Esequie di Mauro Zannori

Esequie di Mauro Zannori

Genesi 1, 26-28;  Marco 4, 35-41


 


Care sorelle e cari fratelli,


abbiamo ascoltato il Vangelo della tempesta sedata. Mi è venuto subito in mente quando ho appreso la notizia della tragica morte di Mauro Zannori. E’ salito spontaneo sulle mie labbra lo stesso grido degli apostoli a Gesù mente dormiva e la barca rischiava di essere travolta dalle onde: “Maestro, non t’importa che moriamo?” Sì, care sorelle e cari fratelli, di fronte alla lunga catena di morti sul lavoro come non gridare: “Maestro, non t’importa che noi moriamo?” Come non essere preoccupati che in un anno, solo qui nell’area di Terni, ci sono stati ben sette morti sul lavoro? Lo scorso anno i quattro allo stabilimento del Clitunno, ricordo i loro nomi: Maurizio Manili, Tullio Mottini, Giuseppe Coletti, Vladimir Todhe . Poi a Narni, Lanfranco Fausti, e quindi a Terni Angelo Nese e poi Franco Mariani alla stazione di Terni. Ed ora Mauro, alle acciaierie. I loro nomi sono per tutti noi un ricordo amaro ed anche un monito. E sono appena stato all’ospedale di Terni per visitare l’ing. Marcello Imperi che l’altro ieri ha avuto un bruttissimo incidente in un cantiere edile e sta vivendo ore drammatiche tra morte e la vita, e Armeni Giuseppe caduto nel lavoro alle acciaierie. Oggi, la nostra preghiera sale al celo anche per loro perché il Signore possa ridonarli alla vita e ai loro cari.


Ma sembra proprio che una tragica tempesta continui a flagellare questa nostra terra. Non solo la nostra, non solo l’Umbria, ma l’intero paese. Nei mesi passati ne abbiamo parlato, abbiamo avuti incontri, abbiamo preso decisioni, ci siamo impegnati a non abbassare l’attenzione. E tuttavia la morte sui luoghi di lavoro appare una inarrestabile catena. Perché? Perché? Di qui il nostro grido al Signore: “Maestro, non t’importa che moriamo? Non t’importa che qui si continua a morire sui luoghi del lavoro?” Eppure è stato proprio il Signore a stabilire che il lavoro fosse l’espressione della dignità di ogni persona umana ed anche strumento del proprio sostentamento. Ma è diventato occasione di morte e di dolore.


Oggi, da questa chiesa, stretti attorno a Mauro, ultima vittima di questa tragica catena, strappato alla vita e ai suoi cari mentre era ancora nella pienezza delle sue forze, gridiamo anzitutto al Signore, come fecero quei discepoli sulla barca, perché intervenga in questo mare in tempesta del mondo del lavoro, perché si alzi in piedi e sgridi con forza i venti e il mare: “Taci, calmati!”. Sì, c’è bisogno che questa lunga catena di morte venga spezzata. E’ la nostra preghiera al Signore, oggi, accanto a Mauro. La sua morte, questa ennesima morte, non può essere vana. Signore, arresta tu, questa immane tragedia!


Lo chiediamo al Signore mentre consegniamo nelle sue mani questa ultima vittima innocente perché gli dia quella pace che non ha potuto gustare in questa via. E’ il modo che ci resta perché il male e la morte che lo hanno colpito non trionfino definitivamente su di lui. Le parole della fede ci aprono uno spiraglio di luce sulla notte buia e triste della morte di Mauro. Lasciamoci guidare da questa luce per cogliere il mistero che egli in questo momento sta vivendo. Vicino a lui c’è il Signore. E non lo abbandona ora, come mai lo ha abbandonato. L’amore del Signore ci sostiene sempre, nei momenti lieti e in quelli tristi. Ci sono stati anche per Mauro momenti difficili, ma il Signore gli è stato sempre accanto. Non importa se noi ce ne accorgiamo o meno. Il Signore c’è. Il suo amore è molto più grande delle nostre miserie e delle nostre dimenticanze. Egli ci sta accanto. Ed era accanto a Mauro anche nel momento più difficile della sua vita, in quella tragica ora alle Fucine, quando una lastra pesante ce lo ha tolto alla vita. Gesù, stava lì. Anche Gesù, possiamo dire, come Mauro, ha conosciuto il peso della lastra della morte abbattersi su di lui per chiuderlo nel sepolcro. Ma l’amore di Dio è più forte di ogni lastra di morte. Quel mattino di Pasqua la pietra pesante che chiudeva il sepolcro fu rovesciata e il Signore tornò alla vita. Sì, Gesù è arrivato in quella tragica ora alle Fucine e non ha permesso che la morte schiacciasse per sempre questo suo figlio. Con le sue mani forti lo ha sollevato dall’abisso della morte e ora lo porta con sé in Paradiso. Sì, il Signore lo abbraccia e per Mauro giunge la calma e la bonaccia. E può toccare l’altra riva, quella della pace piena, della serenità di un amore che non termina più.


E mentre viene portato nel cielo – è il senso di questa santa celebrazione – noi affidiamo a lui il nostro grido perché lo porti sino al Signore: “Maestro, non t’importa che moriamo?” E troverà ad accoglierlo alle porte del cielo gli altri caduti sul lavoro, quelli che in questo anno abbiamo accompagnato al Signore e tutti gli altri, un numero incredibile di vittime innocenti. Oggi, sono tutti loro a svegliare il Maestro perché dal cielo gridi e rimproveri e fermi i venti e il mare delle disattenzioni e delle inadempienze, delle superficialità e delle ingiustizie che continuano a mietere vittime. Sì, è dal cielo che oggi viene il grido: “basta con queste morti! basta con i lutti sul luogo di lavoro!” E’ un problema di civiltà, prima ancora che di rispetto e di amore. Più volte nei mesi passati abbiamo parlato dell’urgenza di una cultura nuova anche sul lavoro che deve coinvolgere tutti, l’intera società. La presenza di tanti in questa celebrazione, delle autorità regionali, provinciali, comunali, dei responsabili d’impresa, degli operai, di noi tutti deve significare uno sdegno per quanto continua ad accadere ed un rinnovato impegno perché il lavoro non sia più una fabbrica di morte, ma luogo di vita e di speranza.


Questa morte di Mauro non può essere vana. Non è più possibile, infatti tollerare che questa terribile catena continui a mietere vittime. E noi possiamo più assistere impotenti. Il luogo di lavoro non può essere trasformato in una sorta di fabbrica di morti, di vedove e di orfani. Certo può esserci talora qualche tragedia che avviene casualmente. Ma se abbiamo, come abbiamo, una catena ininterrotta di vittime, tutto ciò non avviene certo per caso. Essa è il frutto amaro di una cultura di morte che continua a sacrificare vittime sull’altare del profitto, sul primato assoluto del guadagno e dell’interesse a qualsiasi costo anche a scapito della vita umana e della dignità delle persone. Se persino la Costituzione della Repubblica Italiana afferma di essere fondata sul lavoro, come tollerare che i suoi figli trovino la morte proprio su questo fondamento? Se tutto continua come sino ad ora, non stiamo minando le radici della nostra stessa convivenza civile? Ecco perché credo sia più che urgente un sussulto spirituale e morale che porti ad una nuova attenzione, ad una nuova responsabilità. Tutti dobbiamo rendercene conto. Non possiamo ritrovarci assieme solo quando celebriamo un funerale. Sento urgente, care sorelle e cari fratelli, che tutti ci impegniamo in maniera ancor più robusta di quel che già facciamo perché il luogo del lavoro sia luogo per vivere e non per morire, luogo per rendere il mondo più umano e non un inferno di morte.


Non è questa la sede per determinare le misure necessarie e urgenti per fermare questa  immane o insopportabile tragedia. Le situazioni lavorative sono molteplici e diverse. In tutte bisogna intervenire in maniera forte e adeguata. Sappiamo quanto sia drammatica la condizione di quei lavoratori che sono sfruttati in maniera illegale e brutale. E’ una piaga che va stroncata senza indugio. E sappiamo anche quanto sia importante evitare ogni irresponsabile superficialità da parte di tutti pur di raggiungere un guadagno. Ma ritengo che sia necessaria un’attenzione più vigile anche là dove tutto può apparire regolare. Erano anni che nelle acciaierie non accadevano incidenti di questa gravità. Ma nel giro di due giorni due gravissimo incidenti di cui uno mortale. Ne siamo rimasti tutti turbati. Tanto più che guardiamo con attenzione il nuovo corso e il nuovo sviluppo. Ebbene, credo che proprio mentre ci si avvia verso rinnovati investimenti è necessario un esame ancor più attento, ancor più vigile perché siano prese più adeguate e forse più sofisticate misure di sicurezza. Dobbiamo riscoprire una nuova cultura del lavoro che ponga l’uomo al vertice dell’attenzione. Sì, care sorelle e cari fratelli, la morte di Mauro ci deve far riflettere che non l’uomo fatto per la fabbrica, ma la fabbrica è fatta per l’uomo e per la sua dignità. Se così non è, è facile anche il luogo del lavoro divenga l’anticamera del cimitero. Dio non ha voluto così.


Il Signore ha posto l’uomo al vertice della creazione e a ciascuno si deve l’onore e il rispetto come a Dio stesso. Lo abbiamo ascoltato dal libro della Genesi. Dio disse. “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza e domini… sulla terra”. Il Signore ci chiede di essere attenti a ciascuna persona, a ciascun lavoratore, come a Lui stesso. Chi deturpa l’uomo deturpa Dio stesso. E ne renderà conto. Care sorelle e cari fratelli, che questa morte non sia vana! Non sia vana per i familiari. E penso a te, caro Stefano, al papà Mario, la mamma Natalina. Ti saremo vicino. Il vuoto incolmabile che lacera il tuo cuore nessuno potrà colmarlo. Ma noi ti saremo accanto. E ti sarà accanto tu padre dal cielo e ti accompagnerà. Ma la morte di Mauro non sia vana per tutti coloro che lavorano. Per parte nostra sentiamo ancor più forte l’impegno a spezzare questa catena di morte, perché la violenza del male non ci trovi suoi complici.