“Ero forestiero e mi avete ospitato”

Nel giorno del giudizio finale, penso alla gioia e alla sorpresa di quegli egiziani che circa duemila anni fa ospitarono il piccolo Gesù profugo in Egitto, sentirsi dire: “ero forestiero e mi avete ospitato”. Ovviamente c’è poi anche l’amarezza di quegli abitanti Betlemme che chiusero la porta in faccia a Maria e Giuseppe che venivano da Nazareth. Gesù fin da bambino ha sentito il dramma che sentono ancora oggi milioni di profughi e rifugiati. Ai nostri giorni i profughi sono più di trenta milioni. E il novanta per cento si trova nei paesi del Terzo Mondo. Come dire: alla tragedia della povertà si aggiunge quella del distacco dalla terra, dalla casa, dagli affetti. Spesso ci si dimenticano i motivi che spingono alla fuga dalla propria terra; nessuno lo fa se non ci sono gravissime ragioni, appunto più gravi dell’avere una casa, di abitare nella propria terra, di stare con la propria famiglia. Dietro il volto dei profughi ci sono situazioni di violenza, di ingiustizia, di persecuzione, di guerra oppure, come è accaduto per milioni di persone anche in Italia, l’impellente esigenza di uscire da una condizione misera per trovare una vita migliore. Pensiamo alla situazione della Siria. Sono stato tre mesi fa a Damasco: la guerra sta distruggendo tutto. E’ ovvio che chi può fugge. Senza la pace è chiaro che i profughi continueranno ad uscire dal loro paese. E come possiamo noi chiudere le porte? E che dire dei tanti bambini che continuano a morire nel Mediterraneo? In questo anno della Misericordia non c’è dubbio che questa è tra più urgenti da praticare. Papa Francesco continua a esortare tutti ad aprire le porte per accogliere. E’ ovvio che non si vogliono eludere i problemi che questa situazione comporta. Ma pensiamo all’Italia della fine Ottocento e prima metà del Novecento: sono partiti dal nostro Paese per andare altrove circa 25 milioni di italiani. E tutti questi nostri connazionali hanno vissuto la durezza dell’abbandono della terra e una inaccoglienza nei paesi di arrivo altrettanto crudele come quella che noi riserviamo ai profughi oggi. Certo, c’è poi il grande lavoro per l’integrazione. Ma non dimentichiamo che l’intera storia dell’Italia e dell’Europa è una storia di integrazioni di popoli. E per di più l’accoglienza è un valore che sta alla radice sia della fede cristiana, come anche di quella ebraica, ed assieme arricchisce notevolmente la nostra coscienza. Un cuore grande, non chiuso, è più ricco e più felice. C’è bisogno di far maturare in noi e attorno a noi una nuova cultura dell’accoglienza, quella che affonda le radici nell’amore evangelico e che ci fa vedere nell’altro non un nemico da respingere ma un fratello da amare.

(da BenEssere)