Chiusura del Giubileo

Chiusura del Giubileo

Care sorelle e cari fratelli,


 


con questa santa liturgia si chiude il Giubileo della nostra diocesi. Per tre anni ci siamo preparati. E la presenza in mezzo a noi di Mons.Gualdrini sta a testimoniare la preziosità del cammino percorso. Lo ringrazio per quanto ha fatto perché questa chiesa potesse celebrare con pienezza il Giubileo. Su suo invito le realtà ecclesiali, coralmente, si sono fatte pellegrine verso la santità e con un cuore aperto a tutti, particolarmente ai lontani. Nel documento che sintetizza gli anni di preparazione: “Il Giubileo dei lontani e della santità”, egli esortava ad aprirsi al dono della santità e a rendere tutti consapevoli di questa vocazione. Una Chiesa pellegrina, così io ho incontrato questa diocesi al mio ingresso. E ringrazio ancora il Signore per avermi fatto dono di questa chiesa. Sì, posso dire che per me il Giubileo ha significato questo dono. E davvero posso cantare con il salmista: “Per me la sorte è caduta in una terra buona”.


Ho trovato una Chiesa che si era fatta pellegrina e abbiamo continuato il nostro cammino entrando nel terzo millennio. Ci eravamo fatti pellegrini nei luoghi santi anche dell’Umbria; come non ricordare il pellegrinaggio fatto ad Assisi con gli anziani? Ma ci siamo incamminati anche verso questa nostra cattedrale. Siete venuti qui dai quattro angoli della città all’apertura della porta santa, ed oggi ci troviamo ancora, e più volte, durante il 2000, ci siamo raccolti per le diverse assemblee diocesane in questa cattedrale. Essa diviene sempre più il cuore della nostra diocesi. Il restauro della facciata e l’impegno a lasciare un segno anche nella sua porta centrale, la “porta santa”, stanno a significare il desiderio che la diocesi si faccia sempre più trasparente al Vangelo. E poi siamo andati a Roma, per rafforzare la nostra comunione con il Papa e per poter rinsaldare le radici della nostra fede. Come non ricordare il grande incontro di tutta la diocesi con il Papa quel 18 ottobre quando piazza San Pietro era piena della nostra gioia? Ed io stesso mi son fatto pellegrino negli ospedali e nelle carceri per portare a tutti l’annuncio dell’amore del Signore. Vorrei poter raccogliere tutti gli eventi che nell’anno passato hanno segnato la vita della nostra diocesi e delle nostre parrocchie, penso al giubileo dei giovani con le splendide giornate a Ternie poi a Roma, e a tutti gli altri eventi del volontariato, del mondo del lavoro, del mondo dello sport, dei bambini, dei catechisti e delle diverse realtà ecclesiali, e altri ancora. Essi sono tutti segnati nel cuore di Dio e sono seme fecondo per la nostra vita.


L’anno giubilare non è stata una parentesi felice. Per noi è stato un anno di immersione nel mistero di Dio. E’ stato perciò un anno di grazia. Un grande dono prima che un’opera nostra. Vorrei immaginare l’anno trascorso come un evento battesimale. Sì, per la nostra Chiesa il Giubileo è simile a quanto accadde a Gesù nel giorno del suo battesimo. Per lui fu un evento straordinario che gli sconvolse la vita. Da quel giorno Gesù non fece più le stesse cose di prima, potremmo dire, non fu più lo stesso. Scrive Luca: “Il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto”. Noi possiamo affermare che il Giubileo ha aperto il cielo su di noi ed ha fatto scendere sulla nostra vita la forza dello Spirito Santo. Non abbiamo forse partecipato ad eventi santi? Non abbiamo anche noi vissuto momenti straordinari? Non abbiamo avuto anche grandi sogni e grandi visioni sia per la vita della nostra diocesi che per la vita delle nostre città? Il cielo non è chiuso davanti a noi. Anzi, si è aperto con larghezza. E noi possiamo camminare alla luce del Vangelo, come questo pomeriggio abbiamo fatto dalla chiesa di San Francesco al Duomo. Certo, non dobbiamo restare, come al solito, con gli occhi fissi solo su noi stessi e sulle nostre abitudini, anche religiose. C’è una stella davanti ai nostri occhi: il Vangelo. Permettetemi, anzi, di aggiungere che il Vangelo di Luca che ci è stato consegnato possiamo paragonarlo allo Spirito Santo disceso in forma corporea su Gesù: come la colomba si è posata sul capo di Gesù, così il Vangelo è stato deposto nelle nostre mani. Siano esse come il nido ove quella parola cresce e si sviluppa. E sono certo che se ascoltiamo con cuore attento il Vangelo, anche noi sentiremo sulla nostra carissima diocesi le parole evangeliche: “Tu sei il mio figlio prediletto: in te mi sono compiaciuto”. Questa diocesi è anch’essa figlia prediletta di Dio. Su di essa è rivolto il suo sguardo tenero di Padre. Beati noi, se come Gesù, sapremo ascoltare quella voce e commuoverci per la sua indicibile tenerezza!


Dopo il Battesimo per Gesù iniziò una nuova vita. Non faceva più le stesse cose di prima. Lasciò Nazareth, lasciò la sua casa, la sua terra e iniziò la vita pubblica. Iniziò a parlare apertamente del Vangelo, ad avere compassione per le folle, per i deboli, per i poveri, e prese a curare ogni malattia e infermità. Così deve essere anche per noi, per ciascuno di noi personalmente, per le nostre singole parrocchie e per l’intera diocesi. Dobbiamo comprendere pertanto cosa vuol dire non vivere più per noi stessi; cosa significano le sue parole: “non sono venuto per essere servito ma per servire”. Cosa vuol dire per noi, allora, lasciare Nazareth e iniziare una vita pubblica? Certamente vuol dire non restare bloccati sulle cose che sempre abbiamo fatto. Ma vuol dire soprattutto aprirsi al Vangelo. Vuol dire essere più generosi, meno egoisti, anche nelle proprie tradizioni religiose. Intraprendere la vita pubblica significa che nessun credente può fermarsi all’amore per se stesso; che nessuna parrocchia può contentarsi della sua vita interna; che la nostra diocesi deve vivere non per sé ma per tutte le nostre città e i nostri paesi. Per tutti noi vuol dire avere un cuore grande come il cuore di Dio, un amore che non consoce limiti. Ma ci diremo di tempo in tempo le tappe del nostro pellegrinaggio nel tempo che viene. Questa sera, al termine della liturgia, verrà letta una mia lettera sui prossimi tre impegni diocesani, su tre priorità: il Vangelo, la domenica e i poveri.


Il Papa ha esortato tutti i cristiani ad entrare nel nuovo millennio con più coraggio evangelico e con più amore. Il Signore ci dona un compito grande. E’ quello che diede al profeta Isaia, come abbiamo ascoltato: “Consolate, consolate il mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù”: Sì, care sorelle e cari fratelli, parliamo al cuore di Terni, al cuore di Narni, al cuore di Amelia, al cuore di tutti i nostri paesi, e gridiamo loro che è finito il tempo della tristezza. Un nuovo tempo si apre davanti a noi, è il tempo in cui, come ricorda Paolo, “è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini”. Sia ringraziato il Signore perché ha guardato l’umiltà di noi suoi servi, e tuttavia ci rende partecipi del suo grande sogno di amore e di pace. Amen.