Consacrazione nuovo altare di San Valentino
Carissimi religiosi e religiose, care sorelle e cari fratelli,
grande è la mia gioia in questa celebrazione. Ho desiderato molto che in questo santuario così caro alla nostra città risplendesse ancor più la centralità dell’altare e della Parola di Dio. Ed ho voluto benedire l’ambone e consacrare il nuovo altare nella festa del due febbraio, giorno di Presentazione di Gesù al Tempio, chiamando i religiosi e le religiose della nostra chiesa diocesana. Sento vicine anche le sorelle dei tre monasteri di clausura: le benedettine di Amelia, le clarisse e le carmelitane di Terni.
La memoria della Presentazione di Gesù al tempio, come voi sapete, si collega alla legge mosaica secondo la quale la madre, quaranta giorni dopo la nascita del primogenito, doveva presentarlo al tempio. Ebbene, desidero che questa antica chiesa diocesana, madre di noi tutti, presentasse oggi a Dio tutti voi, religiose e religiose. Voi siete, in certo modo, i primogeniti di questa Chiesa, ossia coloro che con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze dedicano l’intera loro vita a Dio. E oggi vorremmo ripetere questa dedicazione presentandovi al Signore come il frutto più bello che abbiamo. L’altare che stiamo per consacrare custodisce le reliquie di San Valentino, un testimone della nostra terra che ha amato Gesù, più di se stesso, sino all’effusione del sangue. E’ su questo martire che poggia la nostra Chiesa. Il suo sangue, il suo amore senza limiti, ha dato origine alla nostra Chiesa diocesana. Sono stato particolarmente sorpreso dell’accoglienza avuta a Mosca del piccolo frammento del corpo di San Valentino. Il Patriarca Alessio, come il vecchio Simeone, è venuto incontro con le braccia stese e ha preso il reliquiario baciandolo e venerandolo con una intensità commovente. I suoi occhi, seppure segnati dalla recente malattia, brillavano di gioia. Valentino ha varcato con il suo corpo l’intera Europa dicendo che non c’è amore più grande di quello di dare la propria vita per il Signore e per i fratelli. Ecco l’amore sul quale è nata la nostra Chiesa diocesana. Questo amore è divenuto la sorgente di quel fiume di amore che è giunto sino a noi.
Tutti dobbiamo dissetarci a questa fonte. Soprattutto voi, sorelle e fratelli religiosi, che dovete mostrare visibilmente e con chiarezza la bellezza e la forza di questo amore. Vivere e mostrare questo amore è il senso di tutta la vostra vita, di tutta la vostra missione. E questa è tutta la vostra gioia. L’altare che consacriamo è un momento di grazia e di benedizione che il Signore concede anche a voi perché, anche visibilmente, torniate a consacrare tutta la vostra vita a Dio. La consacrazione dell’altare dice a ciascuno di noi e a voi in particolare: prima di essere una serie di opere, prima di essere un cumulo di iniziative anche buone, voi siete un altare, siete un corpo e un cuore offerti al Signore. Come l’altare è segno di Crsito, e per questo viene unto, benedetto, vestito, ornato, incensato, amato, così voi cari religiosi e religiose venite benedetti, vestiti, e ornati per rendere culto a Dio. Sì, potremmo dire che l’altare è il segno di Gesù, il primo martire, il primo religioso, la prima religiosa. Stringiamoci perciò attorno a Lui, pietra angolare, per divenire anche noi pietre di un edificio spirituale, casa di preghiera e luogo di misericordia.
Abbiamo ricordato il viaggio della Santa Famiglia da Betlemme a Gerusalemme. La luce consegnata nelle nostre mani ci unisce a Simeone ed Anna che accolgono il Bambino, “luce che illumina le genti”. E’ piccolo Gesù, ha appena quaranta giorni, e subito compie il suo primo viaggio verso gerusalemme. Prefigura l’ultimo. Gesù tornerà nella città santa santa termine della sua vita, non più offerto nel Tempio e non più tra le braccia di Simeone, sarà invece condotto fuori e inchiodato sulle braccia della croce. Oggi le braccia di Simeone lo prendono e lo stringono con affetto, ma nelle parole di questo saggio vecchio si delinea già il futuro del Bambino: “sarà rovina e resurrezione per molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelasti i pensieri di molti cuori”, e guardando la madre – quasi prefigurando la scena della croce – aggiunge: “anche a te una spada trafiggerà l’anima”. Come prima fecero Maria e Giuseppe, ora anche Simeone “prende il Bambino con sé” ed è riempito di una consolazione senza limiti tanto che dal suo cuore salì una tra le preghiere più belle della Bibbia: “Ora lascia, o Signore che il tuo servo vada in pace…perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti”.
Era anziano Simeone, come pure la profetessa Anna (il Vangelo ne precisa l’età, ottantaquattro anni). Ci vengono incontro oggi per ripeterci che un bambino, non forte né ricco, anzi debole e povero, può consolare, rallegrare e rendere operosa la vita, anche la vecchiaia. In quel bambino trovarono una nuova energia. Ambedue, assieme ai pastori e ai magi, furono i primi missionari del Vangelo. Care sorelle e cari fratelli accogliamo tra le nostre braccia Gesù, diventeremo anche noi altari viventi, diventeremo anche noi Vangelo vivente e riscopriremo la gioia dell’amore e la forza della testimonianza. Questo “solenne incontro” – così veniva chiamata queta festa – tra un Bambino e questa vecchia Chiesa rivela quanto sia piena e gioiosa la vita: il Bambino, il piccolo libro dei Vangeli, posto nelle nostre mani e nel nostro cuore opera ancora oggi miracoli incredibili. E Gesù compirà miracoli se lo accogliamo tra le nostre braccia.