cristo
La prima visita di Benedetto XVI ad Assisi è segnata dalla volontà di riproporre all’attenzione di tutta la Chiesa quel mistero che è la conversione di san Francesco.
Gli storici calcolano che sia avvenuta ottocento anni fa. È un’occasione davvero opportuna per tornare con la mente e il cuore a quei momenti che lo stesso Francesco volle ricostruire alla fine della sua vita nel testamento che lasciò ai frati. L’inizio è sorprendente: “Il Signore concesse a me, frate Francesco, di cominciare così a far penitenza, poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara di vedere i lebbrosi. E il Signore mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo”.
Francesco afferma che la sua conversione parte dall’abbraccio con il lebbroso. Lui, che viveva una vita tranquilla come tanti giovani di allora ma con un’ansia di felicità che gli bruciava nel cuore, dovette uscire da Assisi e lungo le mura si imbatté in un lebbroso. Voleva evitarlo, come chiunque di noi avrebbe fatto. Ma resistette, fece l’elemosina al lebbroso e poi lo baciò. Non bastava un gesto (l’elemosina), era necessario l’amore (il bacio). I poveri infatti chiedono anzitutto amore. E questo incontro gli cambiò il sapore della vita. In effetti, l’incontro con i poveri allarga e affina gli occhi del cuore. È invece sempre più normale per la nostra società essere guidati dall’istinto ad andare oltre, a passare dall’altra parte, quando vediamo un povero.
Ma se ci fermiamo, anche gli occhi del cuore si aprono. E potremmo dire che Francesco, affinato dall’incontro con il lebbroso, poté contemplare il volto nel Crocifisso di San Damiano e ascoltare la sua voce. Nella Vita seconda si narra che Francesco, già “tutto mutato nel cuore” passò accanto alla chiesa di San Damiano; davanti al Crocifisso, vide che Cristo gli parlava: “Francesco, va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”.
L’incontro con i poveri e l’ascolto del Vangelo, potremmo dire, sono la via della conversione anche per noi. Se la pratichiamo anche noi riceveremo, come fu per lui, la compassione di Gesù, ossia un’energia nuova che guida i nostri passi verso tutti e particolarmente verso i più poveri. In quel giorno di ottocento anni fa Francesco comprese che doveva restaurare quella chiesetta e iniziò a farlo. Man mano che metteva in pratica quel che aveva ascoltato, la casa del Signore diveniva sempre più grande: era la comunità dei fratelli che si allargava. Era questo il senso del sogno che fece il Papa la notte prima di ricevere Francesco: il palazzo del Laterano, accanto alla cattedrale di Roma, stava crollando, senza che il Papa potesse fare niente, finché un uomo piccolo e vestito malamente con le sue spalle riuscì a sostenere la cattedrale in rovina.
Era Francesco, che ancora oggi “ripara” la nostra Chiesa con il suo esempio, il suo messaggio, la sua testimonianza. Non è un caso che, da Giovanni XXIII in poi, i Papi siano venuti a pregare sulla sua tomba nei momenti più delicati del proprio pontificato o della storia del mondo: basti pensare agli incontri interreligiosi voluti da Giovanni Paolo II, il primo in piena guerra fredda, il secondo dopo l’11 settembre. Il giovane ricco, figlio di un mercante, dopo avere incontrato il lebbroso e il Crocifisso, aveva incominciato il restauro della casa del Signore. Aveva, cioè, trovato la sua strada. Francesco ci dice con la sua vita che è possibile il miracolo di un uomo ricco che, come un cammello, passa per la cruna di un ago. Sono passati 800 anni da quando Francesco convertì il suo cuore alla vita evangelica, e ancora oggi si viene in pellegrinaggio ad Assisi – il semplice fedele come il Papa – per incontrarlo; per lasciarsi toccare il cuore da un uomo che ha avuto il coraggio di prendere sul serio non sé stesso ma il Vangelo, vivendolo alla lettera, e divenendone quindi una vera e propria “icona”.