Editoriale per Famiglia Cristiana del 24 marzo 2006

Editoriale per Famiglia Cristiana - 24 marzo 2006

LA VISITA DEL RABBINO CAPO DI ROMA DI SEGNI ALLA MOSCHEA

LE RELIGIONI IN DIALOGO
SULLA SCIA DI PAPA WOJTYLA


La visita della delegazione ebraica alla moschea di Roma è un evento che si può considerare storico. Il rabbino Riccardo Di Segni, che da tempo aveva manifestato il desiderio di realizzare questa visita, voleva mostrare visivamente l’urgenza di instaurare un clima nuovo nei rapporti tra ebrei e musulmani. Sapeva che avrebbe avuto un significato simbolico di portata internazionale. Ha avuto ragione, tanto più che la visita si è realizzata in un momento particolarmente delicato nei rapporti tra Occidente e islam.


E ha senza dubbio innescato un processo virtuoso nei rapporti tra ebrei e musulmani e all’interno dello stesso mondo islamico italiano. Anche solo alcuni anni fa era del tutto impensabile un evento di questo genere. E credo che possa essere inserito tra i frutti di una stagione che ha visto crescere gli incontri interreligiosi.


Non è stato sempre così. Ricordo le difficoltà che all’inizio ponevano alcuni rappresentanti musulmani per accettare anche solo la presenza di ebrei. Il lungo e paziente lavoro di tessitura ha sciolto asprezze, ha allontanato pregiudizi (certo, resta il peso della mancata soluzione del problema israelo-palestinese e dell’intera questione mediorientale). Dobbiamo molto al primo artefice di questo lavoro: Giovanni Paolo II.


Con l’incontro di Assisi del 1986 si apriva una stagione significativa che metteva in atto in maniera robusta le indicazioni del Vaticano II. Sono passati 20 anni da quell’incontro. Uomini e donne di religioni diverse hanno preso a incontrarsi attorno a temi religiosi, morali, sociali, culturali. E siamo giunti anche a questa visita nella moschea da parte di una delegazione ebraica.


E come non pensare a un’altra visita, quella di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma nel 1986? Per la prima volta, dopo 2.000 anni, un Papa entrava in una sinagoga, segnando una pietra miliare nel dialogo tra ebrei e cristiani che, avviato dal Vaticano II, subì da allora una notevole accelerazione.


Nel caso dei rapporti tra ebrei e cristiani risalta il particolarissimo legame che unisce queste due religioni, come lo stesso Benedetto XVI ha ripetuto nella sinagoga di Colonia. Ma si può ricordare anche la visita che Giovanni Paolo II fece alla moschea di Damasco.


Questi gesti mostrano comunque che il dialogo tra credenti deve basarsi su contatti diretti, su rapporti di amicizia, su una conoscenza reciproca, su un confronto franco, senza cedere ad ambigui sincretismi e a pericolosi attutimenti della propria fede. È urgente conoscersi, comprendersi, trovare ciò che unisce per combattere la violenza e costruire una convivenza pacifica tra tutti.


Di Segni alla moschea notava: «È ora di guardarsi in faccia, di parlarsi e di aprirsi le porte», e aggiungeva che «la lotta all’islamofobia e all’antisemitismo deve procedere parallela».


È un’indicazione importante che si inserisce in quella tela di incontri che è indispensabile continuare a tessere. Non è facile, anche perché non mancano coloro che pongono ostacoli. E lo hanno dimostrato le difficoltà (e anche le opposizioni) che hanno avuto i responsabili della moschea di Roma nell’accogliere la richiesta del rabbino. Ma l’audacia (in questo caso davvero bipartisan) delle due parti indica che è possibile l’incontro. Sarà perciò importante pure il giorno in cui rappresentanti musulmani si recheranno nella sinagoga e pronunceranno in quell’occasione parole simili a quelle del rabbino. Questo segnerà una tappa decisiva anche all’interno del mondo islamico italiano.


Tutti – come ha detto Di Segni – dobbiamo «vigilare per impedire che la violenza e l’odio, da qualsiasi parte provengano, si alimentino con la religione». Benedetto XVI, alcune settimane fa, lo ha ribadito con forza ancora una volta.


L’unanimità su questo tema irrobustisce gli operatori di pace e fa crescere la speranza tra tutti. Ed è significativo che tutto questo avvenga a Roma e in Italia. Il nostro Paese, infatti, può rappresentare veramente una prospettiva positiva per un’Europa che fa fatica a trovare le vie dell’incontro, per costruire un futuro di pace tra uomini e donne di fedi e di culture diverse.