XXIV annual meeting of the Pontificial Academy of Life – Introduction to the workshop
Care amiche e cari amici,
vi rivolgo il mio più cordiale benvenuto per questo tempo di approfondimento e di scambio su un tema che ci sta molto a cuore. Le continue e rapide trasformazioni di cui siamo testimoni nel nostro mondo ci chiedono di riflettere in modo rinnovato e sempre più articolato a quanto costituisce il nodo focale della missione della PAV, cioè la vita della persona umana. Si tratta di esaminare come il contesto in cui siamo inseriti incida sulla nostra comprensione della bioetica – intesa come etica della vita nel senso più radicale – e sulla responsabilità e l’impegno che ne derivano per noi. Papa Francesco ci ha aperto un largo orizzonte nel quale iscrivere le nostre riflessioni.
Uno dei tratti salienti del mondo attuale è senz’altro quello della globalizzazione. Nella riflessione della Chiesa l’acquisizione di questa categoria non è un’integrazione dell’ultima ora. La Populorum progressio (1967) di Paolo VI non utilizzava il termine “globalizzazione”, ma ne indicava con precisione i tratti caratteristici. L’enciclica ragionava esplicitamente in chiave globale, occupandosi dei problemi dello sviluppo ed esaminandone la dinamica su scala planetaria. Vi leggiamo passaggi di sorprendente attualità: “Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, che è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere” (17). Inoltre, il testo non si poneva nella posizione di una astratta prospettiva di giustizia formale, limitandosi a ribadire che occorre «dare a ciascuno il suo», ma adottava la prospettiva di una giustizia concreta, che prende le parti dei più deboli: dei Paesi poveri e di tutti coloro che si trovano o sono spinti ai margini. San Giovanni Paolo II ha ripreso questo messaggio nella enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), con cui ha commemorato il ventennale proprio di Populorum progressio.
Di questa prospettiva Papa Francesco ha fatto il punto di forza della Laudato Si’, che ne attualizza il significato per il tempo presente. Facendo fulcro sulla “casa comune” dei viventi, egli ci parla di “ecologia integrale”, una espressione che è stata rapidamente acquisita come paradigma concettuale innovativo. La parola “ecologia” è infatti utilizzata non in senso generico e vago. Il Papa, prendendo come riferimento l’ecosistema globale, indica una modalità di approccio a tutti i sistemi complessi, per la cui comprensione occorre dare attenzione privilegiata alle relazioni delle singole parti fra di loro e con “il tutto”, che è “superiore alle parti” (Evangelii gaudium, n. 234). In altri termini, non si possono comprendere e assumere responsabilmente le singole questioni senza collocarle nello scenario complessivo e globale, che implica l’adozione di una prospettiva differenziata e multiculturale e richiede il contributo di molti punti di vista e di saperi specifici. L’ecologia integrale diventa così una chiave interpretativa capace di riconoscere il collegamento di fenomeni e problemi del mondo naturale con questioni che normalmente non sono ascritte all’agenda ecologica in senso stretto, come gli equilibri delicati delle grandi metropoli o la fruibilità del sistema dei trasporti. Per noi, la prospettiva che papa Francesco introduce attraverso l’ecologia integrale ha particolare interesse per leggere l’“ecologia umana” e il rapporto con il proprio corpo, come ci ha detto nel discorso di stamattina (cfr LS 155), o le dinamiche sociali e istituzionali a tutti i livelli: «Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la qualità della vita umana» (LS n. 142). È una prospettiva che aiuta a mettere in evidenza quanto uno sviluppo pienamente umano, e quindi anche la tutela del fondamentale “diritto alla (tutela della) salute”, sia influenzato da fattori ambientali, sociali e dalle scelte politiche secondo cui essi sono governati.
Seguendo questa traccia, emergono i due assi portanti di una “bioetica globale”: primo, la complessità del contesto nel suo insieme in cui le persone vivono e, secondo, il modo in cui le componenti di tale contesto determinano la salute, favorendola o danneggiandola. All’interno di questa prospettiva si coglie con maggiore evidenza come la persona umana sia costitutivamente relazionale. Essa non è cioè un soggetto in sé sussistente, costituito fuori di ogni rete relazionale, nella quale entrerebbe solo in un successivo momento, secondo una logica di scelta individuale arbitraria. Al contrario, la persona umana ha origine attraverso relazioni che la anticipano: quelle da cui riceve la vita come dono e quelle verso le quali è fin dall’inizio responsabile. In questa luce va interpretata la dignità della persona, con i diritti umani fondamentali che ne derivano e a cui giustamente e universalmente ci si richiama (in particolare in questo anno, nel quale ricordiamo il 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 10 dicembre 1948). Tali diritti vanno affermati non solo come individuali (“i miei diritti”), ma come diritti di tutti (“i nostri diritti”, “i diritti di tutti”). Essi vanno compresi come istanze non solo da rivendicare per sé, ma anche da garantire agli altri, verso cui siamo responsabili.
Mi chiedo pertanto se non dobbiamo sottolineare assieme alla persona umana anche la famiglia umana, come singolare soggetto di diritti e doveri. L’amore per la comunità, la dedizione per il bene comune, lo spirito di dedizione e anche di sacrificio, dovrebbero di nuovo essere onorati come virtù specifiche e indispensabili all’etica della vita che è tema comune e questione globale di una bioetica integrale. L’orizzonte di questa riabilitazione del “comune” dovrebbe essere ispirato da un senso forte della “famiglia umana”. L’umanità che ci è comune non è semplicemente la convivenza organizzata dei liberi e uguali: la fraternità è il valore aggiunto di un bene comune che solo uno spirito familiare può insediare e proteggere. Il tutto è superiore alle parti.
In questo vasto orizzonte della famiglia umana il nostro sguardo si rivolge soprattutto ai più poveri e più vulnerabili, i cui diritti sono meno tutelati. Da qui lo spazio riservato nel nostro Workshop al delicato rapporto materno-infantile, su cui maggiormente pesano le conseguenze di molte ingiustizie. Questo non vuol dire certamente dimenticarsi di altre persone che si trovano in stato di fragilità o di debolezza, o di solitudine, come gli anziani. Proprio a loro, infatti, l’Accademia ha dedicato le Assemblee generali del 2014 (Invecchiamento e disabilità) e del 2015 (Assistenza agli anziani e cure palliative).
Quello che ci interessa in questi giorni è dunque anzitutto l’approfondimento della prospettiva di fondo della bioetica globale, per poi esaminare come momento esemplare uno snodo particolarmente sensibile, non solo per il futuro individuale, ma per l’intera famiglia umana nel suo complesso. Potremo così fare un esercizio effettivo di dialogo tra diversi punti di vista. Siamo lieti di avere tra i partecipanti al nostro Workshop, come anche tra i membri della Accademia, sia competenti di diverse discipline scientifiche sia appartenenti a diverse religioni e visioni del mondo. Ed è nostro desiderio che questa pluralità di prospettive e di saperi si allarghi anche oltre in confini di questi giorni e possa costituire un impegno per tutti: trovare collaborazioni e alleanze con chiunque abbia a cuore le stesse domande e le stesse istanze di trasformazione in cui si radica il nostro impegno. Approfondire la percezione di essere tutti solidali come abitanti della casa comune e consapevoli dell’importanza di tale contesto per la salute, potrà rendere universale anche la responsabilità. Questo insieme, verso cui tutti siamo responsabili, può ispirare un ethos globale, permettendo di superare le tentazioni di profitto parziale, gli interessi che creano conflitti e causano povertà, prevaricazione ed esclusione.
Del resto emergono qui elementi che facevano parte delle intuizioni originarie della bioetica ai suoi albori, quando si poneva l’obiettivo di favorire ponti tra scienze naturali e riflessione umanistica e tra le generazioni. Costruire ponti significa predisporre le condizioni per l’incontro di chi lo attraversa e porta con sé il proprio punto di vista. Ed è un percorso che può accadere in due direzioni, non a senso unico. Abbiamo fiducia che questo potrà verificarsi con il contributo di tutti. Buon lavoro!
XXIV ANNUAL MEETING OF THE PONTIFICAL ACADEMY FOR LIFE
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