Editoriale per La Voce

Editoriale per La Voce

Peggio di quel prete e di quel levita della parabola del buon samaritano sono stati coloro che hanno raccolto quel povero marocchino caduto dall’impalcatura di un cantiere vicino Assisi. Non erano certamente dei buoni samaritani, come lo è stato quel senegalese che per salvare un italiano dall’annegamento ha perso lui la vita. Ma neppure sono stati come i due chierici i quali, dopo aver visto l’uomo mezzo morto, “passarono oltre”. No, loro si sono fermati, lo hanno preso, ma per scaricarlo altrove. Altro che “albergo”! Come non sentire orrore per un fatto del genere. E penso che nessuno di noi si sarebbe comportato così. E meno male. Tuttavia è facile accantonare questo scandalo e non pensarci più, certamente dopo un momento di sdegno. Eppure è accaduto. Ed è possibile che riaccada. E mi verrebbe da dire che non è poi proprio così assurdo in un mondo in cui l’interesse personale e la difesa dei propri diritti sorpassa di molto qualsiasi altra attenzione. L’egoismo e l’interesse per se stessi stanno rendendo la nostra società sempre più dura e meno compassionevole. La “pietas” diviene sempre più rara, mentre crescono l’indifferenza e la violenza. E naturalmente chi è maggiormente colpito dalla durezza sono i più deboli, i più poveri. E poi che questo fatto sia accaduto vicino ad Assisi lo rende ancor più scandaloso. E ovvio che la mente corre in fretta a San Francesco. Quando egli vide, alle porte di Assisi, un lebbroso anche lui ebbe l’impeto di fuggire. Quel lebbroso, non solo gli dava fastidio (come questo marocchino ferito lo dava ai datori di lavoro, per tutte le grane che comportava non averlo messo in regole), ma gli faceva addirittura ribrezzo. Eppure San Francesco, che allora era semplicemente Francesco, scese da cavallo e lo abbracciò. E quell’abbraccio lo cambiò profondamente. Vorrei sottolineare questo cambiamento con le parole stesse del giovane assisiate. Ricordando questo fatto Francesco disse: “Quel che prima mi pareva amaro, da allora mi parve dolce”. E’ qui il punto. Quell’abbraccio non era solo una buona azione compiuta; cosa che comunque era già buona. Quel gesto era molto di più. Gli cambiò il gusto, gli fece sentire cosa era la felicità vera. Ed è questo, a mio avviso, quel che deve accadere nel cuore dei credenti. Si tratta infatti di nutrirci del Vangelo perché possiamo avere, come dice Paolo, “gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù” che “è venuto per servire e non per essere servito”. E in questo è la nostra felicità. Solo se troveremo un gusto nuovo – quello appunto che ci fa commuovere, che ci fa amare, che ci fa accogliere – potremo essere lievito di una nuova cultura, di un nuovo modo di essere, di un nuovo modo di vedere gli altri, particolarmente i più poveri. La carità è come il sale: se è vera rende saporita tutta la pasta. Se invece è scipita, come tante volte siamo noi cristiani, la società non solo resta sapore, addirittura si altera e si guasta.