Ascensione del Signore

Ascensione del Signore

E’ la domenica dell’Ascensione. La liturgia ci annuncia  questo mistero con le parole dell’evangelo di Luca (24, 50-53). Gesù, dopo aver dato le ultime istruzioni agli apostoli radunati nel cenacolo, esce con loro verso Betania e sale sino al monte degli ulivi. Giunto sulla cima, benedice i discepoli, si stacca da loro e sale verso il cielo. La narrazione si sviluppa in appena tre versetti, eppure questo episodio rappresenta un momento cruciale per la vita di Gesù e per la storia dei discepoli. Luca lo narra due volte. La prima per chiudere il suo Vangelo e la seconda per aprire il libro degli Atti degli Apostoli (è la prima lettura della santa liturgia di oggi). L’autore sembra voler dire che l’Ascensione, se da una parte indica la chiusura della vita pubblica di Gesù con il suo salire al cielo, dall’altra vuol significare una sua presenza più profonda nella vita dei discepoli tanto da essere l’inizio, quasi il fondamento, di tutta la storia seguente della Chiesa.


Cosa vuol dire salire al cielo? Vuol dire andare più in alto della vita degli uomini sino a giungere alla presenza di Dio. Nella Lettera agli Ebrei si descrive questo mistero: “Cristo non è entrato in un santuario fatto da mani d’uomo, ma nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi ora al cospetto di Dio in nostro favore” (Eb 9, 24). Gesù è salito nel santuario del cielo, appunto un santuario non fatto da mani d’uomo, e di cui le nostre chiese sono un pallido segno. Eppure ogni volta che noi celebriamo la santa liturgia siamo come coinvolti nel mistero stesso dell’Ascensione. Ogni domenica, quando entriamo nelle nostre chiese, siamo forse accolti alla  presenza di Dio. E viviamo assieme a Gesù il mistero dell’ascensione: dall’ambone, come dal monte, egli ci parla e ci benedice. L’ascesa di Gesù al cielo non vuol dire che egli si sia allontanato dai discepoli. Significa che egli ha raggiunto il Padre e si è assiso accanto a lui nella gloria. Ascendere perciò vuol dire entrare in un rapporto definitivo con Dio. E quando si dice che è salito “in alto” si vuol dire che Gesù è presente ovunque: come il cielo copre e avvolge la terra così il Signore, ascendendo al cielo, copre e avvolge tutta la terra. Insomma, ascendendo al cielo, Gesù avvolge e copre con la sua presenza e il suo amore tutta la terra. Non è, quindi, un allontanarsi. Al contrario, è un avvicinarsi a tutti gli uomini della terra per stare accanto ad ognuno. Ecco perché l’evangelista Luca scrive che “dopo averlo adorato, i discepoli tornarono a Gerusalemme con grande gioia”. Com’è possibile gioire mentre il Signore si allontana? Gli apostoli gioiscono perché hanno compreso che quella separazione realizza una nuova presenza di Gesù in tutta la terra. Compresero che il Signore era ormai definitivamente accanto a loro con la sua Parola e con il suo Spirito; una vicinanza certo più misteriosa, ma forse ancor più reale di prima. Senza dubbio sono tornate loro in  mente le parole che avevano sentito da Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). In quel giorno dell’ascensione le compresero fino in fondo: in qualunque parte della terra, in qualunque epoca, in qualunque ora, si sarebbero radunati assieme due o più discepoli del Signore, Egli sarebbe stato in mezzo a loro. Da quel momento in poi la presenza di Gesù sarebbe stata ancor più larga nello spazio e nel tempo; per sempre avrebbe accompagnato i discepoli, dovunque e comunque. Di qui il motivo della grande gioia. Nessuno al mondo avrebbe ormai potuto allontanare Gesù dalla loro vita. Questa gioia dei discepoli, è ora la nostra gioia.


Nella santa liturgia, accade a noi quello che avvenne per loro. I due angeli possiamo paragonarli alle Sante Scritture, all’Antico e al Nuovo Testamento. Esse ci vengono incontro mentre stiamo con la testa a fissare il cielo del nostro egoismo, dei nostri sogni, delle nostre fantasie. No, non è questo il cielo che dobbiamo guardare. “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”. Potremmo sentirci dire: “Uomini e donne di oggi, perché state a guardare il vostro cielo?”.  E’ la domanda che le Scritture ci rivolgono ogni domenica, per rompere i  confini ristretti dei “nostri” cieli. Quello in cui Gesù è salito è un cielo molto più largo: è ampio come il mondo ed è profondo come il cuore degli uomini. Il cielo in cui Gesù è salito è il cielo che avvolge il volto dei deboli, è il cielo che sta nelle terre martoriate dalla guerra, è il cielo che copre il letto ove giace il malato, la piazza e la strada ove vivono i senza tetto. Questi, e tanti altri, sono i cieli che gli angeli ci invitano a contemplare. Sì, dobbiamo abbandonare i nostri cieli, quelli ristretti del nostro io, per guardare il cielo largo e profondo di Dio. Nel giorno dell’ascensione il Signore Gesù ci dona la grazia di salire in alto assieme con lui  perché possiamo avvicinarci di più a Dio e agli uomini.