Dopo l’11 settembre

Dopo l'11 settembre

La marcia della pace di quest’anno cade in un momento drammatico per l’intera umanità. Il mondo si trova in una situazione simile alla guerra, anche se si tratta di una guerra molto diversa da quelle passate. Tutti sono più incerti, insicuri sulla propria vita, preoccupati della propria sicurezza, ansiosi sui pericoli che il domani potrà riservare. Si parla di terribili attacchi di tipo terroristico, mentre continuano i bombardamenti all’Afghanistan e ci si chiede se la guerra si estenderà. Certo è che, pur senza lasciarsi prendere dalla psicosi (perché la paura è facile da comunicare: c’è sempre qualche motivo per temere), il mondo di oggi appare più insicuro di ieri. E poi c’è odio in giro per il mondo; c’è rabbia in tanti luoghi; ci sono poteri oscuri; ci sono disegni di violenza e di terrorismo. E c’è tanta gente che può sfruttare il dolore e la rabbia di tanti. Accade che qualcuno, o molti, credono di proteggersi con la paura, di difendersi dall’imprevisto, di monitorare i pericoli. E’ ovvio che sia necessario prevedere e mettere in atto tutti i mezzi per sradicare il terrorismo e garantire la sicurezza di tutti.


Ma c’è un ulteriore pericolo che deve essere evitato: quello di pensare solo al presente, al proprio presente e poco altro. Eravamo già entrati nel nuovo millennio senza grandi sogni e senza grandi utopie, ciascuno attento al “proprio particolare”. Credo di averlo notato anche su questo giornale quando dicevo che in tanti abbiamo affrontato il nuovo secolo un po’ a testa bassa. La caduta delle ideologie e una omologazione generale avevano come abbassato e ridotto gli orizzonti della vita. L’11 settembre ci ha come storditi. E può accadere che l’emergenza terrorismo ci spinga a chinare la testa ancora di più, a ripiegarci ancor più su di sé. Mi chiedo, tra l’altro, se non sia proprio questo ripiegamento su di sé uno dei motivi della confusione della marcia della pace. Mi pare invece urgente, forse urgentissimo, pensare al futuro del mondo, avere qualche idea sugli orizzonti generali del pianeta. Ma chi pensa al futuro? Con quali sogni i nostri giovani guardano al loro domani? Con quali speranze i poveri pensano al loro futuro? Quali immagini di domani si disegnano davanti ai vari popoli? La paura, l’egoismo, l’insicurezza, non rischiano di rubare il futuro schiacciandoci verso un ansioso presente? Guardandoci attorno vediamo come un grande silenzio sul futuro. L’11 settembre ci ha come sprofondati in un grande presente, quasi spaventati di quello che il domani potrà riservare. La conseguenza? Ci si accontenta di difendere il proprio presente. D’altro verso è vero che la violenza, la guerra, l’insicurezza attanagliano la vita di non poche persone. Eppure gli avvenimenti accaduti dovrebbero spingerci a ripensare noi stessi e il nostro modo di porci davanti al mondo e al suo futuro. Pertanto, mentre ci stringiamo attorno alle vittime degli attentati negli Stati Uniti, non possiamo non ricordare e “mettere in agenda” anche i gravissimi squilibri sociali, economici, culturali e politici che lacerano la vita del pianeta, e che richiedono una pronta e efficace attenzione da parte di tutti. Qualche segno in questo senso c’è, basti pensare alla nuova decisione verso la questione israelo-palestinese, ma altre ce ne sono e di urgenti. Non c’è dubbio che ci sia bisogno di un lavoro capillare e approfondito per la pace, una pace che scenda nelle pieghe delle società, che educhi al rispetto dell’altro, che sani le radici dell’ira e che guarisca le tentazioni della violenza. E’ una frontiera che ci deve vedere tutti impegnati in prima persona. E’ questa oggi la via della pace, quella marcia quotidiana che, nella legittima dialettica, ci vede sognare un futuro di fraternità universale.