Editoriale per Adesso n.39

L'arte del dialogo

Sono passati vent’anni dal primo incontro tra i leader di tutte le religioni del mondo voluto ad Assisi da Giovanni Paolo II, ed è singolare che, proprio nei giorni in cui cade l’anniversario si svolga in Umbria la seconda edizione del festival cinematografico “Cielo e Terra”, dedicato al dialogo tra popoli e religioni.


 


Quell’evento di vent’anni fa continua a farci sognare un mondo in cui è possibile convivere tra uomini e donne di religioni e culture diverse.


In questi anni l’incontrarsi ha preso la forma di un libero e partecipe dialogo tra credenti, e tra laici e credenti, conclusosi in un convergere comune verso un messaggio di pace a partire dalla preghiera delle diverse religioni.



Gli incontri promossi in questi vent’anni dalla Comunità di Sant’Egidio hanno liberato non poche energie di pace, creando un clima di comprensione e di affezione tra esponenti di mondi religiosi diversi e storicamente lontani. Non debbono perciò vincere il pessimismo e la paura che ci rendono tutti più deboli: quella paura che fa divenire ora aggressivi, ora intimamente fragili.



L’attentato terroristico contro le due torri dell’11 settembre del 2001, assieme agli altri che si sono venuti dopo, ha segnato uno spartiacque nella storia del mondo. Senza dubbio sono cresciute preoccupazione, incertezza, diffidenza, ansietà per il futuro del pianeta. E appare tramontata una visione ottimistica delle relazioni tra culture e popoli.


Tutti ormai conosciamo la tesi di Huntington sul “conflitto tra le civiltà”, che sembra divenire sempre più una realtà e non più una ipotesi. Si sentono perciò spesso interrogativi come questi: non è finita la stagione del dialogo? Del resto, a che serve dialogare tra le culture, i popoli e le religioni? E comunque le religioni non sono destinate in ogni caso a contrapporsi? E il dialogo non rischia di aprire ingenuamente le porte alla violenza?


C’è una forza interiore nelle religioni vissute che sa indicare la via del bene. La fede impegna infatti con e non contro gli altri.



E’ chiaro che in questo orizzonte è totalmente escluso il relativismo che tenderebbe a livellare le religioni come se fosse possibile una sorta di comune denominatore religioso.


Dialogare non significa perdere o attutire la propria identità; al contrario, significa irrobustirla, ma questo non chiede di rinunciare alla condizione, a tutti comune, di essere sempre cercatori della salvezza propria e altrui.


Non mancano le difficoltà, ma c’è una convinzione di fondo: le mura che separano le religioni l’una dall’altra non arrivano sino al cielo. E il cielo, fin da ora, sta sopra i muri: il suo nome è Amore, un cielo che riesce ad accogliere tutti.



Questo “segno dei tempi” che è l’incontro tra i credenti di diverse fedi, va coltivato con perseveranza e con decisione, perché porti frutti buoni per tutti.


Nella lezione a Ratisbona il Papa sostiene che il dialogo non è una questione di diplomazia ma la ricerca dei fondamenti razionali, che siano comuni a tutti gli esseri umani. Non è un tema da banchi di scuola ma una questione di vita, e per questo può evitare lo scontro di civiltà. La preoccupazione è che il dialogo sia fatto davvero. Ed è ovvio che richiede anche la ricchezza dei rapporti umani. In questo contesto si comprende bene Benedetto XVI quando si presenta come un umile operaio della vigna del signore. È un uomo schivo che sa che è compito di tutta la Chiesa e non solo suo personale di promuovere e seguire il dialogo. Il pontefice vuole dare solidità culturale a questo cammino. Ed è una cosa importante.



Le religioni nella società contemporanea toccano i cuori e muovono i popoli. E non sempre sono libere da ambiguità. Non ci nascondiamo che una parte dei musulmani, ad esempio, spesso giustifica la violenza con la fede. Il papa si oppone a questo legame, non solo in nome della religione ma anche della ragione.


Il filmfestival popoli e religioni aggiunge un tassello a questa indispensabile dimensione dell’incontro e del dialogo e aiuta a superare lo scontro. Anche attraverso l’arte cinematografica si può capire che i credenti di religioni diverse possono convivere, non solo tollerandosi ma stimandosi a vicenda.


Se inserito in questo orizzonte il filmfestival popoli e religioni trova il suo significato più pieno. Anche con il cinema veniamo a dire che l’arte vive sulla frontiera del dialogo e della pace.


Vediamo infatti spesso, anche nel cinema, quanto gli artisti operino per far crescere una consapevolezza critica nei popoli: penso a registi israeliani condannano la guerra e registi palestinesi che combattono la cultura del terrorismo.


Se lasciamo che la nostra creatività diventi concretezza, possiamo continuare a sperare e a sognare.


Il dialogo è un’arte che richiede la follia dell’amore e la forza della ragione. E gli artisti, si sa, sono sempre un po’ folli. Come folle  era  Francesco, poeta e giullare di Dio e primo profeta del dialogo con l’Islam.

da Adesso n.39