Carlo Acutis era diventato un “influencer” del Vangelo senza perdere la semplicità

La vicenda di Carlo Acutis, il giovane morto a 15 anni il 12 ottobre 2006 e beatificato ad Assisi sabato scorso, merita attenzione. Non è la prima volta che la Chiesa cattolica beatifica dei giovani e dei giovanissimi. Era accaduto, ad esempio, ai due pastorelli di Fatima: Giacinta e Francesco morti in giovane età e canonizzati nel 2017 ( la terza veggente, suor Lucia, come è noto è vissuta fino in tarda età) e la cui esemplarità di vita cristiana era già stata riconosciuta in precedenza. Attraverso di loro, semplici e poveri, abbiamo potuto gettare lo sguardo sui drammi e le tragedie del Novecento. In realtà altri giovani e giovanissimi sono stati protagonisti di un’azione di annuncio del Vangelo nel corso della storia cristiana: dalla figura di san Tarcisio, un ragazzo del III secolo, che fu ucciso perché si rifiutò di consegnare l’Eucarestia a dei pagani, a Maria Goretti una ragazza uccisa per rifiutarsi ad un giovane che voleva stuprarla e canonizzata nel 1950.

Carlo Acutis possiamo iscriverlo in questo solco di giovani credenti che hanno vissuto una fede “matura”. È opportuno fermarsi sulla testimonianza di questo ragazzo pieno di vita e morto in una settimana a causa di una leucemia a 15 anni. Carlo non proveniva da una famiglia particolarmente religiosa. Il suo percorso di ragazzo credente lo ha compiuto all’insegna di una personale ricerca del senso della sua vita. È stata una ricerca – certamente aiutata dalla tata polacca a cui era affidato – compiuta attraverso la lettura del Vangelo e l’impegno per i poveri ( andava la sera ad assistere i senzatetto) e fondata sulla adorazione dell’Eucarestia. La testimonianza del suo insegnante gesuita ha illustrato bene questi aspetti. E, quel che è singolare, ha vissuto questo impegno religioso legandolo al nuovo linguaggio di internet e dei media digitali. Si è trasformato in un “influencer” del Vangelo attraverso un uso attento e intelligente della rete. Ha intuito, pur giovanissimo, che Internet può essere un ottimo mezzo, mai un fine in se stesso. Tra le sue passioni c’era l’informatica di cui si serviva per testimoniare la fede attraverso la realizzazione di siti web. Ha ideato e organizzato una mostra sui miracoli eucaristici nel mondo, che ha girato più di diecimila parrocchie. Per questa sua innovativa azione, può essere considerato un modello di riferimento per quanti operano nel mondo della comunicazione sociale. Il suo motto era: “Tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie”. Per lui ogni persona nasceva come un essere unico e irripetibile.

L’amore all’Eucaristia e alla Vergine Maria furono i cardini della sua vita: “L’Eucarestia è la mia autostrada per il cielo”. Carlo è stato descritto come un ragazzo che svolgeva le attività di tutti i suoi coetanei: usava il computer, giocava con gli amici, andava a scuola, studiava. In questa normalità ha accolto lo straordinario della fede.

Attraverso la sua azione e la sua condotta, questo ragazzo rappresenta un modello credibile di gioventù e fa arrivare alla Chiesa ed al mondo degli adulti un messaggio importante. I giovani spesso portano avanti delle tematiche anticipatrici e sollecitano gli adulti in maniera diretta. Pensiamo, per fare un esempio vicino a noi, al movimento ecologico, che sollecita tutta la società, la finanza, l’economia, la politica, ad avere attenzione ai temi dell’ambiente e della sostenibilità. I più giovani indicano a tutti una direzione e ci invitano a non dimenticare che abbiamo una responsabilità verso di loro. Non secondaria è la testimonianza di questo millennial che faceva scaturire dalla partecipazione alla Messa una vita coerente, piena di frutti buoni. Il custode della sua scuola ne ricorda ancora i tratti di cortesia, di mitezza e gratuito interesse per l’altro. Sono qualità fondamentali, in tempo in cui anche dalla fede si fanno derivare atteggiamenti aggressivi e violenti.

La vicenda terrena di Carlo Acutis, così come il percorso della sua beatificazione, mostrano con chiarezza che la fede, a qualunque età – quando autentica – non resta mai relegata nella sfera privata, ma diventa testimonianza che incide nel mondo e lo cambia. Penso ai tanti ragazzi che, meno premiati dai media di quelli della movida o della cronaca nera, vivono con entusiasmo la loro fede in un servizio di amicizia e solidarietà con chi è più debole e sfortunato: un popolo che rappresenta un volto bello e misericordioso di una Chiesa giovane e viva. Si può essere giovani senza perdere di vista la connessione più vitale con gli altri nel nome del Vangelo e dei valori che ispira.

La vicenda del giovane Carlo ha un aspetto meritevole di particolare attenzione, relativo alla sua vita in famiglia. I genitori hanno assecondato la “vocazione” di Carlo, favorendola senza intralci. Il padre e la madre potevano opporsi alla sua volontà, potevano tentare di anteporre il valore dello studio a quello di assistere le persone disagiate. Invece hanno compreso che c’era qualcosa di profondo ed in questo modo il figliolo ha “evangelizzato” i genitori. Non bisogna avere paura della fede dei giovani. Bisogna imparare a proteggerne i germogli. Carlo ha aperto gli occhi dei familiari su una realtà nascosta ma non per questo meno presente: la fede autentica – nutrita di Vangelo e dell’eucarestia, il contatto diretto con Gesù e la Chiesa – che è capace di smuovere le montagne. I figli non sono una proprietà della famiglia ma un dono del Cielo di cui, con pazienza e arte, far emergere i talenti.