Come dire la fede

Con quali parole i cristiani debbono dire, all’inizio di questo nuovo secolo, la loro fede di sempre? Da duemila anni, infatti, a ogni tornante della storia, i discepoli di Gesù affrontano la grave ed esaltante avventura di comunicare il Vangelo al mondo. Fu lo stesso Maestro a esortare gli apostoli, proprio mentre li stava lasciando, ad andare e “ammaestrare tutte le nazioni… insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”(Mt 28,19). Da allora ogni generazione cristiana ha vissuto l’impegno di comunicare la fede ai contemporanei e nello stesso tempo di consegnarla alla generazione successiva. È la fede di sempre quella che una generazione consegnata all’altra (il termine “Tradizione” significa appunto trasmettere, dalla parola latina “tradere”). Tuttavia, la diversità dei destinatari (diversità di storia, di cultura, di civiltà, di sensibilità) obbliga, di volta in volta, a trovare un linguaggio nuovo perché il contenuto di sempre sia comprensibile a coloro a cui è rivolto. Qualora non lo si facesse si correrebbe il rischio di rendere incomprensibile lo stesso messaggio cristiano. Il Concilio Vaticano II è stato esattamente questo: mettere la Chiesa in dialogo con la società di oggi. Paolo VI, con grande sapienza, diceva che era necessario “rendere la Chiesa del XX secolo sempre più idonea ad annunciare il Vangelo all’umanità del XX secolo”. E Giovanni Paolo II, nel traversare la soglia del nuovo millennio, riproponeva la stessa prospettiva: “Non si tratta di inventare un ‘nuovo programma’. Il programma c’è già: è quello di sempre… Esso si incentra in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento… È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace. Questo programma è il nostro per i terzo millennio”. Il Credo cristiano non è un freddo monolite, immobile e fisso nei secoli. Paradossalmente, esso conserva la sua vera identità solo se diviene comprensibile alle diverse generazioni che si susseguono nella storia, ossia se riesce, come accadde alla prima predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste, a “trafiggere l’anima” di chi ascolta (At 2,37). Del resto, cos’è la Rivelazione se non la vicenda straordinaria di Dio che scende per parlare con gli uomini? L’inizio della Lettera agli Ebrei lo dice chiaramente: “Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”(Eb 1,1-2). Cari amici, ogni generazione cristiana – anche la nostra – deve comprendere con la mente e con il cuore il Vangelo per poterlo trasmettere in maniera comprensibile agli uomini del proprio tempo. Dobbiamo perciò interrogarci: con quali parole dobbiamo dire la fede all’inizio di questo nuovo millennio? E’ lo straordinario impegno che Benedetto XVI compie personalmente con il suo magistero. Ed egli chiede a noi cristiani di fare altrettanto. Pesa sulle nostre spalle la responsabilità di comprendere noi anzitutto e poi di “dire” Dio agli uomini e alle donne di questo tempo immersi un clima culturale slabbrato, confuso, ognuno crede di poter pensare come vuole. E’ quel soggettivismo relativista che non fa bene a nessuno, nemmeno a se stessi. Tutto è optional, anche la fede e i suoi contenuti. “Religioni, filosofie, sistemi di valori, concezioni politiche – notava uno scrittore italiano – si allineano in bell’ordine sui banchi di un supermarket e ciascuno – a seconda del bisogno o della voglia del momento – prende da un ripiano o dall’altro gli articoli che gli pare, due confezioni di cristianesimo, tre di buddismo zen, un paio di etti di liberalismo ultrà, una zolletta di socialismo, e  li mescola a piacere in un suo coktail privato”. Tutto diviene confuso e senza più confini. Anche i contenuti della fede cedono il passo a una fede magmatica senza più identità e quindi senza più forza. Di qui la ragione di comunicare nuovamente la fede cristiana nei suoi tratti e nei suoi contorni, per permettere a ciascuno di confrontarsi con essa fino in fondo. Sul credente grava il compito di trovare le parole adeguate perché la fede sia comprensibile, oggi. San Pietro esortava i cristiani: “Siate pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (I Pt 3,15). Una fede che non sa dirsi (ovviamente sono tanti i modi per dirla; a volte la testimonianza silenziosa è ben più eloquente di molte parole) rischia di essere vuota e inutile. Si potrebbero applicare anche in questo caso le parole evangeliche: “Se il sale perde il suo sapore con che cosa lo si potrà render salato?”(Mt 5,13). Attraverso questa rubrica, con semplicità e quasi sottovoce, vorremmo accompagnare i lettori nell’affascinante tesoro della fede cristiana. Essa non solo rischiara le nubi, soprattutto riscalda il cuore e aiuta a vivere.