«Un patto tra etica e tecnologia, oppure robot e algoritmi ci comanderanno»
di Paolo Conti
Comincia nella nuova Sala del Sinodo in Vaticano il convegno «Robo-ethics», tre giorni di riflessione sull’umanità che si confronta sul progresso scientifico in occasione del 25° anniversario della Pontificia Accademia per la vita, presieduta dall’arcivescovo Vincenzo Paglia. Interverranno studiosi e scienziati da tutto il mondo. Tra i tanti relatori, anche Hiroshi Hishiguro, creatore del robot umanoide «Geminoid» che oggi alle 20 terrà anche un incontro pubblico alla Cappella-Auditorium dell’Università «La Sapienza» di Roma, dialogando con il teologo Paolo Benanti.
Monsignor Paglia, questo incontro internazionale svela un timore: che l’intelligenza artificiale, e la sua capacità operativa, possa sostituirsi all’uomo in alcuni snodi importanti.
«Il timore è legittimo. La precisione e l’affidabilità di alcuni strumenti rende possibile sostituire funzioni valutative e decisionali abitualmente svolte dall’intelligenza umana».
Per usare termini immediati?
«Ci troviamo di fronte a un panorama nuovo: una sorta di invasione della tecnica che aiuta certamente l’umanità a risolvere problemi oggettivi, come l’autosufficienza di alcuni anziani o di chi deve fare i conti con gravi handicap: ma il rischio è che possa essere la macchina a guidare l’uomo, non viceversa. Non dimentichiamo che il termine robot significa “servo”, cioè deve restare al servizio dell’umano. Oggi urge un nuovo patto tra umanesimo e tecnica».
Partendo da quale considerazione?
«La tecnica è frutto del lavoro dell’uomo che deve mantenere la signoria sull’intelligenza. Prendiamo gli algoritmi: utilissimi, ma non possono governare senza essere a loro volta governati dall’uomo. Un algoritmo è matematica: ma l’uomo, che ha studiato quell’algoritmo, è anche mistero».
Altro tema è la sostituzione del robot nel lavoro, la possibile cancellazione di aree di impiego.
«Il pericolo è concreto. Senza una risposta etica il futuro può diventare denso di insidie legate alla possibilità per l’uomo di avere un’occupazione. Abbiamo riscontrato grande attenzione, su questi temi, da esponenti di diverse fedi religiose: il mondo cristiano, l’ebraismo, l’islam, l’induismo, dalla ricerca accademica. Occorre una nuova alleanza tra etica, diritto, tecnologia, la stessa politica. L’umanità ha malamente affrontato, nel recente passato, la questione ecologica. Abbiamo sfruttato il creato, nel nome del guadagno, provocando danni incalcolabili. Papa Francesco ha risposto con l’enciclica “Laudato sì”. Oggi si profila una nuova sfida: cioè che la casa comune dell’uomo, la Terra, resti non solo abitabile dai nostri figli e dai nostri nipoti ma che continui ad avere al suo centro l’Umano. Facciamo l’esempio della cura degli anziani o di chi non è autosufficiente: nessuna macchina potrà mai sostituire la tessitura di relazioni interpersonali che fondano la stessa Umanità. Nessuna macchina potrà mai prendere il posto dell’indispensabile relazione tra medico e paziente».
Qualcuno vi accusa di accantonare i temi «tradizionali»: l’aborto, l’eutanasia…
«Esattamente il contrario. La problematica di cui parliamo riguarda il senso stesso e contemporaneo della vita umana: è importante “ridefinire” cosa significa, alla luce delle nuove tecnologie. Prendiamo la gravidanza. La sua interruzione diventa ancora più scandalosa quando scopriamo, grazie alla ricerca, la quantità di relazioni che apre il nascituro, a cominciare da quella con il padre. Quanto all’eutanasia, noi non siamo chiamati ad aiutare il “lavoro sporco” della morte. Dobbiamo aiutare il lavoro della vita, perché la morte non appartiene solo a chi muore ma a chiunque stia vicino a quell’individuo. Anche questa è una frontiera etica della contemporaneità: la cura della vita intesa non come un universale astratto ma come una stretta intelaiatura di relazioni tra esseri umani».