Convegno sulla Bioetica all’Ospedale di Terni

Convegno su Bioetica e nuove frontiere della medicina

Bioetica, scienza e nuove frontiere della medicina

Una riflessione sulle frontiere delle malattie genetiche è sommamente opportuna. Non c’è dubbio che sia tra le più delicate del secolo appena iniziato. La nascita del Centro di ricerca a Terni ci interpella in maniera ancor più diretta. Il dibattito, infatti, sino ad ora ha interessato per lo più solo gli esperti, gli scienziati e qualche moralista. Sappiamo però che le nuove tecnologie della bioetica ben presto invaderanno il mercato e le nostre vite. E’ bene pertanto che il dibattito vada al di là degli esperti e includa l’intera società. Urge una seria riflessione sui benefici e sui rischi di questa nuova scienza che riguarda appunto alla genetica. E’ bene che la discussione sia ampia e profonda. Si toccano forse le corde più delicate dell’intero sistema biologico, direi, anzi, il senso stesso dell’esistenza. Ci troviamo di fronte al mistero della vita e tutti, in certo modo, balbettiamo. Ma proprio per questo ciascuno è chiamato a riflettere e ad offrire il proprio contributo.
Vorrei dire, anzitutto, che sono rimasto impressionato da quella letteratura che, senza mezzi termini, sbatte davanti agli occhi l’orrore cui può giungere la manipolazione genetica. Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends, afferma che se il secolo passato è stato il secolo della tecnologia nucleare, quello appena iniziato sarà segnato dalla biologia e particolarmente dall’ingegneria genetica. L’interrogativo di fondo è se la tecnologia dell’ingegneria genetica sia davvero controllabile, e quindi, in estrema sintesi, se sia o no benefica per l’umanità. Di fronte agli entusiasmi di molti circa tale nuova prospettiva, viene in mente quanto accadde con la tecnologia nucleare. Dall’entusiasmo delle prime scoperte si passò presto al dramma delle guerre nucleari e poi delle centrali nucleari. Fa pensare a tale proposito la scelta fatta da uno scienziato dell’Umbria, Franco Rasetti, morto il 5 dicembre 2001. Rasetti era uno del gruppo di giovani fisici italiani di via Panisperna; divenne braccio destro di Enrico Fermi. Ebbene, negli anni Trenta, quando le ricerche sui neutroni divennero argomento di laboratori segreti con l’obiettivo dichiarato di ottenere una tremenda arma di distruzione, Rasetti si rifiutò di partecipare a tali ricerche e iniziò l’attività di scienziato in tutt’altro campo: i raggi cosmici. Dico questo per sottolineare la gravità delle questioni che si stanno aprendo. Da molte parti, ad esempio, si torna a parlare di eugenetica, ossia di manipolazione genetica per “migliorare” le caratteristiche di un organismo.
Lo storico americano Francis Fukuyama che nell’89 scrisse il noto volume “La fine della storia”. Con il crollo del comunismo l’intero pianeta si avviava verso l’unico modello di sviluppo, quello liberaldemocratico. In tal senso non vi era più dialettica. Ha dovuto però ricredersi. Nel nuovo volume L’uomo oltre l’uomo scrive: “Considerando le numerose critiche avanzate nei confronti di quell’articolo, mi sono persuaso che l’unico argomento irrefutabile sostenuto da chi non era d’accordo con la mia tesi era il rifiuto della possibilità di giungere alla fine della storia prima che fosse esaurito il progresso scientifico”(p.3). E aggiunge che quanto viene minacciato dal terrorismo, anche quello dell’11 settembre, è insignificante rispetto al pericolo che minaccia la nostra civiltà con un progresso scientifico privo di principi etici e morali. E ribadisce: “Questo libro non si occupa di armi biologiche ma ribadisce la necessità, di fronte all’emergere di una reale minaccia bioterroristica, di sottoporre gli utilizzi della scienza e della tecnologia a un controllo politico più attento”(5). E’ in questione la fine stessa dell’uomo.
Per il credente si apre un’orizzonte arduo di riflessione. Vorrei però partire da una riflessione che nasce dalla lettura della prima pagina della Sacra Scrittura. Al momento della creazione l’autore sacro scrive che Dio dice all’uomo di dominare la terra e di assoggettarla. Si stabilisce quindi un primato dell’uomo sulla creazione, significato dal potere di dare il nome agli altri esseri viventi. E dare il nome indicava non un semplice appellativo di distinzione, bensì l’essere stesso delle cose. L’uomo pertanto è destinato ad operare per il progresso del creato. Ma la sua azione deve avvenire all’interno di un orizzonte morale. Non si tratta di soggiacere a divieti arbitrari, ma di operare per uno sviluppo integrale del creato con al centro la dignità dell’uomo. Ogni alterazione indebita di questo quadro, che peraltro non è fissato in tutti i suoi dettagli, è un bumerang che ci si rivolta contro. E’ in questa ottica, ad esempio, che va compreso l’impegno per la salvaguardia del creato. Ebbene, in questo orizzonte va compreso anche il dibattito sulla genetica.
Non c’è dubbio che ci troviamo di fronte ad un campo delicatissimo. Lo stesso fondatore dell’ingegneria genetica, P.Berg, nella sua Nobel Lecture, tenuta l’8 dicembre 1980 affermava: “L’avvento e l’uso diffuso della tecnologia del DNA ricombinante…ha sollevato il problema se certe indagini al confine tra la nostra conoscenza e la nostra ignoranza dovrebbero essere sospese per timore di ciò che potremmo scoprire o creare. Di più i problemi etici che sono stati sollevati, in alcuni settori, su queste strategie porteranno certamente confusione intorno alle prospettive scientifiche e mediche con cui dovremmo confrontare”. E terminava: “E’ comunque necessario procedere”.
Ma è ovvio che non si può procedere a occhi chiusi. Giovanni Paolo II, riferendosi alle sperimentazioni biologiche, ne sottolineava “gli importanti vantaggi”, ma successivamente avvertiva che l’espressione “manipolazione genetica” resta ambigua e deve essere chiarita sul piano etico perché “nasconde da una parte dei tentativi avventurosi tendenti a promuovere una sorta di superuomo e, d’altra parte, dei tentativi positivi volti alla correzione di anomalie, quali alcune malattie ereditarie”. Quindi, mi pare di dover dire che sotto il profilo morale l’obiettivo della terapia genetica sia positivo, perché intende curare malattie genetiche dalla radice, ossia a livello del gene, o correggendolo o sostituendolo. Comunque in questi casi si potrebbe forse iniziare a parlare di “Chirurgia genetica”. E’ chiaro però che va considerata anche la modalità concreta d’intervento: credo, ad esempio, che sia del tutto inammissibile servirsi, per la ricerca, di embrioni umani. Qualche tempo fa in un editoriale il New York Times si chiedeva: “E’ il caso di fare degli esseri umani perfetti?” La domanda nasceva e nasce dalla pratica impossibilità di tracciare la linea divisoria tra riparare difetti genetici ereditabili e migliorare la specie. Questo secondo caso apre una voragine di interrogativi a partire dal primo e per certi versi più inquietante: qual è il modello di perfezione a cui adeguare gli esseri umani? E, l’altro, particolarmente crudele: i disabili, quelli di oggi, dobbiamo considerarli solo degli errori di codice genetico?
Se, infatti, è moralmente giustificabile l’Ingegneria Genetica terapeutica, mi pare del tutto pericolosa quella alterativa, ossia quella tesa a modificare il patrimonio genetico per formare soggetti umani che noi diciamo perfetti. Si potrebbe dire che la differenza tra le due sta soprattutto nell’obiettivo. Ambedue mirano a “modificare” il patrimonio genetico, ma la prima modifica un patrimonio affetto da patologia (con i problemi che rilevava l’editoriale del New York Times), quella alterativa modifica un patrimonio sano e quindi cambia di fatto l’identità personale.
Questo tipo di intervento, lo ripeto, è gravido di rischi, e non abbiamo spazio per parlarne. Non mi fermo alla questione scientifica; dico solamente: alcune certezze della tecnologia genetica sono immerse in un tale alone di incertezze da chiedersi se esse siano in grado di onorare i sogni che promettono. Né è possibile accettare che la scienza debba andare avanti a qualunque costo e in qualsiasi direzione e senza alcuna regola. Anche la scienza è per l’uomo e non viceversa. Una scienza, qualsiasi scienza, slegata da una dimensione etica e quindi di pensiero generale della vita distruggerà anche se stessa. Per fermarci a qualche interrogativo in questo campo, cosa dire di coloro che “selezionano” i geni della “felicità” o quelli della “grande ansia”, per determinare la socialità delle persone? E siamo coscienti del rischio di un ritorno della “natura” che spodesta l’educazione? In tal caso basterebbe acquistare il gene della “felicità” e immetterlo nel DNA. C’è chi ha detto che alla base di molti problemi dell’umanità ci siano i geni, ovviamente patologici, e non le scelte morali liberamente compiute. Questa preoccupazione porta Jonathan Beckwit, professore di microbiologia all’università di Harvard, a dire ai suoi colleghi di avere maggiore equilibrio altrimenti si rischia che la nuova scienza diventi l’ancella di una politica basata sull’eugenetica.
E qualche prospettiva preoccupante può essere già ipotizzata. Che dire di eventuali “brevetti” sui geni? Rifkin sostiene che un ristretto numero di multinazionali e di governi potrebbe riuscire ad ottenere il brevetto di tutti i 100.000 geni che compongono il corredo genetico della razza umana e di tutte le cellule, gli organi e i tessuti che formano il corpo umano. Si tratta di un potere senza precedenti nella storia umana: potrebbero dettare i termini secondo i quali noi e le generazioni future condurrebbero le nostre vite. La “replicazione” (clonazione) prenderebbe il posto della “riproduzione”; e sarà anche possibile evitare la gestazione e far crescere i figli in uteri artificiali; come pure sarà possibile creare esseri ibridi, uomo/animale; oppure progettare “figli perfetti”.
E’ ovvio che in tale contesto debba entrare la dimensione etica della vita, che porta a superare il ristretto confine della scienza per rivolgersi all’intero contesto della persona umana. Sul piano religioso è chiara per il credente quale sia la via, per lo meno nel quadro generale di riferimento. Ma, data la pluralità delle culture di riferimento, è necessario trovare anche alcune direttrici etiche comuni. C’è anzitutto un “diritto – riconosciuto dal Consiglio d’Europa (1992) – a ereditare caratteri genetici non manipolati”. Si aggiunge subito però che questo diritto non può contrapporsi al ricorso all’ingegneria genetica per trattare ed eliminare “patologie trasmesse per via genetica”.
Mi pare fondamentale che sia rispettata anzitutto l’inviolabilità della identità di una persona umana. E’ una frontiera invalicabile, questa. Altrimenti i rischi di una deriva razzista sono assolutamente vicini. C’è un filo comune che lega il “figlio perfetto”, la “razza pura” e la “pulizia etnica”. Una citazione: “Spero ardentemente che agli uomini disonesti venga impedito del tutto di procreare; e che ciò avvenga non appena la cattiva natura di questa gente sia stata sufficientemente provata. I criminali dovrebbero essere sterilizzati e ai malati di mente dovrebbe essere vietato avere dei figli…è importante che solo la brava gente si perpetui”. Non sono parole pronunciate da un nazista. Appartengono al 26° Presidente degli USA, Theodore Roosvelt e a tutti coloro che a cavallo dell’Otto-Novecento negli Usa auspicavano la creazione di una razza pura o di “sangue migliore”.