Assemblea Diocesana 2005

La Bibbia e l'Eucarestia

Care sorelle e cari fratelli,

 


ci ritroviamo assieme per questa assemblea diocesana iniziata, in certo modo, con il pellegrinaggio della Diocesi a Roma per “vedere Pietro”. Sì, “videre Petrum”, così si dice in Latino, vuol dire incontrare colui che garantisce la comunione tra tutte le Chiese. Abbiamo ascoltato la parola di Papa Benedetto XVI e in molti abbiamo visitato la tomba di Giovanni Paolo II. Sono state molto significative le parole che papa benedetto ci ha rivolto. Egli ha voluto inserire il nostro pellegrinaggio nei pellegrinaggi di san Benedetto e di san Francesco. In effetti il giovane Benedetto partì da Norcia e si stabilì a Roma. E qui ascoltò il Vangelo che gli cambiò la vita: lasciò tutto e si ritirò a Subiaco per dedicare tutta la sua vita a Dio e ai fratelli. Alcuni di voi sono andati anche in pellegrinaggio a Subiaco e hanno potuto vedere il luogo da dove è iniziato il monachesimo benedettino. San Francesco si fece pellegrino anche lui a Roma per vedere il Papa e per chiedere l’approvazione alla regola del movimento francescano che aveva iniziato. Papa Benedetto ci ha esortato a non distogliere il nostro sguardo da questi due grandi santi umbri.


Essi sono gli iniziatori di due movimenti, quello monastico occidentale e quello francescano, che hanno rivoluzionato l’Italia, l’Europa e hanno portato una linfa nuova nella Chiesa e nel mondo. Non sapevano quel che sarebbe accaduto per opera loro. Ma il Signore li aveva scelti come suoi strumenti per rinnovare la Chiesa e per aiutare l’amore e la pace a radicarsi sulla terra. Cosa accomuna questi due santi umbri, oltre la provenienza dalla nostra regione? Una cosa: l’ascolto obbediente del Vangelo. Questo è ciò che li unisce, questo li ha resi grandi, questo è il segreto che affidano anche a noi. San Benedetto e san Francesco sono un po’ come i due discepoli di Emmaus che hanno saputo ascoltare Gesù che parlava con loro e si sono lasciati scaldare il cuore e hanno “visto” anche loro il Signore. Quell’incontro ha messo dentro di loro una forza nuova e sono partiti dalla loro terra, come i due di Emmaus, per andare verso i fratelli ad annunciare che il Signore è vivo. Questi due santi in certo modo sono tornati di nuovo in mezzo a noi, anche tra noi oggi in questa assemblea, per dirci che l’obbedienza al Vangelo vuol dire incontrare Cristo e cambiare vita. Li sentiamo vicini a noi come nostri maestri: ci insegnano a vivere nell’amore e a servire i più poveri.


 


Il cammino della Chiesa diocesana


 


Nell’incontro che ho avuto con Benedetto XVI durante l’udienza ho potuto accennargli al senso del nostro pellegrinaggio che chiudeva una prima tappa del cammino diocesano centrato sulla Eucarestia e ne apriva una seconda con l’attenzione sulla Parola di Dio. Era contento di questo itinerario e ne ha sottolineato l’utilità anche per altre Diocesi. In questi ultimi due anni, peraltro, il nostro cammino è stato come accolto in quello della Chiesa Italiana, che ha appena celebrato il Congresso Eucaristico Nazionale a Bari, e in quello nell’intera Chiesa cattolica che sta celebrando l’anno della Eucarestia. Come sapete, in questi giorni si celebra a Roma il Sinodo dei vescovi proprio sull’Eucarestia. Ci sentiamo in sintonia piena con tutta la Chiesa, e questo richiede una responsabilità in più per noi.


Da quattro anni ormai stiamo riflettendo sulla Domenica e in particolare sulla Liturgia Eucaristica che ne è il cuore. Abbiamo scoperto sempre più la Messa come “fonte e culmine” della vita cristiana, come il Concilio l’ha definita nella Costituzione sulla Liturgia. Ebbene, nell’orizzonte della Domenica si sta snodando l’itinerario pastorale della nostra chiesa diocesana. Sì, care sorelle e cari fratelli, non stiamo camminando a caso, non stiamo passando il tempo senza una direzione. L’itinerario c’è. Ed è importante rendersene conto, perché così camminiamo con maggiore consapevolezza e decisione. La Domenica – quante volte lo abbiamo ripetuto! – non è una semplice scansione temporale, non è il week end. No, per noi la Domenica è incontrare Gesù risorto; è vivere già da ora la vittoria del bene sul male, della vita sulla morte. Nelle Domeniche dell’anno affrettiamo la venuta della Domenica senza tramonto: il Paradiso. Per noi la Messa è il “già” e il “non ancora” del Paradiso.


È bene ricordarci che le nostre domeniche, una dopo l’altra, sono un passo dopo l’altro verso il cielo. Sì, ogni volta che celebriamo la Messa facciamo un passo in più verso il Paradiso. Oppure possiamo dire che il Paradiso ci viene incontro: all’ambone è Gesù stesso che ci parla e all’altare è Gesù che ci dona la sua vita. Ecco perché insistiamo sulla Messa. Purtroppo tanto spesso non abbiamo coscienza di ciò che essa significhi, e per questo ci distraiamo, ci mettiamo da una parte, non ci andiamo. Se, invece, ne comprendiamo il valore e la bellezza l’amiamo di più, la sentiamo indispensabile. Era questo il senso della frase di quei primi cristiani quando, al giudice che li condannava a morte perché partecipavano alla Messa,  risposero: “Non possiamo vivere senza la Messa della Domenica”.


Per far crescere questa consapevolezza – lo ripeto, non è scontata – più volte in questi anni siamo ritornati su questo tema. La Lettera pastorale, L’Eucarestia salva il mondo, ci ha aiutati a prendere sempre più coscienza del grande mistero dell’Eucarestia. Se ricordate bene, l’abbiamo prima discussa, poi scritta, quindi letta e meditata nelle varie parti (nel 2003 è stato distribuito a tutti l’opuscoletto: “Perché a Messa la domenica?”). E non abbiamo solo parlato; ci siamo sforzati di mettere in atto le indicazioni che venivano presentate. Quanti progressi ci sono stati nelle nostre Messe della Domenica! Sarebbe bene dirceli, anche in questa assemblea. Certo in alcune parrocchie è più evidente e magari in altre meno. Ma in tutte credo c’è stata una maggiore consapevolezza del mistero che si sta celebrando. Tra i segni più importanti non posso non ricordare la decisione di rendere ordinaria la comunione sotto le due specie. Cari amici, non termineremo mai di porre attenzione alla Messa.


Vorremmo ora compiere un passo successivo, sempre all’interno dell’orizzonte della Messa. Porremo al centro delle nostre preoccupazioni la Liturgia della Parola, come ho già accennato nella Lettera pastorale La Bibbia ridona il cuore. Perché è a partire dal modo con cui la Bibbia si legge nella Messa che possiamo comprenderne il valore e il modo di leggerla. Abbiamo già iniziato a riflettere su questo, ma in questo anno che viene e forse anche un altro ancora, vorrei che sviscerassimo bene il grande dono del “pane della Parola”. Non dimentichiamo il grande avvertimento di Gesù: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”(Mt 4, 4). E anche l’altro brano che ha posto a conclusione del discorso della montagna: “Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sulla roccia”(Mt 7, 24-25). Accenno solo a quale sarà il passo successivo a questo che, peraltro, scaturisce dall’Eucarestia e dall’ascolto della Parola di Dio: la carità. Dopo aver trattato del “sacramento dell’altare” parleremo del “sacramento del fratello”, del rapporto tra la Chiesa e la città. Ovviamente, anche se ne parleremo successivamente, tutto questo lo viviamo già da ora. la vita cristiana infatti non si ferma. E se di tempo in tempo riflettiamo su qualche aspetto di essa, lo facciamo per comprenderla meglio ed anche per irrobustirla.


Fermiamo quindi la nostra attenzione sulla Parola di Dio. Il punto da cui partiamo, come ho detto, è la Liturgia della Parola. Perché? Perché la Bibbia è strettamente legata all’Eucarestia: in ambedue il Signore è presente, sebbene in modalità diverse. Il Vaticano II, nella Dei Verbum, afferma: “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo”(21). Potremmo dire che è dalla Messa che apprendiamo ad ascoltare la Bibbia. Sì, la Bibbia, anche quando la usiamo personalmente o in gruppo, va letta come accade durante la Messa. È un punto da comprendere bene e soprattutto da vivere. La Liturgia della Parola è il modo esemplare di fare la “lectio divina”. E la Bibbia non può che essere letta in questo modo. Infatti, dobbiamo metterci in atteggiamento di preghiera, e quindi ascoltare la parola di Dio. Viene quindi la spiegazione che deve aiutare a illuminare la nostra vita nell’oggi alla luce del vangelo e portare quindi alla preghiera, compresa quella che viene detta “preghiera dei fedeli”. Quest’ultima deve essere legata ai brani biblici ascoltati e alla situazione storica che viviamo. Comprendete perché è importante che la Liturgia della parola sia piena: da essa scaturisce il modo di ascoltare e di leggere la Bibbia, anche quando la leggiamo personalmente o in famiglia o in piccoli gruppi. La Bibbia, potremmo dire, è nata  nella Messa ed è per la preghiera.


Per comprendere meglio la centralità della Bibbia nella vita della Chiesa vorrei sottolineare, sebbene di sfuggita, i modi in cui è stata presente nella vita della Chiesa in questi duemila anni di cristianesimo. È importante cogliere questo aspetto. Noi infatti siamo chiamati ad ascoltare e a leggere la Bibbia all’interno di questa lunga storia di ascolto. Le riflessioni sulla Bibbia fatte dalle generazioni che ci hanno preceduto sono parte essenziale del nostro modo di ascoltare la Bibbia. Sì, dobbiamo leggere le pagine della Bibbia anche con le parole che i padri della Chiesa e gli altri le hanno lette.


 


Il primo millennio


 


Nei primi mille anni della storia cristiana la Sacra Scrittura ha come egemonizzato la vita della Chiesa. I vescovi e i preti, i monaci e i teologi, si confrontavano regolarmente e con passione con le pagine della Bibbia. Le loro parole, le loro predicazioni, i loro studi erano per lo più dei commentari alle Sacre Scritture. E anche i fedeli comuni erano esortati ad un rapporto quotidiano con esse. Basti pensare al rigore di san Giovanni Crisostomo che rimproverava un cristiano della sua diocesi, quella di Costantinopoli, perché non sapeva quante fossero le lettere di san Paolo. Tutta la letteratura teologica e spirituale del primo millennio testimonia la centralità della Bibbia nella vita della Chiesa. E la lettura delle Scritture era raccomandata a tutti. Non vi è traccia alcuna di proibizione in quei secoli, che pure hanno registrato interventi forti contro l’eresia da parte di vescovi. Il monachesimo orientale, iniziato con sant’Antonio nel deserto egiziano, scaturì da una lettura obbediente alla Parola di Dio. Ed anche in Occidente, san Benedetto, fondò il movimento monastico legandolo all’ascolto della Bibbia. La stessa Regola che lui ha scritto inizia con la parola “Ascolta”, che è poi lo stesso termine che apre i comandamenti di Dio rivolti al popolo di Israele: “Ascolta, Israele!”. E i grandi vescovi, scelti quasi tutti dal monachesimo, si nutrivano essi stessi della Bibbia e cercavano di comunicarla alle loro c Chiese. Ne è venuta una incredibile mole di commenti alle sante Scritture; è un patrimonio che spesso purtroppo viene ignorato ma che fortunatamente si sta man mano riscoprendo. Tra i grandi Padri della Chiesa vi è Gregorio Magno, vescovo di Roma attorno a cavallo tra il 500 e il 600, il quale fece dei commenti alla Bibbia il fondamento della sua pastorale, oltre che della sua vita spirituale. Un altro vescovo venuto dal monachesimo, Cesario di Arles era talmente convinto della importanza della lettura della Bibbia da esortare gli analfabeti ricchi a pagare qualcuno perché leggesse loro le Scritture: “Se coloro che non conoscono la scrittura assoldano delle persone che scrivono a pagamento per procurarsi terreni, tu, chiunque tu sia, che non sai leggere e scrivere, perché non cerchi a pagamento e dietro un compenso uno che ti legga le Scritture divine, per poter ottenere le ricompense eterne?”


 


Il secondo millennio


 


Più tormentata invece è stata la vicenda nel secondo millennio. Dopo il mille la Chiesa versava in una condizione triste: la gente si allontanava da chiese e da monasteri che non vivevano più secondo il Vangelo. E rara era la predicazione del Vangelo. Ebbene, il rinnovamento della Chiesa passò attraverso gruppi, formati soprattutto da laici, i quali attraverso un ascolto più obbediente delle Sacre Scritture riscoprirono la necessità di un rinnovamento interiore. Basti pensare a Francesco d’Assisi e alla sua radicalità nel seguire il Vangelo sine glossa. E fu da allora che si diffuse nelle chiese della cosiddetta Biblia pauperum che permetteva anche all’illetterato di “leggere” la Bibbia attraverso le immagini. Era divenuta sempre più chiara la coscienza che senza conoscere la Bibbia non si poteva essere cristiani. L’impegno per una Chiesa più evangelica passò attraverso un rinnovato rapporto della Scrittura. Purtroppo, il clima polemico che coinvolse successivamente la cristianità occidentale soprattutto a motivo della divisione tra cattolici e protestanti rallentò da noi la frequentazione diretta della Bibbia da parte dei fedeli. Il luteranesimo sottolineava sempre più che era necessario ritornare alla Scrittura, ma il clima polemico portò Lutero a staccare la Bibbia dalla Chiesa e a sostenere che basta la “sola Scrittura”, mentre i cattolici affermavano che le verità cristiane erano contenute sia nella Bibbia che nella Tradizione. Il Concilio di Trento, pur non avendo chiarito la questione, richiamò comunque i vescovi a rafforzare gli studi biblici. Ma non trovò una adeguato ascolto.


Certo è che, nella vita della Chiesa cattolica nell’età moderna, il clima polemico compromise non poco il rapporto tra la Bibbia e i fedeli. Insomma i cristiani dell’Occidente si divisero sul modo di leggere la Bibbia. I protestanti, staccando la Bibbia dalla Tradizione, e quindi dalla Chiesa, ne esasperarono la lettura individuale, nella Chiesa cattolica la paura che si cadesse in una interpretazione scorretta portò a rallentare la consegna della Bibbia nelle mani dei fedeli. Quando si è guidati da uno spirito polemico è facile cadere nelle esagerazioni. E come molti voi ricordano, i protestanti avevano nelle mani la Bibbia, sebbene ciascuno la interpretava a suo modo, mentre i cattolici usavano i Messalini e le Massime Eterne. Solo verso la fine dell’Ottocento nacque anche in campo cattolico un movimento di riscoperta della Bibbia. Nel corso del Novecento è maturata una comprensione sempre più ricca dei testi biblici e si affermò il metodo storico-critico nell’approccio alla Bibbia. Senza ora voler addentarci in questa vicenda, la Bibbia è stata via via riscoperta come fonte della vita spirituale e pastorale.


 


Il Concilio Vaticano II e la Dei Verbum


 


Ed è a questo punto che arriva il Concilio Vaticano II. L’assise conciliare non spunta come un fungo: è stata preparata da vari movimenti spirituali, pastorali, ecumenici e appunto anche biblici. Il Concilio ha accolto queste spinte presenti nella Chiesa e le ha portate a maturazione. I testi conciliari, arricchiti dal dibattito assembleare, hanno fatto maturare una nuova coscienza della Chiesa. Non possiamo ora dire cos’è stato il Concilio, ma se dovessimo trovare una maniera sintetica potremmo dire che la Chiesa, nel Concilio, ha preso coscienza di se essa, del suo mistero e della sua missione. Il beato Giovanni XXIII, a coloro che lo accusavano di scombussolare le acque, diceva: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi a comprenderlo meglio e più profondamente”. Questo anno ricordiamo i 40 anni dalla chiusura del Concilio, l’8 dicembre del 1965. faremo una memoria anche noi. Ma oggi vogliamo ricordare in particolare i 40 anni della Costituzione Dogmatica “Dei Verbum” che tratta della Parola di Dio nella vita della Chiesa.


Il 18 novembre del 1965 la Dei Verbum venne firmata quasi all’unanimità (su 2350 votanti, 2344 placet e 6 non placet). La Costituzione fu chiamata, come avviene per tutti i documenti della Chiesa, dalle prime due parole del testo, Dei Verbum. C’è da dire che pur essendo tra i testi conciliari più brevi è, tuttavia, quello che, unitamente alla Costituzione sulla Santa Liturgia, ha portato cambiamenti più profondi nella vita della Chiesa. Non è stato facile l’elaborazione del testo. All’inizio, lo schema presentato, venne bocciato dai padri conciliari. E ne nacque un lungo, talora duro, e comunque appassionato dibattito tra tutti. Vi partecipò anche il giovane teologo Giuseppe Ratzinger. In un suo testo del 1997 ricorda così: “Dopo complesse discussioni, solo nell’ultima fase dei lavori conciliari si poté arrivare all’approvazione della Costituzione…che peraltro non è stata ancora recepito appieno”. È una affermazione che a mio avviso resta ancora valida: la Costituzione sulla Dei Verbum non è stata ancora compresa in tutta la sua portata.


Voi avete in cartella il testo. Come potete vedere è diviso in sei capitoli. E inizia con uan riflessione sulla “rivelazione”. Non sto qui a commentare il testo, ma è utile capire il perché parte dal concetto di “rivelazione”. Si trattava di risolvere quel dibattito che aveva lacerato la Chiesa negli ultimi secoli, soprattutto nella polemica con i protestanti. Il nocciolo della questione era se le verità della fede stanno solo nella Scrittura, come dicevano i protestanti, o anche nella Tradizione, come sostenevano i cattolici? In altre parole i protestanti sostenevano che vi era una sola fonte della verità cristiana: la Bibbia; mentre i cattolici sostenevano che ve ne erano due: la Bibbia e la Tradizione. La soluzione è stata trovata approfondendo la concezione della “rivelazione” precisandola in maniera storica: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà, mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre, e sono resi partecipi della divina natura”(DV2). Insomma, la fonte è una sola: la Parola di Dio. Nello stesso tempo si allargò anche il concetto di Tradizione che fu così presentato: “La Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede”(n.8). Insomma anche nella storia della Chiesa si manifesta il pensiero di Dio, la sua azione concreta. Dio si rivela infatti in opere e in parole. Di fatto cosa avveniva: si riconosceva l’unità della Tradizione con la Scrittura, contro ogni tentativo di separazione: “La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono dunque strettamente tra loro congiunte e comunicanti. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra scrittura è parola di Dio in quanto è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito divino” (n. 9). Nel numero seguente si descrive il rapporto tra le tre grandezze: Tradizione, Scrittura e Parola di Dio: ” La sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa”. Questo porta a dire che la Parola di Dio non coincide né con la Tradizione né con la Bibbia, ma ambedue la contengono, sebbene nella Sacra Scrittura la Parola di Dio sia stata codificata in maniera autorevole. Infatti, fin dal Nuovo Testamento si scrive che tutta la Bibbia è stata “ispirata” da Dio ed è utile per la nostra salvezza. Scrive Paolo a Timoteo: “tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia” (2 Tim 3,16).  Per questo nella Santa Liturgia viene onorata: entra in maniera solenne, è incensata, è proclamata dall’ambone, è custodita in libri santi, è baciata e benedice l’assemblea raccolta. Tuttavia non può mai essere staccata dalla Tradizione, ossia dalla vita della Chiesa. Aveva ragione sant’Agostino quando diceva che la Bibbia va letta sempre sulle ginocchia della santa Madre Chiesa. Questo legame tra la Chiesa e la Bibbia è inseparabile. Non esiste l’una senza l’altra, appunto perché ambedue vengono dalla stessa fonte: la Parola di Dio. E l’intera Chiesa e ogni credente deve porsi anzitutto in ascolto.


La seconda riflessione vorrei trarla dalla prima frase della Dei Verbum che ne sintetizza lo scopo: “In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia”.  La Chiesa e quindi il credente deve essere in ascolto della Parola di Dio per poterla poi proclamare. In queste due parole, ascolto e missione, è nascosta la vocazione e la missione della Chiesa e di ciascuno di noi. Per questo senza la Bibbia e senza la vita nella Chiesa è impossibile essere cristiani. Questa affermazione rende particolarmente prezioso il capitolo VI della Dei Verbum: “La sacra Scrittura nella vita della Chiesa”. In esso si enuncia fin dall’inizio un principio fondamentale: “E’ necessario che tutta la predicazione ecclesiastica come la stessa religione cristiana sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura”. Dopo questa affermazione il capitolo applica tale principio alle traduzioni nelle lingue moderne, alla necessità dello studio profondo dei sacri testi da parte degli esegeti, sottolinea l’importanza della Sacra Scrittura nella teologia e finalmente raccomanda la lettura della Bibbia a tutti i fedeli. Dopo aver infatti raccomandato la lettura della Scrittura a tutti i chierici, in primo luogo ai sacerdoti, ai diaconi e ai catechisti, così continua (n. 25): “Parimenti il santo Concilio esorta con forza e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere la ‘sublime scienza di Gesù Cristo’ con la frequente lettura delle divine Scritture”. Questa esortazione così pressante a tutti i fedeli corrisponde alla richiesta di molti Padri conciliari. Venne aggiunta anche una frase incisiva di San Girolamo: “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo”. Il Concilio raccomanda perciò che tutti i fedeli “si accostino volentieri al sacro testo…anche mediante quella che viene chiamata “pia lettura” (oggi si suole chiamarla lectio divina). Si aggiunge che ” la lettura della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché, come dice sant’Ambrogio: “gli parliamo quando preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo  gli oracoli divini”.


 


All’inizio del terzo millennio


 


Da quaranta anni a questa parte la Bibbia è ritornata nelle mani dei redenti. E dobbiamo ringraziare il Signore. I cristiani sono entrati nel terzo millennio con un notevole bagaglio di conoscenza e di amore per le Sante Scritture. Tuttavia non dobbiamo nasconderci che il cammino da compiere perché la Bibbia abbia la sua centralità nella vita pastorale delle nostre comunità, è ancora lungo. Non che possa aversi un tempo in cui il cammino sia terminato; ogni generazione cristiana infatti deve lasciarsi plasmare dalla Parola di Dio, ascoltarla e comunicarla. Ed è un impegno indilazionabile. Giovanni Paolo II diceva ai cristiani dell’Europa: “Chiesa in Europa, entra nel nuovo millennio con il libro del Vangelo!… nello studio attento della Parola troveremo alimento e forza per svolgere ogni giorno la nostra missione”. Non si tratta di una semplice esortazione, quanto della missione stessa della Chiesa all’inizio del terzo millennio. E aggiungeva il Papa: “Prendiamo nelle nostre mani questo Libro! Accettiamolo dal Signore che continuamente ce lo offre tramite la sua Chiesa (cfr Ap 10,8). Divoriamolo (cfr Ap 10,9), perché diventi vita della nostra vita. Gustiamolo fino in fondo: ci riserverà fatiche, ma ci darà gioia perché è dolce come il miele (cfr Ap 10. 9-10). Saremo ricolmi di speranza e capaci di comunicarla a ogni uomo e donna che incontriamo sul nostro cammino”(Ecclesia in Europa, 65).


Guardando le nostre comunità ecclesiali dell’Europa forse dobbiamo dire che c’è ancora poca Bibbia nella vita dei credenti. Una recente inchiesta condotta tra i cattolici praticanti in Spagna, Francia e Italia, riporta che l’80% ascolta la Bibbia solo durante la Messa della domenica, e appena il 3%, sempre dei praticanti, la legge ogni giorno. Ovviamente questo comporta non solo un’ignoranza materiale sulla Bibbia (ad esempio, il 40% crede che san Paolo abbia scritto un Vangelo e il 26% anche san Pietro), ma soprattutto non la sente come il proprio libro, come il libro della propria vita. Sembrerebbe, insomma, che per i cattolici praticanti europei la Bibbia sia ancora un libro per lo più “riservato al clero”. Credo tuttavia che nella nostra diocesi questo sia un po’ meno vero, anche per la continuata diffusione dei commenti ai libri biblici. C’è un dato comunque che ci interroga positivamente, ed è il desiderio che i fedeli hanno della parola di Dio. Il 41% dei praticanti ritiene che l’omelia sia il momento più utile per la crescita della fede. Questo sta a dire che questo momento della Liturgia Eucaristica ha una potenzialità assolutamente straordinaria per la crescita della fede nei fedeli. E qui la domanda sulle omelie è particolarmente importante. Pensate che in Italia si tengono più di 800.000 omelie ogni domenica. Cosa sarebbe se fossero davvero efficaci? Alcuni giorni fa abbiamo avuto un momento davvero bello con i sacerdoti della Diocesi su questo tema. E dobbiamo continuarlo. Non posso ad esempio non ricordare la bella abitudine che si sta instaurando in diocesi di tenere ogni giorni una piccola omelia. Vorrei a tale proposito che il sito internet della Diocesi divenisse un aiuto concreto per tutti ponendovi questi aiuti. Anche perché non dobbiamo dimenticare che la responsabilità di comunicare la Parola di Dio è di ciascuno di noi: dei genitori per i figli, dei catechisti per i ragazzi e gli adulti, dei giovani per i loro coetanei, e così oltre.


 


La centralità della Parola di Dio


 


È ovvio che è determinate l’incontro delle nostre comunità e di ciascuno di noi con la Parola di Dio. Non mi dilungo sulla necessità della diffusione della Bibbia. È necessario ogni sforzo perché giunga nelle mani di tutti. Direi che è un diritto fondamentale di ciascun cristiano avere la Bibbia, la sua Bibbia. Giovanni Paolo II, intervenendo all’assemblea della Conferenza Episcopale Italiana sulla Parola di Dio, disse: “L’impegnativo compito della nuova evangelizzazione passa attraverso la riconsegna della Bibbia all’intero popolo di Dio”(1997). Talora capita che persino in qualche parrocchia si fatichi a trovare una Bibbia; se è doveroso che ci siano i libri liturgici, in particolare i Lezionari, è ancor più evidente che deve esserci la Bibbia. Essa è, in certo modo, come il tabernacolo della Parola di Dio: va onorata e aperta perché tutti possano nutrirsene, appunto, come con l’Eucarestia. E qui vorrei sottolineare un segno diocesano che a me pare particolarmente importante: la consegna ad ogni parrocchia dell’Evangelario. In una apposita assemblea diocesana – che si terrà il sabato precedente la prima domenica di quaresima – su questo tema consegnerò un Evangelario a ciascuna parrocchia. Sarà il libro dei Vangeli che ogni domenica viene introdotto solennemente, viene incensato, letto, baciato e con esso l’assemblea ecclesiale viene benedetta.


Vorrei che, accanto a questo segno comune, si sviluppasse l’impegno perché ciascuno di noi non solo abbia la sua propria Bibbia, ma che la legga ogni giorno, che la porti con sé quando viaggia, quando va in vacanza. È in questa prospettiva che continuerò a commentare ogni anno un libro della Bibbia e desidero che venga consegnato a ciascuna persona. Cerchiamo di non lasciarlo solo al fondo della Chiesa. Andiamo a consegnarlo nelle case, nelle scuole, negli uffici, ovunque. È un modo di evangelizzazione anche questo. Direi, anzi, che è il primo passo. Una delle questioni centrali sia della vita diocesana che parrocchiale che personale si gioca attorno al rapporto che ciascuno ha con la Bibbia. Da essa bisogna trarre ispirazione per la tutta nostra vita. Se Gregorio Magno diceva: “la Sacra Scrittura cresce con chi la legge”; ebbene, cresciamo noi e le nostre comunità sotto la guida della Parola di Dio? C’è l’urgenza di ritrovare il primato della Parola di Dio. Qualcuno giunge a parlare di “egemonia” della Scrittura sulla nostra vita. Egemonia non vuol dire esclusivismo ma lasciare che la Bibbia ispiri l’intera nostra personale e comunitaria. In tal senso vorrei che crescesse tra noi l’ascolto religioso della Bibbia, ossia la “lettura spirituale” della Bibbia o, come si dice in maniera più tecnica, la lectio divina. Lo dicemmo già lo scorso anno. Sono convinto che è necessario insistere. La Bibbia è il libro della preghiera cristiana! Ma lo è diventato, davvero? Se apprendiamo a pregare con la Bibbia tutta la nostra vita ne trarrà beneficio. La Parola di Dio illuminerà la nostra vita spirituale, la nostra vita pastorale, la cultura, le scienze, la psicologia, il lavoro, la stessa politica e gli altri campi della vita. Del resto il vescovo, il teologo, il sacerdote, il diacono, il seminarista, il religioso, il catechista, ogni cristiano, in quanto tale, non deve forse nascere e formarsi con il seme della Parola di Dio? In tale prospettiva vorrei rivolgermi particolarmente ai giovani e chiedere loro se non sia il caso di iniziare l’esperienza di ascolto della Parola di Dio, assieme, una volta al mese, per poter crescere alla sua scuola, per stringerci, come facevano i discepoli, attorno al Signore e ascoltarlo? Sappiamo bene che quando si apre il Vangelo è Gesù stesso che ci parla. Sarebbe un segno particolarmente efficace per l’intera nostra città ed anche per invitare altri amici che sono in cerca di un senso bello e forte della vita.


Ovviamente questo chiede che noi per primi ci nutriamo del pane della parola. Ed è per questo che torna la domanda che ci facemmo già lo scorso anno: “Quanto tempo dedico alla lettura della Bibbia? E quanti libri della Bibbia ho letto?” In interrogativi come questi si manifesta l’intensità dell’amore per la parola di Dio e l’intensità del desiderio di ascoltare il Signore. Questo porta a dire che è indispensabile trovare il tempo per leggere la Bibbia, sino ad apprenderla a memoria; e se accade che si ha poco tempo perché c’è tanto da fare, è il “da fare” che deve essere sacrificato, piuttosto che l’ascolto della Parola di Dio. Sappiamo bene che tutto ciò richiede una lotta contro la mentalità e la stessa cultura nella quale siamo immersi, una cultura che rende l’ascolto sempre più difficile. Ma l’ascolto della Parola di Dio in un clima di preghiera diviene il banco di prova per la nostra Chiesa negli anni a venire. Scrive la Dei Verbum: “Nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla Sacra Scrittura ciò che è stato detto: vivente ed efficace è la parola di Dio”(21).


Le Sante Scritture debbono diffondersi ovunque. Giovanni Paolo II, presentando il documento del 1993 della Pontificia Commissione Biblica dal titolo L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, diceva: “È motivo di gioia vedere la Bibbia presa in mano da gente umile e povera, che può fornire alla sua interpretazione e una luce più penetrante, dal punto di vista spirituale ed esistenziale, di quella che viene da una scienza sicura di se stessa”. E  Benedetto XVI, continuando su questa linea, diceva che “il popolo cristiano è il vero proprietario della Bibbia e perciò il suo vero esegeta”(Il sale della terra, 302). Nell’ascolto della Bibbia, infatti, scopriamo la nostra vera identità: essere discepoli. La Bibbia, insomma, fa la Chiesa anche nel senso che “fa” il credente, ossia lo edifica a sua immagine e somiglianza. E dall’ascolto della Parola il discepolo diviene apostolo, ossia forte nel proclamare agli altri la Parola che lui per primo ha ascoltato.


 
Un nuovo entusiasmo per la Parola di Dio

 


Cari amici, cosa dobbiamo attenderci da questa assemblea? Avete già nelle vostre mani la Lettera pastorale “La Bibbia ridona il cuore”. Penso che alcuni di voi l’hanno già scorsa. È bene leggerla. Non sto qui a presentarla, anche perché ne abbiamo già parlato. Vorrei che oggi dessimo attuazione pratica alle cose che sono indicate nella Lettera e anche ad altre che potremmo individuare. Mons. Giorgio Brodoloni indicherà alcune piste di ricerca perché nelle nostre comunità cresca la conoscenza, l’interesse e l’amore per la Sacra Scrittura. Vorrei, come ho già notato nella Lettera, che crescesse tra noi l’entusiasmo per la Parola di Dio. Faccio mie le parole che il beato Giovanni XXIII, prendendo possesso di San Giovanni in Laterano, disse ai presenti: “Se tutte le sollecitudini del ministero pastorale ci sono care e ne avvertiamo l’urgenza, soprattutto sentiamo di dover sollevare da per tutto e con continuità di azione l’entusiasmo per ogni manifestazione del libro divino, che è fatto per illuminare dall’infanzia alla più tarda età del cammino”. Cari amici, questo “entusiasmo per ogni manifestazione del libro divino” che il beato Giovanni XXIII voleva suscitare al suo tempo, e vi riuscì con il Concilio che iniziò, è quel di cui c’è bisogno anche oggi e che io mi auguro questa assemblea susciti anche nelle nostre comunità.