XXII Domenica del Tempo Ordinario

Un sabato era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo. Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece quando sei invitato, và a metterti all’ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.

Disse poi a colui che l’aveva invitato: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch’essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”

“Una mente saggia medita le parabole”, nota il Siracide (3,28). È quanto vogliamo fare anche noi in questa domenica, dopo aver ascoltato appunto le due parabole pronunciate da Gesù. Esse vengono proposte in questa liturgia che vede molti riprendere il ritmo ordinario della vita, dopo le vacanze. È sempre saggio meditare le parabole, soprattutto mentre si riprende il cammino: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino” canta il salmo (Sal 119,105). Il Vangelo presenta Gesù che, invitato a pranzo in casa di un capo dei farisei, osserva gli ospiti precipitarsi a scegliere i primi posti. È una scena che ci è forse familiare anche se, magari per timore o per educazione, non ci ha visti protagonisti sciocchi. Eppure, non siamo tanto lontani dalle abitudini stigmatizzate dal Vangelo. E Gesù, che legge nel profondo dei cuori, oggi forse vede anche noi correre per prendere i primi posti, come quegli invitati di cui parla il Vangelo. Ma non è questione di cercare la poltrona più bella o la prima fila. Si può scegliere il primo posto anche mettendosi nell’ultima fila o nell’ultima sedia. La scelta del primo posto, infatti, riguarda il cuore, non le sedie. Scegliere i primi posti è porre se stessi davanti a tutto; è voler piegare tutto ai propri comodi; è pretendere di essere serviti piuttosto che servire; essere onorati piuttosto che essere disponibili; essere amati prima di amare. Scegliere il primo posto, insomma, vuol dire anteporre se stessi a ogni cosa. Si comprende bene che non è questione di sedie, bensì dello stile della vita.
Gesù stigmatizza questo comportamento. Esso non giova, anzi è dannoso perché ci rende concorrenti e nemici l’uno dell’altro, condannandoci così a una vita fatta di spiate, di spinte, di invidie, di soprusi. Non è questione di galateo o di buone maniere. Gesù va ben oltre; intende cogliere la concezione che ognuno ha di se stesso. E la lezione è chiara: chi crede di essere giusto e pensa di poter stare a testa alta tanto da meritare il primo posto avanti ad altri, costui sentirà dirsi: “Cedigli il posto!” (v. 9), e dovrà arretrare pieno di vergogna. È bene allora vergognarsi della propria superbia e dell’indulgenza che ciascuno ha verso se stesso, già prima di prendere posto. È bene vergognarsi davanti a Dio del proprio peccato, senza che questo comporti depressione, poiché “solo Dio è buono”. La santa liturgia ci suggerisce questo atteggiamento quando all’inizio ci fa invocare per tre volte: “Signore, pietà”. E il Signore viene accanto a ciascuno e ci esorta: “Amico, passa più avanti!”; “amico, vieni, ascolta la mia parola, gusta il mio pane e bevi il mio calice”. Sì! Chi si umilia e chiede perdono, chi china il capo davanti al Signore, costui sarà esaltato. Il Signore non sopporta i superbi e non tollera gli egoisti. Egli è il “Padre degli umili”. “Figlio – esorta il libro del Siracide – nella tua attività sii modesto, sarai amato dall’uomo gradito a Dio. Quanto più sei grande, tanto più umiliati; così troverai grazia davanti al Signore; perché dagli umili egli è glorificato” (Sir 3,17-20). E la prima lettera di Pietro esorta i cristiani a “rivestirsi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili” (5,5). L’umiltà non ha nulla a che vedere con l’umilismo. L’umiltà è riconoscere che solo Dio è grande, solo Dio è buono, solo Dio è misericordioso. Nessuno di noi è buono per carattere o per natura. Al contrario, siamo impastati di egoismo. La bontà è frutto di conversione, dell’ascolto della Parola di Dio, della pratica della carità.
L’umile capisce, sa amare, sa essere fratello e sorella, sa pregare, sa essere umano, sa smuovere le montagne più alte e sa colmare gli abissi più profondi. L’umile realizza l’altra parabola evangelica: “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli… perché anch’essi non ti invitino… e tu ne abbia il contraccambio. Al contrario… invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti” (vv. 12-13). In un mondo in cui tutto è commercializzato, in cui il do ut des è la legge ferrea che regola ogni comportamento, le parole di Gesù sono davvero una bella notizia, l’annuncio della gratuità, del gesto fatto per amore e con disinteresse. Di qui nasce una nuova, più ampia solidarietà. Noi, umili discepoli, cosa faremo quest’anno? Quale impegno cercheremo di portare avanti? Il compito affidato a noi è quello di apparecchiare e servire il banchetto dell’amore, di voler bene a tutti e particolarmente ai più poveri.