Corpus Domini

Corpus Domini

Liturgia Eucaristica  Giovanni 6, 51-58


Care sorelle e cari fratelli,


la festa del Corpus Domini, pur non essendo molto antica, affonda le sue radici nel Vangelo stesso. Abbiamo appena ascoltato quel che Gesù disse alla folla raccoltasi nella sinagoga di Cafarnao: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Gesù aveva appena moltiplicato il pane per sfamare circa cinquemila persone che lo avevano seguito per ascoltarlo e per essere aiutate. Tutti erano rimasti stupefatti e dissero: “Davvero questi è il profeta che deve venire nel mondo!” Ne erano talmente convinti che volevano farlo loro re. Non era forse un pensiero lusinghiero? Ma Gesù – come tutti ricordate – fuggì da loro e si ritirò sul monte da solo a pregare, a parlare con il Padre, l’unico che davvero lo capiva. Perché Gesù fugge lontano dalla folla di cui peraltro aveva avuto compassione? Aveva forse sbagliato a moltiplicare il pane per loro? No, non aveva sbagliato Gesù. Non lo aveva capito quella folla che pure egli aveva saziato. E’ vero, continuarono a cercarlo, ma solo per saziare se stessi, per piegare Gesù alle loro voglie, magari legittime. Non era forse legittimo sperare di avere il pane? Non era forse legittimo per la samaritana insistere per avere facilmente l’acqua da bere? No, quella folla era distante dal cuore di Gesù, dalla sua compassione, dalla sua missione. Come del resto la samaritana, la quale tuttavia continuando a parlare con Gesù si lasciò toccare il cuore.
Gesù non era venuto per soddisfare il bisogno di qualcuno, tanto meno le voglie che ci passano per la testa. Gesù era venuto per salvare tutti gli uomini e tutte le donne, tutte le folle di questo mondo, dalla schiavitù della solitudine, dell’ingiustizia, della violenza, della guerra. Quella folla voleva saziare solo se stessa e i propri bisogni. Poco interessavano gli altri, e soprattutto poco era interessata a cogliere il cuore di Gesù, a comprendere e a imitare la sua compassione. Gesù aveva un cuore che batteva per gli altri, che si commuoveva per i deboli e per i peccatori, la folla aveva il cuore che batteva solo per se stessa e per il proprio bisogno. E’ questa la distanza incolmabile che separava quella folla da Gesù.
Care sorelle e cari fratelli, quante volte anche noi non capiamo! Quante volte anche noi siamo distanti dal vangelo! Quante volte anche noi, noi sacerdoti e noi fedeli, – pur venendo in Chiesa, pur trattando l’Eucarestia – pensiamo già di acer compreso il Vangelo e quindi non lasciamo che tocchi il nostro cuore e lo trasformi. E questo lo si vede dal fatto che continuiamo a fare tutto come sempre, senza che nulla cambi mai! Gesù continua a moltiplicare per noi il pane della sua Parola, continua a moltiplicare la sua Carne e il suo Sangue e spesso nulla cambia dentro il nostro cuore e tanto meno attorno a noi! E’ come se ci passasse sopra e scivolasse via! No, care sorelle e cari fratelli, facciamo della nostra mente una patena, facciamo del nostro cuore un calice che accolgono il corpo e il sangue del Signore Gesù perché ci trasformino in lui, perché nella nostra mente vengano i pensieri di Gesù e nel nostro cuore la sua compassione. Come a Cafarnao, anche oggi dice a noi: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda”. Queste parole, care sorelle e cari fratelli, mi hanno spinto, lo scorso anno, a concedere a tutta la diocesi il dono di fare la comunione con il corpo e il sangue del Signore. Sì, ho cercato anch’io di avere, come vescovo di questa diocesi, un cuore largo come quello di Gesù e non ho voluto fare altro che ripetere le sue stesse parole: “Prende e mangiate, prendete e bevete”. Sì, volevo e voglio che sia facile per ciascuno di voi, per i piccoli e per i grandi, per i sani e per i malati, per i giovani e per gli adulti, vorrei che sia facile avere la vita eterna come Gesù ha detto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò l’ultimo giorno”. Queste parole sono sante, sono vere, sono scolpite nell’Eucarestia. Certo dobbiamo stare attenti a ricevere il corpo e il sangue del Signore con attenzione, con disponibilità, e soprattutto con umiltà, sì, lo ripeto, con l’umiltà del cuore. Non come superbi e sciatti che fanno la comunione come un rito scontato. Ecco perché non dobbiamo lasciare cadere neppure una goccia, neppure un frammento. Ma non solo non lasciarlo cadere per terra; soprattutto non lasciare che Gesù sia morto e risorto invano per noi. Non dobbiamo fare la comunione invano, senza cioè lasciarci toccare il cuore, senza lasciarci commuovere dall’amore del Signore, senza far sorgere nel nostro cuore una domanda di aiuto, di soccorso, di sostegno, di consolazione.
E ricordiamoci le altre parole: “Chi mangia di me, vivrà per me”. Chi fa la comunione vive per Gesù e per gli altri. Vorrei che la processione del Corpo del Signore che faremo questa sera ci aiuti a cambiare il nostro cuore, i nostri sentimenti. Cammineremo per le vie di Terni assieme a Gesù, con u suoi pensieri, con i suoi sentimenti, con la sua compassione. E Gesù benedirà noi e questa nostra amata città.



Al Comune Luca 9, 11-17



Care sorelle e cari fratelli,


abbiamo ascoltato il Vangelo della moltiplicazione dei pani. Siamo nel cuore della nostra città, accanto al Comune. Queste parole esprimono il desiderio di Gesù di moltiplicare la vita per noi e per le folle che hanno bisogno di aiuto. Ieri abbiamo celebrato i tre anni della mensa di San Valentino frequentata ogni giorno da circa settanta persone che trovano a San martino non solo il pane ma anche amicizia e compagnia. L’ex convento di San Martino, divenuto il centro della Caritas, rappresenta in modo concreto l’intera dimensione della carità che deve essere vissuta da ciascuno di noi. Vorrei dire che la carità è il modo di essere presente della nostra diocesi dentro la città. Sì, seguendo il Signore, vogliamo moltiplicare l’amore perché tutti possano sperare in una vita più serena e dignitosa. Sono tanti coloro che nella nostra città hanno bisogno di conforto e di sostegno, penso ai malati, agli immigrati, alle persone con difficoltà, agli anziani soli, a chiunque è preso dall’angoscia. Care sorelle e fratelli allarghiamo il nostro cuore perché possa accogliere e consolare chiunque ha bisogno. Non posso dimenticare questa sera il grave problema che sta vivendo la nostra cara città di Amelia con la crisi di uno dei suoi principali luoghi di lavoro, lo stabilimento Federici; che è così vicino, potremmo dire, al pane eucaristico. Sarebbe davvero amaro che uno stabilimento che produce cibo chiudesse e lasciasse senza sostentamento molte famiglie della nostra diocesi. Chiediamo a Gesù, pane santo, che aiuti i responsabili a trovare una soluzione per questa grave crisi. Questa sera ci sentiamo particolarmente vicini agli operai che vedono messo in pericolo il loro lavoro e diciamo loro tutta la nostra solidarietà.
E vorrei anche che il nostro sguardo andasse oltre i confini della nostra diocesi. Ricordatevi fratelli e sorelle che l’amore quando si allarga non diminuisce, anzi si accresce. E con l’amore cresce anche la gioia nostra e di coloro che vengono aiutati. Debbo ringraziare il Signore perché dalla nostra diocesi sono nate non poche iniziative di solidarietà verso i paesi più poveri. Penso alla missione diocesana in Congo, un paese che proprio in questi giorni sta vivendo momenti particolarmente difficili, ove operano anche due nostri sacerdoti. E penso anche al Perù, al Kossovo, che proprio nella settimana scorsa ho potuto visitare, al Guatemala dove si stanno recando alcuni fratelli e sorelle, e a tanti altri luoghi. Questa sera è con noi padre Ottavio che è amministratore di Lesha in Albania ove la nostra diocesi, in un quartiere poverissimo, ha inviato volontari che hanno costruito un casa per aiutare i bambini e per portare un po’ di sollievo a quella popolazione. Vorrei che ci portasse la sua testimonianza.


In cattedrale, Giovanni 15, 12-17


Care sorelle e cari fratelli,
siamo giunti in cattedrale, in quel cenacolo ove Gesù celebrò la cena con i discepoli e ove pronunciò le parole che abbiamo appena ascoltato: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la propria vita per i propri amici”. Queste parole Gesù le ha ripetute a noi e alle nostre città con questa processione. Le ha ripetute con il fatto dell’Eucarestia. Quel pane che abbiamo posto sull’altare viene spezzato per noi e per tutti. Sì, l’Eucarestia è il segno di un amore che non consoce i limiti, neppure quelli temporali. Gesù continua nei secoli e in ogni luogo della terra ove si celebra una Messa a dare la sua vita, a farsi cibo e bevanda di salvezza per chi se ne nutre. Egli da la sua vita per noi e per le nostre città.
Per questo può chiederci di amarci gli uni gli altri. E’ il suo ultimo comandamento. Il suo testamento. Che ne abbiamo fatto di queste parole? Che senso hanno per me, vescovo? per noi, sacerdoti, diaconi? Per noi, fedeli? E per evitare di essere frainteso, chiarisce: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”. Sa bene Gesù che questo comando è alto e arduo. Ma egli ci vuole perfetti, com’è perfetto il Padre suo che sta nei cieli. Lasciamo toccare il cuore da queste parole. Non ci ritraiamo, non abbiamo paura dell’amore, non temiamo di lasciarci amare. Spesso siamo come travolti dalla paura di perdere qualcosa di noi stessi. No, non abbiate paura di lasciarvi amare. Il Signore vuole la nostra gioia e la nostra salvezza.
Ma come lasciarsi amare da Gesù? Questa sera ascoltiamo quel che egli ci dice: “Voi siete miei amici se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma io vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi”. Care sorelle e fratelli, di fatto, Gesù sta parlando del Vangelo. Cos’è il Vangelo se non ciò che Gesù ci ha detto dopo averlo udito dal Padre? E cos’è quel che è stato scritto se non una lettera d’amore di Dio a noi? E se noi ascoltiamo il Vangelo e cerchiamo di metterlo in pratica diventeremo amici di Gesù. E’ semplice: la via dell’amicizia con Gesù è l’ascolto del Vangelo. Certo, non basta ascoltare con l’orecchio. Un antico padre della Chiesa diceva che l’inferno era pieno di orecchie. Noi non vogliamo che il Vangelo giunga solo alle nostre orecchie e scivoli via. Noi vogliamo ascoltare per nutrirci del pane della parola perché cambi il nostro cuore, irrobustisca la nostra mente e rafforzi il nostro amore.
Ho pensato questa sera – proprio sulla scia di queste parole del Signore – di donarvi un libretto con il commento del Vangelo della Messa quotidiana per tutto questo tempo fino all’inizio dell’Avvento. E’ un breve commento al Vangelo che può essere letto ogni volta che si celebra la Messa o anche può essere letto a casa per chi non va a Messa durante la giornata. Come mi sento? Un po’ come quella madre che spezza il pane per i suoi figli perché possano nutrirsi senza problemi, perché ciascuno possa mangiare senza fatica il pane della salvezza. A volte se il pane è troppo duro lo si butta o se è troppo alto e spesso non si riesce a mangiarlo. Ho voluto – senza per questo imporre nulla a nessuno, ci mancherebbe altro – aiutarvi a nutrirvi del pane della Parola di Dio. E comunque l’ho fatto con amore, con passione per voi, perché vi amo e voglio che cresciamo tutti nell’amore e nella comprensione del Signore Gesù che continua a dirci: “Amatevi gli uni gli altri”.