Dialogo interreligioso

“Ma se Dio che è nei cieli è Uno solo, ed è Quello che si è rivelato in Gesù Cristo, perché ha permesso tante religioni?”. Questa domanda fu fatta da Vittorio Messori a Giovanni Paolo II. Il Papa non solo non si scandalizzò, ma rispose con grande profondità e sapienza spirituale. Si richiamò al noto testo del Concilio Vaticano II che inizia con queste parole: “Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente cresce l’interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non cristiane. Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui (in questo documento) tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere assieme il loro comune destino”. Sono parole scritte nel 1965. Il Concilio aveva già una grande visione. C’è un fondo comune a tutti gli uomini, ossia di essere nati tutti da Dio e tutti debbono tornare verso di Lui. Le religioni ci fanno capire che tutti dobbiamo andare verso Dio, verso la Verità. Riconoscere questa dimensione propria dell’uomo spinge i credenti delle diverse religioni a non combattersi, a non alimentare conflitti, a non approfondire fossati di odio. E purtroppo continua ad accadere che tanti strumentalizzano le religioni per odiarsi, per attaccarsi, persino per uccidersi. Ma il fine di questi signori non è accrescere la fede in Dio, ma difendere la propria etnia, il proprio potere, i propri confini, le proprie ricchezze…e così oltre. Chi crede davvero in Dio non può uccidere in suo nome. Ed ecco perché è necessario che i credenti delle diverse religioni si incontrino: essi potranno così approfondire la loro fede e vedere che non si può uccidere in nome di Dio, anzi, comprenderanno che, senza rinnegare la propria fede, debbono operare assieme per la pace, per aiutare i poveri, per non deturpare il creato, e tante altre cose buone. Questo non vuol dire che tutte le religioni sono uguali. E tanto meno vuol dire che i cristiani debbono rinunciare ad annunciare il vangelo di Gesù. Assolutamente no. I cristiani sono chiamati sia a comunicare il Vangelo sia a dialogare con amore con gli altri credenti. E oggi abbiamo davanti ai nostri occhi lo straordinario esempio del beato Giovanni Paolo II. Verso la fine della sua vita, guardandosi indietro, disse: In tutto il mio pontificato la mia preoccupazione costan­te è stata quella di adempiere questa duplice missione di proclamazione e di dialogo. Nel corso delle mie visite pastorali in tutto il mondo ho cercato di incoraggiare e di confer­mare la fede dei cattolici nonché di altri cristiani. Nello stesso tempo sono stato lieto di incontrarmi con i capi di tutte le reli­gioni nella speranza di promuovere una maggiore comprensione e cooperazione interreligiosa per il bene della famiglia umana”. Il papa aveva compreso l’importanza di tale prospettiva per la stessa vita della Chiesa: “Le altre religioni costitui­scono una sfida positiva per la Chiesa: la stimolano, infatti, sia a scoprire e a riconoscere i segni della presenza del Cristo e dell’a­zione dello Spirito, sia ad approfondire la propria identità e a testimoniare l’integrità della rivelazione, di cui è depositaria per il bene di tutti”. E, rispondendo a Messori, ad un certo punto non teme di notare: “Invece di meravigliarci che la Provvidenza permetta una tanto grande varietà di religioni, ci si dovrebbe piuttosto stupire dei numerosi elementi comuni che in essa si riscontrano”. Deve restare chiaro che i credenti delle diverse religioni non debbono attutire la loro identità alla ricerca (del tutto impossibile) di una sorta di religione universale comune. Il dialogo deve servire a spingere ciascun credente a scendere sempre più in profondità nel proprio Credo. Per noi cristiani, dialogare significa aumentare la fede in Gesù Cristo. E più andiamo al fondo della nostra fede, più riusciamo a comprendere la posizione e la ricchezza altrui. Come ha fatto il beato Giovanni Paolo II. Il dialogo in questo senso è una vera e propria rivoluzione spirituale e culturale. Forse è una via lunga, poco visibile, faticosa, ma è decisiva. Tra il fondamentalismo, che crede in un’unica verità posseduta in modo pieno ed esclusivo, e il relativismo, che nega persino l’idea di una sola verità, c’è la posizione di chi concepisce la verità come una, ma che non è posseduta interamente ed esclusivamente dai singoli credenti. Tutti siamo pellegrini verso la Verità, come non si stanca di ripetere Benedetto XVI.

Vincenzo Paglia