Synod18 – 11ª Congregazione generale: Relazioni dei Circoli minori sulla seconda parte dell’“Instrumentum laboris”

Relatio – Circulus Italicus A

Moderator: Em.mo Card. DE DONATIS Angelo
Relator: S.E. Mons. PAGLIA Vincenzo

Nello scambio di riflessioni del Circolo italiano A abbiamo ripercorso i quattro capitoli che scandiscono la Parte II dell’Instrumentum laboris. Come già fatto per l’esame della prima parte, il circolo ha preferito delineare alcuni punti focali del testo perché sia più lineare e organico, rispetto all’attuale stesura. Abbiamo pensato opportuno che anche questa volta venga premessa un’icona biblica che ispiri il binomio vocazione e discernimento. Il brano che ci è sembrato più adatto ad aprire questa seconda parte è la chiamata del giovane Samuele e l’accompagnamento dell’anziano sacerdote Eli, peraltro già presente nel testo (n. 81).

1. La vocazione di Samuele
Vivendo nel Tempio fin dall’infanzia (1,28), il giovane Samuele era stato introdotto alle tradizioni religiose del suo popolo: pur vivendo nel contesto religioso del tempio, non aveva ancora fatto esperienza personale del Signore. Questo accadrà quando il Signore stesso prenderà l’iniziativa, chiamandolo per nome, nel cuore della notte. Samuele non comprende immediatamente la Parola del Signore che prima di allora non gli era ancora stata svelata (v. 8). Nemmeno Eli, il sacerdote del Tempio e suo tutore, comprende quanto accade. Egli lo accompagna, ma è chiamato lui stesso a lasciarsi accompagnare nella comprensione di quell’avvenimento. Entrambi hanno bisogno di discernere. Eli, pur non essendo un sacerdote esemplare (2,29), ha un ruolo importante nella comprensione della vocazione di Samuele: la potenza della Parola di Dio non dipende dalla perfezione degli uomini. Eli si lascia importunare più volte, usa pazienza con Samuele e, quando comprende che il Signore chiama il ragazzo (v. 8), non si appropria dell’accaduto, non gli spiega cosa sta avvenendo, non gli scioglie il mistero: lo rimanda al suo giaciglio, al suo contesto di vita, perché lì possa ascoltare direttamente il Signore. La scelta di Dio, inoltre, non ha nulla di predeterminato e non toglie nulla alla libertà di Samuele. Questi, dopo essersi fidato di Eli, si affida a Dio. “Il Signore venne, si stabilì e lo chiamò come le altre volte” (v. 10). Solo ora Samuele è pronto ad accogliere la Parola del Signore.

2. La vocazione universale alla vita con Dio
La scelta che il testo fa di partire dalla vocazione comune a tutti gli uomini e le donne alla comunione con Dio e fra di loro, è particolarmente opportuna e andrebbe più chiaramente descritta. Permette infatti di delineare l’orizzonte fondamentale nel quale si inscrive e si comprende ogni altra vocazione. Essere creati è già essere chiamati. La chiamata alla vita è un dono che ci precede e che chiede di essere vissuto con altrettanta generosità. L’uomo e la donna non vivono per loro stessi. Sono stati creati perché, in comunione con il Creatore, si prendano cura del mondo e della famiglia umana perché l’intera creazione si realizzi fino alla sua pienezza nell’amore nella giustizia e nella pace (cfr Nostra Aetate, n. 1). La consapevolezza di questa vocazione universale ci fa sentire solidali con tutti coloro che nella diversità delle fedi e delle visioni del mondo partecipano della comune umanità. Ci ha commosso e fatto riflettere la testimonianza di un confratello della Cina continentale sulla missione della Chiesa nel vasto mondo. Il dono ricevuto diventa un compito. È questo il senso di una chiamata che libera l’uomo e la donna dalla solitudine e dalla concentrazione su di sé, per aprirli alla fraternità universale dei figli di Dio. La generazione postmoderna, sollecitata da innumerevoli possibilità e da infiniti esperimenti, può essere così aiutata a riscoprire la bellezza di una vocazione che dona alla vita una prospettiva universale. I giovani credenti hanno la responsabilità di farsi testimoni credibili di questa prospettiva di vita presso i loro coetanei.

3. La vocazione della Chiesa in Gesù
Nella cornice di questa chiamata universale, che indica al tempo stesso l’origine e la destinazione del genere umano, si apre la strada della vocazione dei discepoli di Gesù. Con la venuta di Gesù il Regno di Dio inizia a compiersi nella storia. La Chiesa – assieme al popolo dell’antica alleanza – è scelta e chiamata ad essere lievito di fraternità per tutti i popoli. Gesù chiama i suoi discepoli perché con Lui continuino la sua stessa missione. Per questo la scelta per il Regno è chiaramente la vocazione fondamentale per tutti i discepoli del Signore. Con le parabole del Regno e tutti i suoi miracoli, Gesù segna per i discepoli la strada da percorrere. L’ingresso nella comunità cristiana è segnato dal battesimo, sacramento della chiamata universale alla santità, che si realizza nella totale dedizione a questa missione (cfr Mc 10, 17-30). Nel quadro di questa unica chiamata, lo Spirito suscita molti carismi e la Chiesa istituisce diversi ministeri. Ogni discepolo è invitato a riconoscere il dono ricevuto e a dare la sua vita per il bene di tutti.

4. Discernimento e accompagnamento della vocazione
Apprezzando quanto l’Instrumentum laboris afferma su questi temi, si è sottolineato l’aspetto dell’esperienza della propria fragilità. Essa è luogo di incontro con la grazia e la misericordia del Signore che chiama. L’esempio di Pietro ci illumina: è in quanto pecora smarrita e ritrovata che può diventare pastore del gregge, confermandolo nella fede. L’incontro con lo sguardo accogliente e perdonante di Gesù è la svolta nel cammino di maturazione interiore, ineludibile nell’assumere la chiamata. La responsabilità dell’ascolto e del discernimento dell’appello di Dio è comunque di coloro ai quali Dio si rivolge. I giovani debbono ascoltare anzitutto Dio. Certo la responsabilità degli accompagnatori è importante. I giovani hanno bisogno – è giusto così – di essere sostenuti, incoraggiati, indirizzati in questo ascolto e interpretazione: e nella decisione corrispondente. La risposta alla vocazione è, inseparabilmente, felicità e rischio. Vanno spiegate bene entrambe le cose. E quindi accompagnare è anche chiarire e incoraggiare, nella fiducia all’azione dello Spirito e della libertà di coloro che sono accompagnati. Gli accompagnatori devono testimoniare e far capire ai giovani che sono certi della benedizione di Dio che li riguarda, che non ne sono gelosi, anzi che ne saranno i custodi commossi e grati. Con questo spirito, l’autorevolezza con la quale gli accompagnatori confermano i giovani nella strada che Dio indica loro sarà gradita, apprezzata, degna di riconoscenza. Nell’accompagnare questo discernimento il gruppo ha evidenziato l’importanza del rispetto della libertà, che nelle nostre pratiche vocazionali non viene sufficientemente considerato con il rischio di colludere con le fragilità dei candidati a scapito dell’autenticità delle scelte. Il contesto comunitario si rivela indispensabile nella maturazione del cammino e come sua istanza di concretezza.