Domenica delle Palme

Domenica delle Palme


 


Care sorelle fratelli,


siamo davanti alla porta della cattedrale, una porta nuova. E’ la prima volta che l’apriamo. E l’apriamo nella domenica delle palme per accogliere Gesù che entra a Gerusalemme, che entra in mezzo a noi. E’ la porta del Grande Giubileo, come vi è scritto. E oggi è ancor più evidente che quella porta non l’abbiamo chiusa, al contrario l’abbiamo rinnovata per significare il nuovo spirito con cui volgiamo entrare nel nuovo secolo. Sulla porta c’è scritto: “Io sono la porta, chi entra per me sarà salvo”. E’ Gesù che parla, ed è Gesù che viene rappresentato in una esplosione di vita e di gioia che spacca persino la durezza del ferro. Questa gioia vuole far esplodere i nostri cuori di amore e di festa. Accadde questo quel giorno a Gerusalemme, quando la folla acclamava Gesù con i rami di palme. Era una gioia che dava fastidio a uomini duri e freddi com’erano gli scribi e i farisei, i quali chiesero a Gesù di far tacere i discepoli. Rispose Gesù: “Se questi taceranno, grideranno le pietre”. Ebbene, sorelle fratelli, oggi, qui a Terni, anche il ferro ha gridato, anche il ferro si è spaccato in una festosa raggiera di vita. Noi vogliamo ripartire da questa esplosione di gioia nel cuore; vogliamo accogliere nuovamente il Signore che entra in Gerusalemme, che entra a Terni. Imitiamo fratelli e sorelle i fanciulli degli ebrei, e anche noi, come loro, agitiamo i rami di ulivo che abbiamo nelle nostre mani e cantiamo la nostra gioia nell’accogliere il Signore.


 


 


 


 


 


Omelia per la Domenica delle Palme


 


Care sorelle fratelli,


 


siamo giunti al termine del cammino quaresimale e con questa celebrazione entriamo nella grande e santa Settimana della Passione. E’ la prima Settimana Santa del nuovo secolo e vorremmo che fosse come a suo fondamento, perché sia un tempo davvero di salvezza. Dal mistero di questi giorni, infatti, scaturisce tutta la salvezza nostra e quella del mondo. Durante la quaresima la Parola del Signore ci ha accompagnato perché preparassimo il nostro cuore ad accogliere il mistero della morte e risurrezione di Gesù. Per me si aggiunge oggi un particolare ricordo: proprio nella Domenica delle Palme dello scorso anno facevo l’ingresso in Diocesi. E non fu una scelta casuale. Volli iniziare il mio servizio episcopale dalla settimana santa, perché volevo in certo modo partire da essa, porla a fondamento dell’intera vita della Diocesi per il nuovo secolo. Ebbene, questi giorni, care sorelle cari fratelli, continuano a restare la fonte da cui promana la nostra salvezza; non viverli o dimenticarli vuol dire inaridirsi. E’ necessario perciò che noi tutti torniamo a vivere questi giorni santi. Essi sono la sorgente da cui apprendere come vivere e come amare. E’ necessario che in questi giorni contempliamo l’amore del Signore per comprenderne l’incredibile grandezza e l’impagabile gratuità.


Questa settimana è davvero santa. Non è una settimana qualsiasi. Essa ci presenta gli ultimi giorni di Gesù. Stiamogli vicino; non allontaniamoci da lui; cerchiamo di seguirlo in tutti i suoi gesti; almeno una volta l’anno cerchiamo di stare con lui passo dopo passo: seguendolo da vicino potremo apprendere il suo grande amore per noi e per il mondo. Sì, care sorelle cari fratelli, fissiamo i nostri occhi sul volto di quell’uomo che accetta anche la morte, pur di salvarci. Se lo seguiremo potremo anche noi incontrare quegli occhi, affranti dal dolore ma sempre pieni di misericordia e di affetto. Quegli occhi ci guarderanno come guardarono Pietro che lo aveva tradito; e sentiremo nel profondo del cuore un nodo di dolore e di tenerezza assieme. Possa ognuno di noi, in questi giorni, accogliere il dono delle lacrime come l’ebbe il primo degli apostoli quella sera del tradimento perché, assieme a lui anche noi, possiamo riaccostarci al Signore e iniziare di nuovo a seguirlo con un cuore nuovo.


Questi santi giorni si aprono con la memoria dell’ingresso in Gerusalemme. Gesù entra come il salvatore che il Signore Dio ha inviato per la liberazione del suo popolo. La gente sembra intuirlo e fa festa, una festa grande e singolare: tutti si mettono a stendere i mantelli lungo la strada e ad agitare verdi rami di ulivo cantando: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Anche noi oggi ci siamo uniti a quella folla e abbiamo cantato la nostra gioia per l’ingresso di Gesù. Egli entra in Gerusalemme, entra in questa nostra città come salvatore e liberatore. Egli, infatti, è il solo che può farci uscire dalla violenza, dall’ingiustizia, dalla schiavitù dell’amore per noi stessi; ed è anche il solo che può renderci operatori di una vita più umana e solidale. Lo abbiamo accolto tra noi. Ma il suo volto non è quello di un potente o di un forte; è il volto di un uomo mite ed umile di cuore. E’ il volto di uno che non è venuto per salvare se stesso, per mettere se stesso al centro di tutto. E’ venuto per salvare gli uomini. E per questo è sceso nel più profondo dell’umanità.


Passano pochi giorni da quell’ingresso trionfale e lo vediamo crocifisso, vinto. E’ il paradosso di questa domenica delle Palme che ci fa vivere assieme il trionfo e la passione di Gesù. La liturgia, infatti, con la narrazione del Vangelo della Passione dopo la lettura di quello dell’ingresso in Gerusalemme, quasi a sottolineare la brevità dello spazio che separa l’Osanna dal Crucifige, ci mostra subito questo volto che diviene un volto crocifisso. L’ingresso di Gesù nella città santa è certo l’entrata di un re, ma l’unica corona che gli viene posta sul capo è quella di spine, lo scettro è una canna e la divisa è un manto scarlatto da burla. Quei rami di ulivo che oggi sono il segno della festa, fra qualche giorno, nell’orto dove Gesù si ritirava per la preghiera, lo vedranno sudare sangue per l’angoscia della morte. Ma Gesù non fugge da Gerusalemme, non abbandona coloro che aveva radunato, non abbandona l’annuncio del Vangelo dentro la città e la vita degli uomini, anche se questo gli costa la vita. Egli entra dentro la città, ma gli uomini lo cacciano da Gerusalemme, gli mettono sulle spalle una croce e sul Golgota lo crocifiggono. Scrivono i Vangeli che aveva fatto bene ogni cosa. E forse proprio per questo viene portato fuori dalla città e ucciso. Ormai sembra tutto finito per lui: non può più né parlare né guarire. Quella morte agli occhi dei più sembrò una sconfitta. In realtà era una vittoria: era la vittoria dell’amore, la vittoria sul male e sull’ultimo nemico che è la morte. Dio ha risuscitato quel figlio che aveva speso la sua vita per il Vangelo e per aiutare i poveri. La morte non lo aveva vinto. L’amore di Dio, infatti, è un amore che non conosce confini, neppure quello della morte. E’ un amore grande che traversa i luoghi e i tempi. E vince ancora oggi. Ha ragione un teologo che morì ucciso dai nazisti quando dice: il Vangelo rende i cristiani non solo buoni ma anche forti. Sì, l’amore è forte e irresistibile. Per questo può continuare ancora oggi quel piccolo corteo di discepoli e di discepole che si raccolgono sotto le tante croci di oggi e avvolgono i corpi crocifissi con il lenzuolo della misericordia e dell’amore. Il male e la morte non sono l’ultima parola sulla vita. I discepoli di Gesù continuano ad amare i poveri, a stare accanto ai vinti, a consolare i malati, a sollevare i sofferenti, ad accompagnare gli anziani, a diventare amici di coloro che non hanno nulla da dare in cambio. L’amore vince il male e la morte. Care sorelle cari fratelli, questa santa liturgia che ci ha introdotto in questi giorni santi ci fa comprendere che il male nel mondo c’è ed è forte, ma non ha l’ultima parola sulla nostra vita e su quella degli uomini. La nostra gioia e la nostra salvezza consistono nel restare accanto al Signore Gesù che ha dato tutta la sua vita per noi. Il ramo di ulivo che abbiamo nelle nostre mani sia il segno della nostra compagnia, della nostra vicinanza a Gesù. Questo ramo di ulivo benedetto che, secondo una bella tradizione portiamo nelle nostre case, ci ricordi di accogliere con gioia Gesù anche a casa nostra, anche nei nostri cuori. Egli è la nostra pace; è la pace delle nostre case, la pace delle nostre famiglie. Non distacchiamo i nostri occhi da lui.