Dialogo possibile sulla vita

di Concita De Gregorio

La conversazione tra Luigi Manconi e don Vincenzo Paglia arriva come un miracolo (sia detto qui in senso colloquiale, non se ne adonti l’arcivescovo), un meteorite fuori orbita capace di generare sorpresa, dubbio, commozione e sorrisi dalle infinite sfumature della complessità, la quale resta ad oggi l’unica fonte nota di pensiero.

Non è un dogma ma una ricorrenza statistica: si accettano, in postura laica, eventuali smentite.

Nel tempo lungo e nei giorni stretti della guerra di trincea combattuta a smitragliate di dichiarazioni a caldo, calembour, meme, sfottò, insolenze orfane di sintassi e insomma qualsiasi forma di prevaricazione verbale purché rapidissima efficace e possibilmente mortale queste duecento pagine arrivano come un balsamo. Guariscono, pari a certe foglie nelle foreste, le ferite dei soldati più anziani non avvezzi alla rapidità delle nuove armi letali, eppure ancora vivi e ostinati al fronte.

Lentamente, approfonditamente, con competenza pazienza e ironia Manconi e Paglia affrontano – reggetevi forte – il tema del Senso della vita che dà il titolo al libro. Sottotitolo: “conversazioni tra un religioso e un poco credente”.

Vincenzo Paglia, arcivescovo, è fra molte altre cose Presidente della Pontificia accademia per la Vita. Luigi Manconi, nelle diverse incarnazioni, sociologo dei fenomeni politici, ex parlamentare, militante, animatore dell’associazione “A Buon Diritto” e poco credente, appunto, oltre che – ci tiene a ricordare – poco di buono per via «di troppi errori e una vita disordinata».

Il libro parte da posizioni molto lontane e approda a un minor attrito, seppure quasi mai alla condivisione piena su quasi nulla: convergenze parallele in ritmo di dialogo, di reciproco ascolto.

Ed è difatti questo il primo miracolo minore: il suono delle due voci, che pare leggendo di ascoltare nei loro toni propri (accogliente, pastorale quello di Paglia, tagliente al gusto sardo quello di Manconi) e che non stancano, tuttavia, mai. Non ci si stanca di ascoltare, intendo dire di leggere, neppure quando un ragionamento “scivoloso e malfermo” si addentra per pagine e pagine nella terra di nessuno del filo spinato e dei morti di prima. I quali anzi, i morti, rivivono e a loro volta si fanno felicemente ascoltare: hanno le voci di Alex Langer, Amelia Rosselli, Aldo Capitini, per dirne tre di cento.

Tale per cui, nell’epoca appunto del tribunale permanente che ogni giorno di ogni sillaba emessa ci chiede il giorno dopo di vergognarci, scusarci, pentirci di ciò che non abbiamo detto e se davvero non l’abbiamo detto allora in cento battute possibilmente chiarire ma in fretta, ecco, torna possibile qui parlare di “guerra giusta”, diritto alla morte, libertà e arbitrio, ingiustizia, peccato, morale, autodeterminazione e di ogni altro tema dove il vero e il falso non sono dati una volta sola, dove la luce nasce sempre dall’ombra e altra oscurità sa generare.

Parlano, i due, di piacere e dolore, eutanasia, migrazioni, droga, carcere, diritti fondamentali, maternità surrogata, omosessualità, sesso, peccato, guerra e pace. Parlano di ecologia, di economia.
Il senso della vita è un libro nato nell’anno della paura, quello in cui di un solo ventilatore disponibile si doveva decidere a chi applicarlo, chi salvare. Un anno che dura e son già due.

Paglia porta la visione evangelica dell’assistenza declinata in senso anche concreto, materiale. Manconi arriva con una «fiducia nel cambiamento con ridimensionamento delle aspettative»: la  prospettiva di «limitare il disonore», per dirla con Piergiorgio Bellocchio. Avverte di avere la sensazione che i prossimi anni saranno segnati da una sorta di «malinconia collettiva» e qui, al terzo titoletto scritto in margine, bisogna assegnare il premio Tenco alle definizioni di paragrafo: «lo scacco della solitudine », «il posto del disordine», «ottimismo militante», «il dolore non redime », «difendersi dai poveri», «carestia tattile», «tolleranza ambigua».

Si osserva in queste righe la gentilezza di lasciare ai lettori il piacere di scoprire in autonomia e di “ascoltare” il dialogo sui temi cruciali e irrisolti del presente in cui viviamo: i diritti dei più fragili (siano carcerati, migranti, poveri di mezzi e di prospettive, minoranze di ogni sorta tra le quali non posso includere per numero le donne, essendo queste moltitudine, ma sì per stato di fatto), i comportamenti relativi alla vita e alla morte, come venire al mondo, come andarsene. I modi della sessualità, le identità, la convivenza tollerante o spesso no.

La politica, in generale. Che cosa sia fare politica. Accenno solo a due, tra i tanti temi, i due che mi sembrano più vivi nella sensibilità delle persone giovani (per giovani intendo davvero giovani: sotto i 25 anni) e per niente o quasi attratte dalla partecipazione al governo delle cose così come oggi sciattamente si declina. L’ecologia e il destino del pianeta. Il piacere e la sfera intima della sessualità.
Sul tema ecologico Manconi, che è stato per qualche anno portavoce dei Verdi, dice di aver imparato che «la sola ecologia possibile tiene insieme in un equilibrio necessariamente instabile tutti i beni del pianeta: la tutela della natura, il benessere degli individui, la giustizia sociale».

E poiché «non c’è pace senza giustizia è impotente un pacifismo fondato sulla rinuncia al ricorrere alla forza nelle controversie internazionali, nei conflitti locali e ogni volta che ci sia violazione dei diritti umani fondamentali ». Serve piuttosto «qualsiasi mezzo per rendere inoffensiva la parte più ingiusta», ed eccoci al terreno scivoloso e malfermo della guerra giusta su cui Paglia («evitare il conflitto ad ogni costo») ribatte con argomenti contundenti. Dal capitolo «Generare, fare l’amore, invecchiare» estraggo il passaggio sul piacere «inteso come esperienza fisica che mai è solo fisica, è di per sé una dimensione della vita meritevole di massima considerazione.

Euforia del desiderio e della psiche, conoscenza attraverso il contatto dei corpi». Questo è Manconi, ed è di Paglia invece il discorso sull’amore coniugale teso alla procreazione la quale però – la procreazione – prelude tanto spesso e sfortunatamente alla fine dell’amore fisico per dare spazio a unioni che somigliano a un patto. E tuttavia, dice l’arcivescovo, «il piacere non è il diavolo, il godimento è la firma di Dio nel Cosmo». Il piacere dei corpi è la firma di Dio.
Non rivelerò cosa pensi Manconi del Paradiso. Qualcosa sul fallimento dell’umanesimo, invece, mi preme riferire. Chiede Paglia: vogliamo consegnare i figli al nulla?, all’ateismo, al nulla della fede – intende. Risponde Manconi: «L’umanesimo non ha fallito perché ateo, ha fallito perché non ha realizzato il suo fondamento costitutivo. Ovvero: il rispetto incondizionato dell’umano».
Nei giorni della guerra di trincea combattuta con sfottò e insolenze queste duecento pagine arrivano come un balsamo.

(Repubblica)