«Un sacramento non si compra. Aiuti? Siano per tutti»

di Gian Guido Vecchi

«Vede, il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes, parla del matrimonio cristiano come di una scelta d’amore per formare una famiglia». L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della pontificia Accademia per la Vita, sospira. «È una scelta di fede, libera».

Non è faccenda che si affronti con i bonus, insomma…
«Dopo il Covid si nota una leggera ripresa dei matrimoni, e tra questi molti anche in Chiesa. C’è da augurarsi che la tendenza si stabilizzi. Davanti alla crisi dei matrimoni, religiosi o civili, è opportuno pensare ad un sistema per sostenere le unioni stabili. Se lo Stato vuole aiutare le famiglie ben venga, ma tutte le famiglie».

E i matrimoni in Chiesa?
«Il matrimonio per la Chiesa è un sacramento e un sacramento non si compra. Il credente che sceglie la celebrazione del matrimonio in Chiesa non si fa convincere a questo passo dalle detrazioni economiche, almeno spero. Sono altre le ragioni che lo spingono al sacramento. Altro discorso sono tutte quelle misure che sostengano la realizzazione della vita familiare ed eliminino gli ostacoli, anche finanziari, che rendono difficile il progetto familiare. Su questo c’è da augurarsi un lavoro più robusto. Detto questo, la dimensione del credente è una scelta d’amore assolutamente libera da altri condizionamenti, va al di là di qualsiasi questione economica. Anzi, per chi ha fede in genere si dovrebbe fare il contrario».

In che senso?
«Chi ha fede e va in chiesa, si impegna a creare una famiglia come un servizio gratuito, fatto di generosità verso i figli, i familiari, i parenti anziani, la propria parrocchia, la Chiesa e il mondo intero, a cominciare dai più poveri, i più bisognosi, gli anziani soli, i bambini abbandonati…La gratuità è dimensione profonda dell’identità cristiana. La scelta religiosa, proprio per la sua gratuità, è al di fuori di ogni prospettiva o “incentivo” legislativo. D’altra parte, forse, la proposta intendeva sottolineare proprio la direzione di un sostegno alla formazione di legami forti e stabili, gli unici che potranno rispondere alla sfida della denatalità».

Semmai si tratta di aiutare tutti, insomma?
«Ma certo, uno Stato che si impegna a sostenere le famiglie, soprattutto nei momenti più difficili, compirebbe una grande scelta. Ma dovrebbe riguardare tutti i cittadini, ovviamente, non solo alcuni, al di là del fatto che abbiano fede o no. Del resto che ne sarebbe dei matrimoni in sinagoga, nelle moschee o altrove?»

Che si potrebbe fare allora?
«A un primo sguardo, bisognerebbe piuttosto lavorare su una proposta del genere anche dal punto di vista dell’uguaglianza di ogni cittadino, senza distinzioni di religione e che sia credente o meno, come prevede la Costituzione italiana. No, il punto è un altro».

E quale?
«Davanti a quello che Bauman chiamava “amore liquido”, sarebbe auspicabile che i giovani riscoprissero la saldezza dei legami familiari che aiutano tutta la società a essere più stabile. E che la società li sostenesse, in questo. Parlo di tutti i legami, senza cortocircuiti inutili. Molte persone che non intendono celebrare il sacramento sono comunque convinte del valore della fedeltà e della saldezza del legame: sanno che sposarsi è una cosa seria».

CORRIERE DELLA SERA