Celebrazione della giornata della vita consacrata
Carissimi fratelli e sorelle religiosi,
anche quest’anno, mentre celebriamo la presentazione di Gesù al tempio, ci ritroviamo assieme per presentare ancora una volta ognuno di voi al Signore. Questa antica chiesa diocesana, come fecero Maria e Giuseppe, volentieri e con gratitudine vi presentano a Dio perché davanti a Lui possiate rinnovare la vostra promessa. E’ davvero un dono grande del Signore aver suscitato nella sua chiesa uomini e donne che si affidano totalmente a lui e spendono la vita per il Vangelo. Ve l’ho detto tante volte: abbiamo certamente bisogno della vostra azione pastorale. Come faremmo senza di voi? Ma ancor più c’è bisogno della vostra testimonianza evangelica. Sì, abbiamo bisogno di vedere credenti che si sono lasciati affascinare dal Vangelo sino a “perdere la vita” per Gesù. Testimoniare il primato assoluto di Dio e del suo amore, in una società che cerca sempre più l’amore per se stessi, è quanto mai necessario. Sì, care sorelle e cari fratelli religiosi voi avete la missione di mostrare al mondo la radicalità del Vangelo dell’amore. Se questo Vangelo viene privato della sua radicalità significa tradirlo. E’ come togliere il sapore al sale e la lucentezza alla luce. Sarebbe davvero tragico se noi, se voi, attutissimo la radicalità dell’amore. E’ proprio un amore che non conosce confini, neppure quello della morte, che noi oggi contempliamo in questa festa. E’ l’amore di quel bambino destinato ad essere “segno di contraddizione”, ed è l’amore di quella madre che comporta il cuore trafitto da una spada. Questo amore, non altro, diviene luce e salvezza per gli uomini. Lo compresero Simeone ed Anna: il primo, al vedere il bambino, esclamò che i suoi occhi avevano visto la salvezza e Anna iniziò a comunicarla a tutti, e aveva 84 anni.
Care sorelle cari fratelli religiosi, sento questo nostro incontro inserito pienamente nella riflessione sull’amore che stiamo compiendo nella nostra chiesa diocesana. E a voi non posso non chiedere di essere pienamente religiosi, ossia credenti travolti dall’amore senza confini che è la ragione stessa della vostra vocazione. Quest’anno ricordiamo anche la conversione di Francesco d’Assisi. E credo che sia opportuno che in questa chiesa ricordiamo gli 800 anni da quando Francesco udì la voce del crocifisso e convertì il suo cuore alla vita evangelica. Nel mese di giugno anche Benedetto XVI verrà ad Assisi per celebrare questo anniversario. Due in verità sono stati gli incontri che hanno segnato la conversione di Francesco. Ed è lui stesso a ricordarli: l’incontro con il lebbroso e quello con il Crocifisso di San Damiano. Vorrei che ci lasciassimo toccare il cuore dalla testimonianza di Francesco che davvero possiamo considerare modello di sequela perfetta del Vangelo.
Nel Testamento scritto qualche ora prima della morte Francesco ricostruisce così la storia della sua conversione: “Il Signore concesse a me, frate Francesco, di cominciare così a far penitenza, poiché, essendo io nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara di vedere i lebbrosi. E il Signore mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo”. L’incontro con il lebbroso segna quindi l’inizio di una vita nuova per Francesco. Egli viveva una vita come tanti altri giovani della sua città, ma aveva un’ansia di felicità che non riusciva a soddisfare. Dovette uscire da Assisi, anche solo di poco, appena fuori le mura, per poter trovare la risposta. E gliela diede un lebbroso. Francesco appena lo vide voleva evitarlo. Vinse però la sua paura, gli diede un’elemosina e lo baciò. L’elemosina non bastava, bisognava compiere un gesto d’affetto personale. Ebbene, questo gesto d’amore compiuto nei confronti di un uomo così malato e così disprezzato segnò il cambiamento radicale dei suoi gusti. Lo rivela lui stesso nel Testamento: “Quello che prima era amaro mi diventò dolce”. E’ come dire che quell’incontro gli cambiò il gusto della vita. Cominciò infatti a frequentare i lebbrosi, vincendo sempre più se stesso fino ad avere piacere di stare con loro. Scrive il Celano: “Il Santo si reca tra i lebbrosi e vive con essi, per servirli in ogni necessità per amore di Dio. Lava loro i corpi in decomposizione e ne cura le piaghe virulenti…La vista dei lebbrosi, infatti, come egli attesta, gli era prima così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza i loro ricoveri, si turava il naso con le mani”. Insomma, stando accanto ai lebbrosi inizia una nuova vita per Francesco, una vita più “dolce”.
Francesco, amando i lebbrosi, si liberò anche dall’istinto cieco che avevano, ad esempio, il sacerdote e il levita della parabola del buon samaritano, e che tante volte abbiamo anche noi. Francesco applicò alla lettera la frase del Vangelo: “Ciò che avete fatto ad uno solo di questi piccoli, l’avete fatto a me” e vide in quel lebbroso il volto stesso di Gesù. La pratica dell’amore per i poveri, care sorelle e cari fratelli, affina lo sguardo. Francesco, proprio dopo aver baciato il lebbroso, poté “vedere” anche il volto del crocifisso di San Damiano e ascoltare la sua voce. Nella Vita seconda si narra: “Era già del tutto mutato nel cuore e prossimo a divenirlo anche nel corpo, quando, un giorno, passò accanto alla chiesa di San Damiano, quasi in rovina e abbandonata da tutti. Condotto dallo Spirito, entra a pregare, si prostra supplice e devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato. Mentre egli è così profondamente commosso, all’improvviso – cosa da sempre inaudita!(Gv 9,32) – l’immagine di Cristo crocifisso, dal dipinto gli parla, movendo le labbra. «Francesco, – gli dice chiamandolo per nome (Cfr Is 40,26) – va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina». Francesco è tremante e pieno di stupore, e quasi perde i sensi a queste parole. Ma subito si dispone ad obbedire e si concentra tutto su questo invito. Da quel momento si fissò nella sua anima santa la compassione del Crocifisso e, come si può piamente ritenere, le venerande stimmate della Passione, quantunque non ancora nella carne, gli si impressero profondamente nel cuore. Cosa meravigliosa, mai udita! chi non è colpito da meraviglia? E chi, o quando mai ha udito qualcosa di simile? Nessuno potrà dubitare che Francesco, prossimo a tornare alla sua patria, sia apparso realmente crocifisso, visto che con nuovo e incredibile miracolo Cristo gli ha parlato dal legno della Croce, quando – almeno all’esterno – non aveva ancora del tutto rinunciato al mondo! Da quel momento, appena gli giunsero le parole del Diletto, il suo animo venne meno (Cfr. Ct 5,6). Più tardi, l’amore del cuore si rese palese mediante le piaghe del corpo”.
Questo accadde esattamente 800 anni fa. L’incontro con i poveri e l’ascolto della voce di Gesù, ci donano la stessa compassione Francesco. Egli comprese che doveva restaurare quella chiesetta e iniziò a farlo. Sì, partì dal restauro delle mura. Man mano però che metteva in pratica quel che aveva ascoltato comprese che la casa del Signore era più grande: era la Chiesa, la famiglia di Dio. Questa era la casa che bisognava restaurare. Francesco comprese che quelle parole di Gesù erano un appello a vivere in modo rinnovato la Chiesa di quel tempo che minacciava di cadere in rovina per colpa degli uomini. Ed è questo il senso anche del sogno che fece il Papa la notte prima di ricevere Francesco. Si narra in alcune biografie che il papa sognò di trovarsi nel palazzo del Laterano, accanto alla cattedrale di Roma, e vide che stava crollando poco a poco: le mura si crepavano ma lui, il papa, non riusciva a far nulla. All’improvviso apparve sulla piazza un uomo piccolo e minuto, vestito malamente, che si appoggiò al muro e con le sue spalle riuscì a sostenere la basilica in rovina. Era Francesco, chiamato a restaurare la piccola chiesa di San Damiano, ma anche altre chiese, come quella più grande a Roma. Il giovane ricco, figlio di un mercante, dopo avere incontrato il lebbroso e i poveri, aveva incominciato il restauro della casa del Signore. Aveva trovato finalmente la sua vocazione.
Francesco, stando accanto ai poveri e aprendo il Vangelo, non si allontanò da Gesù come fece il giovane ricco. Francesco oggi torna davanti a noi, assieme a Simeone ed Anna, per esortarci a rinnovare la nostra scelta del Vangelo. E’ possibile anche oggi che un uomo ricco, una donna ricca, come un cammello passino per la cruna di un ago. A differenza del giovane ricco, Francesco non se ne andò triste; al contrario, fu invaso dalla “perfetta letizia”. E’ la gioia che deve trasparire anche dai nostri volti. La Chiesa dei nostri giorni sempre più deve mostrare il volto della madre che sa accompagnare, accogliere e voler bene. Francesco d’Assisi resta davanti a noi come esempio di amore per i poveri e per il Vangelo.