Cosa significa credere?

Cosa vuol dire credere, per un cattolico? E’ una domanda importante se vogliamo comprendere bene il senso della nostra fede. Non basta, ad esempio, dire che Dio esiste. Lo afferma già la Lettera di Giacomo: “Tu credi (tu dici) c’è un solo Dio? Bell’affare! Anche i demoni credono a questo” (Gc 2,19); e non possiamo certo annoverarli tra i credenti. Per questo nel Credo diciamo credo in Dio e non credo che c’è un Dio. La fede infatti implica l’affidarsi totalmente a Dio e non semplicemente ammetterne l’esistenza. Ricordo il dialogo con un amico non credente. Per lui era scontata l’esistenza di un Essere superiore: “Se vedo questo libro è chiaro che qualcuno l’ha scritto e lo ha stampato. Ebbene, vedendo il mondo penso immediatamente che qualcuno lo ha creato”. E, scherzosamente, aggiungeva: “Questo qualcuno come minimo lo chiamo Dio. Ma – aggiungeva – io non ho fede, perché non coinvolgo la mia vita con Lui. La ragione mi dice che esiste un Creatore, ma non sono innamorato di Lui”. Il ragionamento non manca di efficacia. La fede, in effetti, si muove su un piano che richiede la partecipazione di tutte le dimensioni della persona umana. Certamente c’è un piano E’ un’esperienza originaria, fontale, una vera e propria risposta all’epifania dell’amato. La fede non viene come conclusione di un freddo ragionamento. Essa nasce quando si realizza un incontro con il Signore, si ascoltano le sue parole, e ci si innamora di Lui al punto da affidargli la nostra vita. Un grande filosofo, il danese Soren Kierkegaard, a tale proposito scriveva: “Perché ci si possa veramente fidare di un uomo, si esige la sua parola. Anche Dio ci ha dato la sua Parola: Cristo”. E’ quel che abbiamo celebrato a Natale: la Parola si è fatta carne, Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi. E noi lo accogliamo come il salvatore. La fede è perciò affidare la nostra vita a Gesù, certi che lui ci salva dal peccato, dalla tristezza e dalla morte. Il credente pertanto non è colui che aderisce intellettualmente a delle verità, è piuttosto colui che si lascia coinvolgere esistenzialmente da Gesù e dalle sue parole. Ovviamente l’esercizio della ragione non è escluso dalla fede; al contrario, è richiesto, altrimenti si cadrebbe nel fideismo, ossia un atteggiamento disumano. Papa Benedetto non si stanca di ripeterlo. Ma la sola ragione non basta, proprio perché la fede non è un suo frutto. L’atto di fede (credere) coinvolge tutto l’uomo perché si tratta di una decisione che vale la vita (una analogia possiamo vederla nell’innamoramento). Dobbiamo ritrovare il senso semplice dell’atto di fede: credere significa affidarsi a Dio. E affidarsi è molto più che capire; vuol dire coinvolgersi e compromettersi con Lui. In questo senso si cresce nella fede, ossia nell’innamoramento del Signore e dei fratelli. Per questo non si nasce cristiani, lo si diventa e non si finisce mai di diventarlo, così come non si nasce innamorati, lo si diventa. Ogni giorno dobbiamo credere, ossia affidarci a Dio. Ed Egli non ci abbandonerà, come canta il salmista: “Solo in Dio è tranquilla l’anima mia”.