Diaconato di Roberto Cherubini

Diaconato di Roberto Cherubini

Care sorelle e cari fratelli,


 


questa nostra cattedrale, ancora piena della gioia del 12 gennaio scorso, continua oggi a fare festa accogliendo Roberto che riceve l’ordine del diaconato. Come molti di voi sanno, Roberto viene dalla Comunità di Sant’Egidio e sono particolarmente lieto di salutare tutti voi, care sorelle e cari fratelli di Sant’Egidio, venuti per fargli festa e accompagnarlo con l’affetto e la preghiera in questo momento così importante per la sua vita e per la Chiesa.


Il Vangelo ci immerge nel clima in cui Gesù si trovò all’inizio della sua vita pubblica. Gesù, dopo l’arresto del Battista, decide di inziare a predicare. Con il Battista messo in carcere da Erode, la parola della giustizia era stata incatenata e il deserto non udiva più quella voce: tornava ad essere davvero deserto, luogo arido di vita. Gerusalemme e tutta la regione tornavano ad essere mute e senza più profezia. Gesù, però, non si rassegnò al silenzio imposto da Erode; non voleva che gli uomini e le donne, che anche lui aveva visto penitenti e in cerca di speranza al Giordano, restassero in balia di una religiosità ritualista e cadessero sotto il giogo dei violenti che sempre nascono ogni qualvolta c’è povertà di parole e di ideali. Gesù non voleva che la gente restasse triste e abbandonata a se stessa.


Prese l’iniziativa e cominciò a parlare. Non più in Giudea, però, come Giovanni, bensì nella periferica Galilea, la più settentrionale delle tre regioni abitate dal popolo d’Israele. E da questa terra periferica, iniziava la predicazione del Regno di Dio. Qui Gesù raccoglie i primi seguaci e qui, da risorto, fece dire agli angeli “vi attende in Galilea”, attenderà i discepoli per il “secondo” inizio della predicazione evangelica. Insomma, la Galilea sembra assurgere a terra simbolica per ogni missione evangelica. Si potrebbe dire che se c’è da scegliere un luogo da cui partire per annunciare il Vangelo, questo dev’essere il luogo periferico e marginale, ove vivino gli esclusi, i disprezzati, i poveri, i malati, i piccoli, coloro che non contano nulla. Ebbene, in quei giorni, nella “Galilea delle genti” si sentì risuonare il Vangelo, la buona notizia. Gesù cominciò a dire: “il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”. “Il tempo è compiuto”, ossia sono terminati i giorni nei quali la violenza, l’odio, l’abbandono, l’ingiustizia e l’inimicizia hanno il sopravvento, e sono iniziati gli ultimi tempi, quelli della vittoria di Dio sull’odio e sul male. La storia degli uomini subiva una svolta brusca: “il Regno di Dio è vicino”. Era iniziato, appunto, il regno dell’amore, del perdono e della salvezza.


C’era stato già un segno a Ninive nei secoli passati, quando Giona con la sua predicazione fece convertire tutta la città, e fu salva. Ora, quel che accadde a Ninive si realizzava nella pienezza. Ninive, capitale assira e “città molto grande, di tre giornate di cammino”, è l’emblema di ogni città, anche delle grandi città contemporanee ove la corruzione spesso porta gli uomini a distruggersi a vicenda. Ebbene, Dio costrinse Giona a percorrere quella città predicando a tutti la conversione dai peccati. Al termine della predicazione di Giona: “i cittadini di Ninive credettero a Dio…e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece”. E il Vangelo di Matteo, in altra parte, afferma: “Ora c’è qui uno ch’è più di Giona” (Mt 12,41). Sì, Gesù è molto più forte di Giona. Con Gesù, infatti, inizia la vittoria definitiva dell’amore sull’odio e sulla morte. E noi possiamo dire con il profeta: “Come sono belli sui monti i piedi dell’evangelista che proclama la pace, che annunzia il bene, che proclama la salvezza, che dice a Sion: Regna il tuo Dio !”(Is 52,7).


All’intervento di Dio deve corrispondere l’impegno degli uomini. “Convertitevi”, chiedeva a tutti Gesù. Iniziò a dirlo su quelle rive del mar di Galilea a Simone e Andrea, mentre erano intenti a gettare le reti; e continuando il cammino lo disse ad altri due fratelli, Giacomo e Giovanni, anch’essi occupati a riassettare le reti per la pesca. Erano modesti lavoratori, considerati impuri e di dubbia reputazione; eppure a loro Gesù affidò un compito assolutamente straordinario: “Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”. Gesù proponeva loro, forse nell’unico linguaggio che potevano intendere, una nuova prospettiva di vita; una vita non più ripiegata nella pesca di sempre, con le solite reti e i soliti ritmi. Propose loro un’esistenza, ben più alta e ben più affascinante, in un nuovo mare, quello della storia, perché aiutassero gli uomini e le donne a salvarsi dalle acque tristi e agitate del mondo. Per i quattro pescatori iniziava un nuovo tempo, una nuova compagnia, una nuova pesca. Care sorelle e cari fratelli, il Signore torna lungo il mare delle nostre giornate, torna anche questa sera e rivolge a ciascuno di noi lo stesso invito di allora: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Torna per noi; e per te, caro Roberto, torna in modo particolare, chiamandoti al diaconato, al servizio della Parola di Dio e dell’Eucarestia, al servizio della Chiesa e della comunità. E ti chiama immergendo la tua vita nella sua. La sua chiamata diventa il tuo destino, la tua storia; il suo impegno diventa il tuo impegno, la sua missione la tua missione. Il Vangelo nota che “subito” i quattro lasciarono le reti e lo seguirono. Davvero, scrive Paolo, “il tempo si è fatto breve; d’ora in avanti quelli che hanno moglie vivano come se non l’avessero; coloro che piangono come se non piangessero; e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano come se non comprassero; quelli che usano del mondo come se non ne usassero appieno, perché passa la scena di questo mondo” (7, 29-31). Gli affetti, il pianto, il godere, il comprare, l’usare… spesso esauriscono le nostre giornate, la nostra mente, la nostra vita, a tal punto da rinchiuderla come in una rete inestricabile. Oggi c’è come una corsa inarrestabile verso se stessi, verso l’affermazione di sé, verso il culto del proprio corpo, tutti abbiamo paura di invecchiare, di non prevalere…Sembra che l’unica vera passione sia l’amore per se stessi e l’unico vero oltransismo l’affermazione del proprio io. Il Signore ci allontana da questa rete che imprigiona la nostra mente e il nostro cuore. Gesù vuole allargare il cuore, la mente, la vita, la felicità. Per questo ci chiede di piangere non su noi stessi ma assieme a coloro che sono nell’afflizione: così saremo consolati; vuole che gioiamo con chi è nella gioia: così saremo davvero felici. E’ quello che intuirono quei primi quattro discepoli, che fecero della sequala a gesù la loro vita. Il Vangelo è “la” nostra vita, è la tua vita. Questa parola, caro Roberto, ti indica il cammino: ascoltala con il cuore e vivila mentre la proclami all’assemblea dei credenti. Quei quattro discepoli, anche se non avevano capito appieno, si fidarono di quella parola, tanto che, “subito, lasciate le reti, lo seguirono”. La sostanza della vita cristiana è racchiusa tutta qui: ascoltare Gesù e seguirlo. Andrea e Pietro, Giacomo e Giovanni diventeranno apostoli e missionari, ma restarono sempre discepoli. Caro Roberto, tu oggi ricevi il diaconato, ma resti sempre discepolo. Sarai, con l’aiuto di Dio, consacrato sacerdote, ma sempre resterai “diacono”, ossia servo, appunto, come Gesù, venuto per essere servito ma per servire. E qui è la vera felicità, come Egli disse in altra parte: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.