Charlie Gard, Paglia: “Fa ribrezzo staccare la spina ad un malato”

di ANDRÉS BELTRAMO ÁLVAREZ
CITTÀ DEL VATICANO

«Staccare la spina ad un malato è una cosa che mi fa ribrezzo». Ed «è orribile che i tribunali decidano della vita di una persona». Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia della Vita, torna sul caso del piccolo Charlie Gard, il neonato britannico affetto da una rara patologia genetica al quale, secondo una decisione della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, verrà spenta la macchina che lo aiuta a respirare artificialmente.

La lotta della sua famiglia per mantenerlo in vita e per dargli una possibilità nonostante la sua tremenda malattia, ha commosso l’opinione pubblica del Regno Unito e del mondo. Proprio ieri il Papa è intervenuto tramite una dichiarazione del portavoce vaticano Greg Burke, chiedendo di «rispettare la volontà dei genitori». «Una reazione tardiva» criticano tuttavia alcuni osservatori, gli stessi che affermano che le parole di Bergoglio siano una «correzione» alla dichiarazione diffusa dalla Pontificia Accademia della Vita lo scorso venerdì 30 giugnoIn quella nota, firmata da monsignor Paglia, si affermava che: «Non si può mai porre in essere alcun gesto che metta fine intenzionalmente a un’esistenza umana». Al contempo si sottolineava che vanno «riconosciuti anche i limiti di ciò che si può fare, certo dentro un servizio all’ammalato che deve continuare fino alla morte naturale».

Dichiarazioni giudicate ambigue e inutili da parte dei diversi settori pro-life all’interno e all’esterno della Chiesa verso un caso a dir poco drammatico. Estremo. «Dire che il Papa corregge l’Accademia della Vita vuol dire essere in mala fede, vuol dire non aver letto le dichiarazioni né di uno né dell’altro, o meglio ognuno dice ciò che pensa distorcendo le affermazioni. Anche perché è ovvio che tra il Papa e l’Accademia esiste un rapporto», afferma monsignor Paglia a Vatican Insider.  

«Io sono intervenuto in diverse occasioni – prosegue – è chiaro che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. La vita va sempre difesa, amata, circondata da affetto e non solo di tecnica. La vita non va mai umiliata, accorciata. La vita va sempre accompagnata, con affetto, all’interno di quella alleanza terapeutica che non deve essere mai interrotta tra medico, malato, familiari, amici anche. Guai ad affidare a tribunali decisioni che riguardano situazioni complesse di fronte alle quali ci troviamo davanti al mistero della morte. Io ho orrore nel sentire che sia un tribunale a decidere, ho orrore nel dire che a una persona gli si diano i tempi supplementari. Siamo pazzi? La vita va accompagnata amata, e la responsabilità della decisione va presa a livello “collegiale”». 

Semmai, secondo l’arcivescovo, «dobbiamo essere attenti a un amore che sia davvero amore e non egoismo, e cioè a capire che quello che la Chiesa chiama accanimento terapeutico va evitato perché non fa il bene della persona… Ecco perché la posizione dell’Accademia per la Vita sul caso di Charlie è complessa, perché chiede di verificare tutto, di approfondire la verità, di non lasciare soli i genitori, di aiutarli».

Paglia spiega pure di essersi informato dai vescovi inglesi prima di pronunciarsi: «Ho contattato il cardinale di Londra (l’arcivescovo di Westminster, Vincent Nichols) e solo dopo averlo sentito sono intervenuto. Io le carte non le conosco, loro sicuramente di più… Abbiamo quindi innescato un circolo di comunicazione teso al bene delle persone. Bene che richiede riflessione, azione, vicinanza, pazienza». «Io – aggiunge il prelato – sono favorevole che la Chiesa intervenga, intendendo per Chiesa non solo il Papa, ma anche gli episcopati locali, le comunità cristiane».

L’auspicio dell’arcivescovo è, pertanto, che «questo fervore di amore per Charlie si possa allargare» anche a tutti «i bambini che muoiono nel Mediterraneo», agli «anziani abbandonati e non curati», ai «minori bombardati» e «uccisi dai missili» nelle guerre in Medio Oriente. È a questi drammi che dovremmo «staccare la spina», dice Paglia, «altro che compromessi o diplomazie… Vorrei che davanti a certe realtà si levasse un movimento di indignazione. Questa è la posizione che difendo con fermezza».