Ecumenismo e primato petrino: il nodo è la sinodalità

Ecumenismo e primato petrino: il nodo è la sinodalità

di Matteo Spicuglia

Una nuova tappa sulla strada del dialogo ecumenico. Domani mattina, Benedetto XVI incontrerà in Vaticano Christodoulos, arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia. È la prima visita ufficiale a Roma per un primate della Chiesa ortodossa greca: un evento che sarà caratterizzato da parole e gesti significativi, come il dono da parte di Benedetto XVI di un anello della catena della prigionia di san Paolo. Il dialogo tra Oriente e Occidente prosegue così ai massimi livelli, a pochi giorni dalla dichiarazione congiunta con cui il papa e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, hanno riaffermato la loro fiducia nel dialogo teologico tra Cattolici e Ortodossi. Perché se nell’opinione pubblica, la cartina tornasole dell’avanzamento delle relazioni sembra essere semplicemente il tanto aspirato incontro tra il papa di Roma e il patriarca di Mosca, in realtà la questione è più complessa e non può prescindere da un nodo cruciale: il cosiddetto ministero petrino, ovvero la ricerca possibile di un’interpretazione comune sul primato del pontefice. Cattolici e Ortodossi ne hanno discusso all’inizio di settembre, a Belgrado, nella commissione teologica mista che tornerà ad incontrarsi a primavera in Italia, con tutta probabilità a Ravenna. Ma quali sono i margini reali del confronto? Ne abbiamo parlato con mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia e presidente della Commissione episcopale della Cei per l’ecumenismo. Una figura di primo piano nel dialogo con i cristiani e con i rappresentanti delle altre religioni, anche grazie all’esperienza decennale con la Comunità di Sant’Egidio di cui continua ad essere guida spirituale.


 


La discussione sul ruolo del papa è entrata nel vivo, seppur con il massimo riserbo. Come sta procedendo?



“Direi bene, come dimostra del resto l’invito comune di Benedetto XVI e Bartolomeo I ad andare avanti nel dialogo teologico iniziato a Belgrado. La situazione è senza dubbio positiva, anche perchè non dobbiamo dimenticare che fino a poco tempo fa di questi temi non si parlava. Dopo esserci incagliati per anni sul nodo della chiesa greco cattolica dell’Ucraina e sulle accuse di proselitismo, abbiamo avuto il coraggio di affrontare direttamente il punto centrale della divisione tra cattolici e ortodossi. E lo stiamo facendo, confrontandoci con una nuova posizione da parte ortodossa: oggi non si tratta più di discutere sulla legittimità di un primato, ma di come esercitarlo”.



A riguardo, quali risultati sono emersi dall’incontro di Belgrado?



“Per il momento, si è cominciato a discutere sulle diverse tesi, che analizzano il senso e il modo di essere primo all’interno della Chiesa, il cosiddetto “protos”. Certo, c’è ancora molto lavoro da fare, ma il dibattito è iniziato e continuerà il prossimo anno in Italia”.


 


Conferma l’ipotesi di una presenza del papa e del patriarca Bartolomeo I alla nuova apertura dei lavori?



“Non glielo saprei dire. Registro tuttavia, una grande comunione di intenti, visibile anche in due aspetti dell’incontro di Istanbul: da una parte, la proposta, di cui non si conosce il contenuto, che Bartolomeo ha fatto al papa; dall’altra, la disponibilità dei due a portare avanti iniziative comuni su pace, salvaguardia del creato e difesa della libertà religiosa. Credo che questi siano già dei terreni di incontro molto importanti e soprattutto, reali”.

Dopo l’incontro di Belgrado, il vescovo Hilarion Alfeyev, Rappresentante della Chiesa ortodossa russa presso le Istituzioni europee, ha ammesso che sul primato petrino la strada è tutta in salita, anche perché nel mondo ortodosso non tutti la pensano allo stesso modo. Quali sono le difficoltà?



“Le divergenze di fondo riguardano le relazioni tra i patriarcati ortodossi, in particolare tra quello di Mosca e di Costantinopoli. Entrano in gioco aspetti canonici e giuridici che richiedono la definizione di un nuovo equilibrio, quanto mai urgente con la discesa in campo della Chiesa cattolica sul tema dell’ecumenismo”.



Esistono delle visioni contrapposte sul dialogo con Roma? Alcuni osservatori alludono alla maggiore sensibilità ecumenica di Bartolomeo I, rispetto al patriarcato di Mosca che opterebbe piuttosto per un dialogo sui temi etici e culturali…



“Assolutamente no. Il problema non nasce da singoli temi, ma fa riferimento a relazioni interne. Per farle un esempio, non c’è ancora un accordo sul peso e sul ruolo che il patriarcato ecumenico di Costatinopoli debba avere rispetto alle altre chiese ortodosse”.


 


Il metropolita ortodosso di Pergamo, Ioannis Zizioulas, ha tratteggiato a più riprese il profilo di un pontefice con piena giurisdizione per l’Est, ma con tratti più sfumati come primate della Chiesa universale. Un incontro a metà strada, con gli Ortodossi disposti a riconoscere una forma di autorità e i Cattolici a crescere nella collegialità. Secondo lei, quale potrebbe essere il punto di equilibrio?



“È fuori di dubbio che il dibattito relativo al papato si giochi nella prospettiva della sinodalità. Significa ragionare sull’idea di una collegialità presente a livello diocesano, di patriarcato e, perché no, anche a livello universale. In questa prospettiva, diventa importante la disponibilità della Chiesa ad accettare la sinodalità, così come gli ortodossi devono fare con il primato. Il punto di equilibrio si raggiunge soltanto in una prospettiva simile”.



Il viaggio in Turchia è stato importante anche sul fronte del dialogo con l’Islam. La polemica di Ratisbona si è chiusa, ma col senno di poi non è perplesso di fronte alle proteste dei mesi scorsi? Se il dialogo si fa in due, ci devono essere margini per chiarire eventuali equivoci nel rispetto e nella moderazione…



“Purtroppo, l’equivoco sulla citazione usata dal papa ha offuscato il messaggio fondamentale del suo discorso e cioè che la fede non può essere esoterica, ma ha bisogno di dialettizzarsi con la ragione. Da qui, si spiega il grande gesto di Benedetto XVI in moschea: un papa che senza confusione o rischi di sincretismo mostra quanto la preghiera di ogni fede ponga i credenti gli uni accanto agli altri, mai contro”.



Eppure, il nodo degli interlocutori rimane. Non crede?



“Sicuramente. Se il dialogo andrà avanti, richiederà interlocutori sempre più raffinati e segnati da una dimensione religiosa. Ecco perché la preghiera resta la dimensione da cui parte ogni dialogo. Senza di essa, rimane un semplice confronto culturale. È questo il nostro impegno, consapevoli delle difficoltà. Nel caso dell’Islam, per esempio, non esistono un clero e una gerarchia chiara con cui confrontarsi”.

da Korazym.org