La Tv si apra alla civiltà del lavoro

La Tv si apra alla civiltà del lavoro

di Salamandra



E’ un vescovo in  prima linea, Monsignor Vincenzo Paglia, oggi a capo della diocesi di Terni, Narni ed Amelia, ma per moltissimi anni, preposto alla Comunità di Sant’Egidio di Roma, protagonista di incontri interreligiosi e di incredibili sforzi diplomatici (spesso con successo), per riportare la pace tra gruppi etnici in guerra tra loro, nell’Africa dilaniata dalle lotte fratricide. Non solo, ma alla dignità del lavoro e al dialogo tra le comunità religiose è dedicata gran parte della sua pastorale umbra. Lo intervistiamo sulla nostra proposta, accolta dai ministri Damiano e Gentiloni, di creare un canale tv  dedicato alle problematiche del lavoro: “ mi chiamate ad una giusta e doverosa riflessione”, esordisce, “ proprio all’indomani del grave incidente sul lavoro nell’oleificio umbro dove sono morti tre lavoratori della nostra diocesi. Vorrei essere presente alla vostra festa del 20 dicembre prossimo, ma mi sarà impossibile in quanto è in calendario per quella data una mia visita a Mosca. Ma sarò comunque presente alla serata con un mio messaggio”.


Monsignor Paglia, il mondo del lavoro sembra lontano anni luce dalla ribalta mediatica. Come se ci dovessimo vergognare di lavorare, di essere sfruttati e di morire per il lavoro…



“Credo che questa sinora ininterrotta catena di morti sul lavoro, una realtà  che trova purtroppo riscontro tutti i giorni non ha quella eco che sarebbe necessaria sulla stampa, sull’opinione pubblica e quindi sulla cultura del lavoro.


Il lavoro che dovrebbe essere il luogo della manifestazione della dignità dell’uomo , addirittura compartecipe dell’atto creativo per chi crede, e fonte del suo sostentamento, diviene invece luogo di morte e di dolore. E non può trattarsi di casi isolati, per qualche pur colpevole disattenzione. Qui è in gioco la qualità di una civiltà e la chiamata alla corresponsabilità di tutti.”



Sembra che il lavoro in senso generale possa ritenersi un argomento palloso, troppo serioso per i palinsesti televisivi. Siamo agli antipodi del primo periodo della tv, quando al lavoro si dedicavano programmi in  bianco nero, mentre oggi il lavoro è solo quello di chi fa successo con mezzi non certo trasparenti…


 


“Accogliere nei palinsesti il lavoro solo quando si tratta di morti, e per altro non sempre, significa essere complici di una inciviltà. Dovrebbe invece essere il contrario nella funzione dei mass media. Questa complicità diventa ancor più colpevole, se si pone all’attenzione non la pur seria anche se faticosa opera del lavoro, ma il facile guadagno, che è sinonimo di quella cultura egocentrica che facilmente diventa violenta.


Non è possibile che parliamo, insomma, del lavoro quando accade qualche tragedia, oppure per mostrare o esaltare chi, in maniera fraudolenta  o disinteressata del bene comune, è portato ad esempio di comportamento.

Alla cultura del lavoro ha pian piano preso piede pian piano

’inciviltà dell’accaparramento per sé, del successo a qualunque costo, dell’individualismo dimentico.”


 


Come vede un canale tv specializzato sui problemi del lavoro, sul quale concordano i ministri del lavoro, Damiano, e delle comunicazioni, Gentiloni?


 


“Non sono un tecnico della materia, ma certamente sento un’esigenza de di una riflessione a tutto campo sul lavoro, liberandolo anche da una separazione troppo rigida da quello che viene chiamato tempo libero, oppure dai due tempi:quello dell’ingresso dopo lo studio e quello dell’uscita, quando si va in pensione.

Questo richiede una riflessione a tutto campo, cioè si tratta di ripensare il modo di vivere e di strutturare la società. In questo senso, abbiamo bisogno di una molteplicità di approcci. In sintesi, parlare del lavoro, vuol dire parlare della vita, di come impostare la vita e quindi di come essere felici. Sia nella dimensione personale, per cui è davvero difficile pensare che terminato il lavoro remunerato, si viva altri 30 anni appesi a chissà dove. Sia anche nella sua dimensione sociale, perché non è più possibile pensare al lavoro, senza considerare la famiglia, la società, il proprio paese. Quindi, a mio avviso o c’è un canale televisivo apposito o il lavoro dovrà essere protagonista trasversalmente su tutti i canali”.