Veglia della GMG

Veglia della GMG

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VEGLIA GMG TERNI


Care sorelle e cari fratelli,


 


ci troviamo in tanti questa sera, in questo momento di vigilia e di festa. Siete venuti da varie parti del mondo e la diocesi di Terni ha voluto accogliervi con un cuore aperto. Vi abbiamo aspettato da molti mesi e abbiamo cercato di prepararvi un posto. Forse non è particolarmente comodo, ma vi assicuro lo abbiamo preparato con il cuore. E vi abbiamo atteso come fratelli e sorelle che la lontananza non faceva sentire estranei. Ed eccovi ora qui, in mezzo a noi. Ci sentiamo come una sola famiglia. Siamo diversi per lingua, per storia, per tradizioni, eppure sentiamo nostre le parole dell’unico Vangelo: “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, disse Gesù ai suoi discepoli e oggi ripete a tutti noi.


 


Siete venuti nella terra umbra, una terra bagnata dal sangue di tanti martiri e dalla testimonianza di tanti santi. Terni è la città di San Valentino, il primo vescovo di questa città. Era un predicatore del Vangelo e un servitore dei poveri. E’ noto come il protettore degli innamorati, di chi persegue la via del matrimonio come costruzione di una vera famiglia basta sull’amore reciproco. Sì, san Valentino protegge gli uomini e le donne che non pensano più a vivere solo per se stessi ma si innamorano del Vangelo e dei propri fratelli. E di questo amore senza limiti è stato testimone privilegiato Francesco d’Assisi. Varie volte egli si è fatto pellegrino a Roma, come noi faremo nei giorni prossimi. Sì, ecco, lo vedo camminare per queste nostre strade, povero e umile, innamorato del Vangelo e dei poveri. Egli ha voluto che i suoi seguaci si chiamassero fratelli. Il Vangelo infatti fa di gente lontana ed estranea, talora anche nemica, fratelli e sorelle, amanti della pace.


 


Con Francesco, povero e umile, ci incammineremo anche noi, come pellegrini, verso Roma. Francesco portava nel suo corpo le stigmate di Cristo. Ciascuno di noi vorrei che portasse con sé le stigmate, ossia i dolori e le speranze del proprio paese, ma assieme vorrei che ci facessimo carico delle tante croci che ancora schiacciano la vita di tanta gente nel mondo. Ci sono ancora molti poveri in America Latina che attendono la liberazione; ci sono troppi conflitti che in Africa oppongono etnia a etnia, stato a stato, e che è sempre più urgente spegnere; ci sono ancora numerosi e crudeli scontri nel grande mondo dell’Asia che debbono essere debellati; e ci sono troppe lacerazioni tra ricchi e poveri e troppe ingiustizie nel mondo ricco dell’Europa e dell’America del Nord, che è necessario allontanare.


 


Questa sera facciamo festa perché il Signore non ha lasciato questo mondo e non ci ha abbandonato. Egli sta accanto a noi e cammina con noi. Vogliamo entrare con lui nel nuovo secolo, nel nuovo millennio. Il Papa ci ha detto nel suo messaggio: “Non volgetevi perciò ad altri…Non cercate altrove ciò che solo Lui può donarvi, giacché in nessun altro c’è salvezza”. Si, non ci volgeremo ad altri e non cercheremo altrove la salvezza. Vogliamo che questo nuovo millennio, fin dai suoi primi mesi, oda l’annuncio di Gesù come amico e salvatore degli uomini. Ogni volta che il mondo l’ha dimenticato, non ha più conosciuto né l’amicizia né la salvezza. Noi vogliamo essere in tanti, come un grande popolo di giovani, che non vuole stare a guardare da fuori questo mondo, ma che vuole costruire assieme a Gesù, un mondo di amore.


 


Ascoltiamo le parole del papa: Giovani di ogni continente, non abbiate paura di essere i santi del nuovo millennio! Sì, o Signore, noi non abbiamo paura, ma tu aumenta la nostra fede e sostienici nel nostro cammino. Amen.


 


 


 


Vincenzo Paglia


 


Il Giubileo


 


 


1.  Il Giubileo ebraico


 


Dio ha una grande ambizione sul suo popolo. Egli, come sta scritto, esorta gli israeliti: “Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2). E un sapiente d’Israele, Simone il Giusto, volendo indicare la via della santità che è poi la salvezza del mondo, soleva dire che il mondo si regge su tre cose: sulla Torà, sul servizio divino e sulle opere di bene. Ebbene, in questo orizzonte vanno comprese le due istituzioni presenti nel Primo Testamento, dell’anno sabbatico e dell’anno giubilare. Esse sono una aiuto alla santità degli uomini, delle donne e dell’intera creazione.


L’anno sabbatico ricorreva ogni sette anni, mentre l’anno giubilare cadeva ogni 49 anni. Come si vede, la periodizzazione si basava sul metro della settimana, e precisamente ogni settimana di anni ricorreva l’anno sabbatico e ogni sette settimane di anni l’anno giubilare. L’uno e l’altro esprimevano a livello annuale ciò che il sabato esprimeva a livello settimanale: ossia un tempo privilegiato che esprimeva il compimento della creazione, il momento della festa, della gioia, della pienezza, e in questo senso è da consacrare a Dio.


Nel libro dell’Esodo si legge: “Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma al settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e i loro avanzi saranno divorati dalle bestie della campagna. Così farai per la vigna e per il tuo oliveto. Per sei giorni farai i tuoi lavori, ma al settimo giorno farai riposo, perché possano goder quiete il tuo bue e il tuo asino, e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero” (23, 10-12). E più avanti il libro del Deuteronomio: “Quando vi sarà in mezzo a te qualcuno dei tuoi fratelli che sia bisognoso in una delle tue città…non indurerai il tuo cuore e non chiuderai la mano davanti al tuo fratello bisognoso”. Nel libro del Levitico si parla del Giubileo: “E santificherete il cinquantesimo anno, e proclamerete la liberazione nel paese di tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un Giubileo; ognuno di voi tornerà nella propria proprietà, e ognuno di voi tornerà nella propria famiglia.”


Il Giubileo (così chiamato perché la sua apertura era annunciata dal suono della tromba, Jobel) consisteva in un intero anno di vita assolutamente straordinario. Era un affrancamento generale di tutti gli abitanti del paese e persino della terra, dell’ambiente, da qualsiasi schiavitù. Le terre, infatti, in quell’anno dovevano rimanere incolte (una pratica ecologica resa necessaria dalla perdita di fertilità del suolo in seguito ad un eccessivo sfruttamento); ognuno rientrava in possesso del proprio patrimonio; venivano cancellati i debiti ai debitori e gli schiavi venivano liberati.


Era l’anno della giustizia, del ripensamento del proprio operato. Bisognava fermarsi tracciando una sorta di linea che permetteva a tutti di iniziare nuovamente la vita su una base di uguaglianza. Era davvero una sosta che doveva interrompere quella frenesia del possesso che oggi chiameremmo consumista. Ogni cinquanta anni, il popolo d’Israele era chiamato a questa cesura nel tempo per riprendere il cammino così com’era voluto da Dio.


Non abbiamo nessun indizio storico che tali le disposizioni giubilari siano state attuate. Certamente però prospettavano un ideale di giustizia e di convivenza tra gli ebrei che riproponeva l’inizio della vita del popolo ebreo all’ingresso della terra promessa, quando Dio aveva donato a ciascuno senza differenze un pezzo di terra.


Credo che questo ideale debba riecheggiare nella celebrazione anche degli anni santi nati nella tradizione cristiana. Ed in effetti lo stesso Giovanni Paolo II fa riferimento a questo spirito nella sua Lettera Apostolica “Tertio Millennio Adveniente”. Per questo insiste sulla conversione dei cuori, sul pentimento anche per le colpe passate dei cristiani, sull’aiuto ai poveri, sul condono del debito dei paesi poveri, e così oltre.


 


2. Il primo Anno Santo cristiano


 


Anche il primo Anno Santo cristiano fu segnato da una particolare dimensione di conversione. L’istituzione del Giubileo, com’è noto, si deve a Bonifacio VIII nel 1300. Ma non fu un’idea che gli nacque spontaneamente. Il Papa concesse l’indulgenza giubilare dietro la spinta di un forte movimento popolare di pellegrini. Decine e decine di migliaia di penitenti si erano riversati a Roma nell’approssimarsi del fine secolo (il 1300). Furono proprio costoro che diffusero l’idea che quella fine secolo dovesse rappresentare un tempo straordinario di perdono, un nuovo inizio della vita. E il viaggio a Roma sulla tomba dell’apostolo Pietro e la venerazione della reliquia della Veronica dovevano rappresentare il sigillo di tale anno straordinario, sulla scia di quanto era stabilito nel Primo Testamento. Il Papa, inizialmente, non diede molto peso a tali considerazioni.


Solo quando vide, nella notte dal primo al due gennaio del 1300, una folla incredibile di poveri pellegrini che aveva invaso la basilica di S. Pietro e la piazza antistante in preghiera e penitenza per ottenere il perdono, Bonifacio VIII prese in considerazione l’idea del Giubileo. E constatando la crescita dell’afflusso di pellegrini decise, nel mese di febbraio, di recarsi personalmente a S. Pietro per promulgare davanti a tutti l’indulgenza giubilare.


Ho fatto questi due brevi cenni storici per mostrare il legame inscindibile che c’è fin dall’inizio tra la celebrazione del Giubileo e il rinnovamento dei cuori e del mondo. Anche questo Giubileo, come il primo,  si colloca all’inizio di un nuovo millennio. Il secolo che ci siamo lasciati alle spalle è stato tra i più crudeli della storia umana, sebbene abbia rappresentato anche un momento di progressi incredibili. Tuttavia le ombre delle tragedie di ieri si stendono anche in questo secolo, per questo c’è bisogno di una rinascita spirituale da parte di tutti, di una crescita nell’amore e nella misericordia. Tutti dobbiamo impegnarci ad arginare una risorgente cattiveria tra gli uomini; tutti dobbiamo trovare i modi per allontanare le ombre del male. E la via è quella di far risplendere più forte la misericordia, l’amore, la giustizia, la solidarietà, l’amicizia. Per noi cristiani la via è vivere il Vangelo, cercare di imitare Gesù.


 


3. Il Giubileo oggi


 


In questo anno noi cristiani ricordiamo i duemila anni della nascita di Gesù. E’ un’occasione propizia per rivolgere il nostro sguardo e soprattutto la nostra vita verso do lui, figlio singolarissimo del popolo d’Israele.


Anche lui iniziò la sua predicazione partendo proprio dalla proclamazione di un anno di grazia, ossia di liberazione. Scrive l’evangelista Luca che Gesù entrò nella sinagoga di Nazaret durante la preghiera. Il lettore prese il passo del profeta Isaia che diceva: “Lo spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore” (4, 18-19). Finito di leggere Gesù salì sul pulpito. Tutti gli occhi erano fissi su di lui. Ed egli iniziò a parlare dicendo: “Oggi, si adempiuta questa Scrittura”. In verità, potremmo dire, da quel momento iniziava un anno di grazia per tutti. Anno di grazia vuol dire anno di liberazione, anno in cui Dio ri-crei il mondo, anno in cui tutti possiamo far festa con Lui.


Anche qui a Trastevere vorrei che ci fosse più festa, più amore, più comprensione. Questa mattina l’occasione è particolarmente preziosa. Mi trovo qui con il rabbino Piattelli, amico carissimo e credente esemplare. Insieme, noi, tutti voi, vogliamo rivolgere i nostri occhi al Signore Iddio perché ci aiuti a celebrare una festa che non termini con questi giorni. Per questo ho voluto, all’inizio di questo nuovo millennio, consegnare a tutti gli abitanti di Trastevere un piccolo libro, il libro dei salmi. Era il libro di preghiere di Gesù, quello che lui ha più usato. Noi cristiani dobbiamo rivolgere il nostro sguardo su di lui per imitarlo, per essere come lui era. Questo piccolo libro ci aiuterà ad unirci ad una moltitudine di credenti che da millenni lo usano per la loro preghiera.