Bioetica, un magistero della continuità per illuminare i diversi orizzonti

Debora Donnini – Città del Vaticano

È nel contesto dei rapidi cambiamenti della scienza e delle tecnologie dalla fine del ‘900 all’inizio del terzo millennio che si iscrivono gli interventi dei Pontefici riportati nel libro “I Papi e la Pontificia Accademia per la Vita”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana e corredato da foto che ne ripercorrono la ricchezza della storia. Una raccolta di Discorsi, Lettere e Messaggi che offre tra l’altro un panorama delle iniziative che hanno caratterizzato la Pontificia Accademia per la Vita dalla sua nascita, nel 1994 per volere di San Giovanni Paolo II, a oggi. Oltre venticinque anni di vita, quindi, scanditi dall’attenzione di tre Papi, che permettono di  “seguire il progressivo evolversi dei molti temi affrontati e l’attenzione che il magistero dei Papi ha loro costantemente dedicato”, scrive nella Prefazione il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, richiamando anche al tumultuoso sviluppo di conoscenze scientifiche e tecnologie che ha condotto “a un continuo ampliamento degli aspetti che devono essere considerati per tutelare e promuovere la vita umana”.

I discorsi riportati, spiega il cardinale Parolin, vanno comunque letti sullo sfondo delle Encicliche e degli altri documenti dei Papi per comprendere la densità del messaggio di ogni testo. Per il segretario di Stato, è anche un’occasione per ringraziare l’Accademia del lavoro svolto sulla frontiera delicata della tutela e promozione della vita in tutte le sue fasi.

Nell’introduzione al volume, che è edito insieme in lingua italiana e inglese, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, monsignor Vincenzo Paglia, evidenzia come questa raccolta permetta di cogliere il profondo legame che collega questi Documenti. L’appello perché vi sia un’integrazione della ricerca scientifica con l’etica e anche la luce che viene dalla Rivelazione cristiana costituiscono senz’altro uno dei punti forti del pensiero di San Giovanni Paolo II, in particolare di fronte ai pericoli dell’utilitarismo e della mentalità della pretesa autonomia assoluta dell’uomo, “quasi che egli fosse l’autore della propria vita”. In sostanza un umanesimo chiuso alla trascendenza. Importante, poi, sottolinea monsignor Paglia nell’Introduzione, ricordare il legame fra etica e diritto, dove la prima deve fondare il secondo e dove emerge come il positivismo del diritto sia sempre collegato al relativismo etico.

Con Benedetto XVI, sottolinea il presule, c’è un approfondimento sistematico di questi temi e anche l’introduzione di alcuni nuovi. Centrale nella sua riflessione il tema della coscienza cristiana e del rapporto fra ragione e fede, tratto distintivo dei suoi insegnamenti. Un legame in cui la ragione è chiamata a compiere un processo di purificazione attraverso il dialogo con la fede, tanto è vero che Benedetto XVI scriveva che è stato il cristianesimo stesso a creare quella matrice culturale che “ha reso possibile nell’Europa del Medioevo lo sviluppo del sapere scientifico moderno, sapere che nelle culture precedenti era rimasto solo in germe”.

Nella stessa linea dell’insegnamento di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si collocano anche gli interventi di Papa Francesco. Attenzione nella Laudato si’ a all’ecologia integrale, e ancora le cure palliative e le implicazioni legate allo sviluppo e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale e robotica. Va ricordato anche il nuovo Statuto del 2016 per la Pontificia Accademia per la Vita e, fra gli interventi di Francesco, l’Humana Communitas, la Lettera in occasione del XXV anniversario di fondazione della stessa Accademia con l’indicazione della famiglia e della relazione uomo-donna come luogo centrale di iniziazione alla fraternità per tutta l’umanità. Nell’intervista monsignor Vincenzo Paglia torna ad evidenziare l’importanza di questo cammino.

Riflettendo sui contributi dati alla nascita e allo sviluppo della Pontificia Accademia per la Vita da parte di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco, lei sottolinea il profondo legame che li collega e che definisce “un vero e proprio corpus organico e unitario, anche attraverso la varietà dei contesti storici e delle differenze dei linguaggi”. Parliamo quindi di un unico filo rosso che di fatto si fonda sulla necessità che la scienza e la tecnica riconoscano come inviolabile la dignità dell’uomo in tutte le sue fasi?

R. – La continuità del Magistero e la continuità del lavoro emergono con grande forza dalla lettura sincrona dei discorsi che i Papi hanno rivolto alla Pontificia Accademia per la Vita in questi 25 anni di vita. Nell’introduzione al volume il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, nota esattamente che la fede anima la ricerca sulle questioni inedite che la storia ci propone, per affrontarle sul piano etico. Come presidente della Pontificia Accademia per la Vita ho creduto opportuno raccogliere assieme gli interventi dei Papi che si sono succeduti: potremmo dire un magistero che nella continuità ha sapute leggere la storia nel suo dinamismo e trovare parole opportune per illuminarne i diversi orizzonti. L’intuizione straordinaria di Giovanni Paolo II si rivela davvero feconda ed attualissima, anche in questi tempi di coronavirus e di tecnologie che intervengono nelle varie fasi della vita umana. Etica e diritto, difesa della vita e difesa della dignità umana, una visione antropologica di fondo che fa perno sul valore della persona umana. Ma anche le sfide poste dalla scienza e dalla tecnica che non sono mai neutrali e da una visione dei rapporti economici e sociali che deve mettere al centro le persone e le famiglie, snodi fondamentali per lo sviluppo di una società davvero umana. Sono questi e molti altri i fili conduttori che si possono trovare leggendo i discorsi dei papi.

Centrale l’accento di Giovanni Paolo II sull’antropologia cristiana con il richiamo alla trascendenza contro la pretesa autonomia assoluta dell’uomo. Il pensiero di Papa Wojtyla si è confrontato con l’accelerazione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica e di fatto ha rivolto un richiamo ai cristiani a edificare una cultura della vita, sostenendola anche con la creazione della Pontificia Accademia che lei oggi guida. Una missione centrale nel mondo odierno?

Dal 1994 al 2005 in particolare il Santo Papa Giovanni Paolo II ha toccato praticamente tutti i temi della Bioetica, mettendo al centro la questione della dignità dell’uomo in rapporto allo sviluppo del pensiero scientifico. L’etica illumina la scienza e il diritto, ripete Giovanni Paolo II nei suoi discorsi ed interventi. Al centro c’è la declinazione della cultura della vita, in tutte le dimensioni. E questo senza dimenticare temi strettamente scientifici. Ricordo l’importante discorso del 2002 sul diritto alla vita o quello del 2004 con cui affronta la delicata questione dei cosiddetti stati vegetativi. Senza mai dimenticare la dimensione pastorale del lavoro da svolgere, altra caratteristica di rilievo di tutta la visione di Giovanni Paolo II.

L’impronta del magistero di Benedetto XVI è segnata senz’altro dal rapporto fra fede e ragione. Cosa risalta in particolare dei suoi interventi alla Pontificia Accademia per la Vita?

Etica e scienza, fede e ragione, ruolo della coscienza morale sono i tre snodi dei discorsi di Papa Benedetto XVI. La fiducia nella scienza non deve mai far dimenticare il primato dell’etica; la fiducia nella ragione si apre e arricchisce nel dialogo con la fede. E nella sfida per la difesa della vita il primato della coscienza morale è senza dubbio in primo piano. Nei drammi delle persone – pensiamo alle donne che arrivano ad abortire o agli ammalati che chiedono l’eutanasia – la Chiesa si rivolge alla coscienza, annuncia il Vangelo della vita che chiama tutti a conversione, affinché la vita sia sempre pienamente umana, custodita nella sua dignità.

Nella stessa linea dell’insegnamento di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si collocano anche gli interventi di Papa Francesco, come il contrasto all’eutanasia e all’aborto. Cosa la colpisce del suo richiamo alla costruzione di un umanesimo fraterno dei singoli e dei popoli, sottolineata nella Lettera Humana Communitas per i 25 anni della Pontificia Accademia?

Con Papa Francesco, sulla scia del Magistero precedente, lo sguardo dell’Accademia si è allargato: il Papa ha anzitutto chiesto all’Accademia di servire la vita umana non solo nel momento degli inizi e della fine ma in ogni istante dell’esistenza. Per fare questo ha voluto scienziati di diverse discipline e di molteplici provenienze culturali e religiose. Da questo mandato sono scaturiti gli studi (e gli interventi di Papa Francesco) su nuovi capitoli: penso anzitutto alle nuove tecnologie – così dette convergenti – e l’impatto che hanno sullo sviluppo, sulla qualità della vita, sul miglioramento delle possibilità di cura per tutti e non solo per alcuni. La robotica o l’intelligenza artificiale e l’introduzione di sistemi evoluti ad esempio modificano il rapporto dell’uomo con sé stesso e con l’ambiente. Penso all’orizzonte della “bioetica globale”, che impone di allargare la nostra analisi alle trasformazioni portate dallo sviluppo della scienza e della tecnologia e verificare l’impatto sulla qualità della vita umana. Penso all’allungamento della vita umana che si è verificato grazie ai progressi della ricerca e allora entrano nella riflessione temi come le cure palliative, le problematiche del fine-vita, il ruolo della spiritualità e delle religioni nel delineare un significato per la vita nell’era tecnologica. La Pontificia Accademia per la Vita è stimolata a sviluppare una riflessione che tenga contro delle sfide in un pianeta in cui le possibilità di sviluppo, di vita, di uso delle tecnologie non sono per tutti. Un pianeta che soffre per lo sfruttamento indiscriminato delle risorse causato da un modello di sviluppo che consuma e prosciuga piuttosto di preoccuparsi di rinnovare e dare un futuro a tutti. Ecco che la vita, per la Chiesa, non è mai astrattamente intesa, è declinata nelle varie fasi, nei contesti sociali e culturali, e la finalità profonda è di insegnarci a costruire una Humana Communitas. Un mondo dove la tecnologia sia al servizio dei popoli, per il bene comune, e non l’umanità al servizio della tecnologia.

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