San Valentino – il pontificale

San Valentino - il pontificale

 

Il Vangelo che abbiamo ascoltato illumina la testimonianza di San Valentino, vescovo di questa nostra Chiesa e patrono della città di Terni. I credenti sanno bene che il vero pastore è Gesù. E’ lui, infatti, che ha dato la sua vita perché non restassimo schiavi del peccato e di quell’istinto egoistico che ci spinge a pensare solo a noi stessi, quel mercenario che fa ripiegare il cuore su se stesso. La salvezza inizia con la lotta per cacciare dal cuore quel mercenario che è in noi e modellare i nostri sentimenti su Gesù buon pastore che si preoccupa degli altri. Valentino ascoltò questa stessa pagina evangelica e cercò di conformarsi ad essa. Lottò contro l’istinto a ripiegarsi su di sé, contro l’attitudine a guardare solo ai propri affari, contro la tendenza a mettere al centro sempre il proprio io. La parola evangelica scese nel suo cuore e lui lasciò che germogliasse. E Valentino fece sua la passione di Gesù di spendere la sua vita per il Vangelo e perché il popolo di Terni apprendesse l’amore. Come il profeta Geremia anche Valentino ascoltò le parole del Signore: “Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. Non aver paura…perché io sono con te per proteggerti”. E Valentino andò anche verso quelle pecore “che non provengono da questo ovile”, come nota l’evangelista, fino a Roma. E proprio a Roma, dove stava comunicando il Vangelo, Valentino trovò la morte. Le ultime ricerche storiche – che collocano il nostro patrono nel IV secolo – fanno pensare alla sua morte per bloccare la sua azione di evangelizzazione perché stava minando il potere dei senatori pagani che guidavano la città. Non pochi intellettuali, infatti, accogliendo la sua predicazione, si convertivano mettendo così a rischio la politica della capitale dell’impero. Queste ricerche portano a sostenere che Valentino fu ucciso perché non si affermasse l’umanesimo cristiano che avrebbe scardinato il potere della classe politica del tempo.

Questa nuova lettura storica del martirio di San Valentino fa comprendere quanto la sua memoria vada oltre quella di protettore degli innamorati, che peraltro è una gran cosa. E dobbiamo ribadirlo con forza. E’ stata molto bella la celebrazione della Festa della Promessa che ha visto ieri centinaia di coppie di fidanzati pregare il nostro Patrono perché renda saldo il loro amore. E significativo è stato “Il concerto di san Valentino” che abbiamo offerto loro e che mi augurerei possa realizzarsi ogni anno. Oltre a questa prospettiva, come ho accennato, la testimonianza di San Valentino è ispiratrice di un nuovo umanesimo che nasce dal Vangelo. E’ quel che la Chiesa deve continuare a fare nel corso dei secoli, anche oggi. Se la Chiesa si preoccupasse solo di se stessa e della sua vita interna, sarebbe inficiata anch’essa da quella mentalità mercenaria che porta a curare solo i propri interessi. Al contrario, la responsabilità verso la Città è parte integrante della vita della Chiesa.

Ed è per questo che anch’io, nella festa del Patrono, desidero parlare avendo nel cuore il bene di questa nostra Città. E debbo confessarvi che negli ultimi mesi è ulteriormente cresciuta in me la preoccupazione. In altri momenti abbiamo parlato di declino, riferendoci ad un orizzonte di lunga durata che partiva dalla modernità industriale che la città ha vissuto. Oggi – e lo dico pensoso – stiamo rischiando una condizione di ripiegamento. E’ come se la città rinunciasse ai propositi di cambiamento e di trasformazione, rassegnandosi alle politiche e ai comportamenti di sempre. La città sembra non voler crescere più. E’ come se stesse perdendo l’anima. E’ indispensabile invece ritrovarla per poter tornare a crescere. Se non cresciamo cancelliamo già oggi il futuro nostro e dei nostri figli. Sì, stiamo rischiando di perdere il futuro. Sono consapevole che il contesto generale di crisi condiziona fortemente anche la ripresa della nostra città. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli che non mancano le energie locali che consentono alla città di ripensarsi, di reinventarsi e di giungere all’appuntamento con la ripresa non nelle stesse condizioni in cui si trovava al momento dell’ingresso nella crisi o, peggio, in condizioni di maggiore debolezza.

Ecco perché è necessario scegliere le priorità, fare uno sforzo comune oltre i confini dei propri interessi di gruppo, valorizzare tutte le risorse della città, a partire dalle persone e dalle loro capacità. Occorre un impegno straordinario di tutte le realtà sociali: dell’impresa e dell’economia, della scuola e dell’università, delle famiglie e delle fondazioni bancarie, della politica e della Chiesa, e così via. C’è bisogno che quella città poliarchica della quale spesso parliamo prenda vita. Non è una preoccupazione nuova. Le questioni sul tappeto infatti le conosciamo assai bene, anche nei particolari. Ne abbiamo parlato al convegno del 14 giugno del 2008 delineando anche un’agenda. Elencammo le “questioni più urgenti” che avremmo dovuto prendere in considerazione. Di fatto, stanno emergendo una dopo l’altra in tutta la loro problematicità. La questione universitaria, a proposito della quale non sono più sufficienti atteggiamenti di sola rivendicazione e che richiede una svolta profonda; la questione industriale, che mostra al tempo stesso segnali incoraggianti e forti ritardi nei comportamenti dei soggetti locali; la questione dei servizi, da quelli pubblici locali all’azienda ospedaliera della città che richiede ora un attento approfondimento e che ripropone una delle facce della “questione Terni” dentro il contesto regionale. C’è bisogno di risposte convincenti. Penso infine alle potenzialità dei rapporti tra l’area ternana – non della sola città di Terni – e i territori dell’Italia centrale. Potenzialità viste ancora solo in un’ottica umbra, troppo ristretta e che invece andrebbero sfruttate, ben oltre l’idea di Terni come città cerniera, riflettendo sui suoi possibili nuovi ruoli territoriali. Questo significa porsi – con serenità, ma senza reticenze – un interrogativo serio: c’è ancora spazio per Terni, in Umbria?

Care sorelle e cari fratelli, come Diocesi abbiamo cercato di fare la nostra parte, anche con impegni specifici come ad esempio la ricerca sulle cellule staminali. Abbiamo avviato una riflessione pubblica sul ruolo della scuola; abbiamo proposto occasioni di discernimento agli esponenti della politica; abbiamo spinto i giovani imprenditori a giocare un ruolo collettivo di leadership, mantenuto un dialogo con le realtà economiche cittadine, poste domande sulla questione universitaria. E prima ancora abbiamo proseguito nel nostro impegno ordinario di rigenerazione. Il punto è che tutti questi stimoli e tutte queste domande non hanno incontrato purtroppo quella discontinuità di cui Terni ha bisogno. Abbiamo spesso assistito, al contrario, al riemergere di una mentalità chiusa, alla proposta di vecchie ricette, alla ricerca di improbabili alibi, al fallimento di progetti fragili e gestiti in una logica di compromesso.

Nell’orizzonte di un processo di ripresa, vorrei accennare a due questioni. La prima è quella del lavoro o “dei lavori” come molti dicono. I dati circa la perdita del lavoro e la sua sicurezza, circa la cassa integrazione, la disoccupazione giovanile, il lavoro nero, le difficoltà per la nuova occupazione non possono non preoccuparci. Tanto più che il lavoro – prima di essere un fattore della dimensione economica – è ben di più l’espressione più genuina della dignità della persona umana. C’è bisogno di rinnovare il nostro modo di pensare e analizzare il mondo del lavoro nelle nostre realtà economiche e produttive, come recenti ricerche condotte proprio alla Thyssen-Krupp hanno tentato di fare con successo. Oggi la “ferita” aperta più evidente riguarda il “polo chimico” la cui salvezza è vitale non solo per frenare la disoccupazione ma anche per avviare un nuovo e promettente sviluppo sia per Terni che per l’intera Regione. E oggi, festa del nostro Patrono, vogliamo dire ai lavoratori della Basell la nostra vicinanza con la fondata speranza di vincere la battaglia.

Tanto più che quest’anno ricordiamo i trenta anni dalla visita di Giovanni Paolo II a Terni e alle Acciaierie. In quella occasione il Papa parlò da Terni all’Europa intera. E parlò della sua esperienza di lavoratore: “Per me è stata una grazia speciale del Signore – disse ai lavoratori ternani – quello di lavoratore manuale durante alcuni anni della mia vita. Ho appreso la vita, ho conosciuto l’uomo.” E aggiungeva: “Il lavoro non è un’occupazione servile… è proprio degli uomini liberi, anzi espressione di libertà creativa. Ci parla della dignità del lavoro umano. Questa verità è al centro del Vangelo del lavoro”. E a quella folla di lavoratori che lo ascoltava disse: “Vi auguro di cuore che gli sforzi che fate per rendere il vostro lavoro più sicuro, la vostra condizione più equa, più rispettabile, più fruttuosa abbiano buon fine, anche per il bene comune della società”. Sono parole attualissime. E vogliamo farle rivivere attraverso la voce di Benedetto XVI. Ho la gioia di comunicarvi che il Papa ci ha concesso una udienza speciale solo per noi di Terni per ricordare appunto questa visita. E ancora una volta il Papa – parlando a noi di Terni – potrà offrire una riflessione sul lavoro perché sia “sicuro, degno e stabile”.

La seconda questione riguarda il settore della cultura che è forse l’esempio più emblematico del ripiegamento a cui ho prima accennato. Purtroppo, la città non vede i segnali di un investimento convinto e coerente in questo settore. Al contrario, molto spesso quello che viene presentato come investimento in cultura altro non è che la riproposizione di schemi e di modelli che, come città, ci fanno guardare al passato. E chi tenta la via dell’apertura, del respiro internazionale, dell’innovazione, della sperimentazione, del mettersi in rete e del cambiamento, incontra resistenze e ostacoli ingiustificati. Abbiamo bisogno invece di aprirci, di sperimentare, di respirare, e di invertire la logica del ripiegamento, riprendendo a crescere. Per questo c’è bisogno di investire massicciamente nella cultura facendone una forza propulsiva. Non si tratta semplicemente di organizzare “eventi culturali”. La questione della cultura si gioca nel campo della creazione, dell’arte, dell’architettura, dello spettacolo, delle nuove tecnologie, della ricerca. E la cultura ha bisogno di libertà, di più risorse provenienti da più fonti indipendenti. La libertà di cui parlo non è l’assenza di limiti, è piuttosto presenza di istituzioni, quindi di regole e di comportamenti, aperti alla creatività e all’imprenditorialità. Non si tratta di una visione economicistica, ma profondamente umanistica. Ho la sensazione che Terni troppo spesso finisca per trascurare questa libertà e cadere in una sorta di inerzia istituzionale che impedisce ogni cambiamento.

In questo scenario si ripropone anche la questione universitaria. Di nuovo c’è che essa non è più un enigma. Molti sono stati gli errori del passato, e oggi siamo vicini al non avere più altre possibilità. Anche in questo caso, come in quello della situazione economica, assistiamo a processi di cambiamento di cui Terni subisce, per così dire, gli effetti. Non possiamo più costruirci alibi o muoverci in logica di ripiegamento. La crisi dell’esperienza universitaria a Terni non dipende dalla riforma nazionale dell’università. Dobbiamo piuttosto verificare la ragionevolezza del percorso intrapreso ormai da oltre 30 anni, giudicarne schiettamente gli esiti e aprire strade nuove. Come Diocesi desideriamo offrire ancora il nostro contributo, e intendiamo sviluppare nei prossimi mesi ulteriori elementi di proposta. La risposta che va emergendo da questo cammino costituisce però, per tutti noi, una grande sfida. Siamo chiamati ad abbandonare atteggiamenti consolatori e chiederci se ci sono delle opportunità diverse da cogliere, dei modelli alternativi su cui puntare. Anche l’Università ha il dovere di ripensare le proprie responsabilità chiedendosi anche se le proprie istituzioni presenti a Terni siano le uniche possibili. E in ogni caso è opportuno chiedersi se non si debbano sondare anche altre soluzioni per lo sviluppo di istituzioni di ricerca e di alta formazione. Non dovremmo chiederci, ad esempio, in maniera più radicale e al tempo stesso più ambiziosa, se non sia giunto il momento di fare di Terni un centro dell’economia della conoscenza? di perseguire cioè quel modello economico nel quale la conoscenza e la cultura sono i fattori fondamentali? E’ un sentiero audace, ma possibile, ovviamente solo se decidiamo di percorrerlo assieme.

Care sorelle e cari fratelli, avete compreso la pensosità che traversa queste mie parole. Non potevo tacere, anche perché sono convinto che la nostra città ha tutte le potenzialità per tornare a crescere. Dobbiamo essere consapevoli che non abbiamo molto tempo. E comunque c’è una decisione previa da prendere: abbandonare ogni ripiegamento e accogliere gli stimoli che fanno guardare al futuro, e fare in modo che le giovani generazioni vedano Terni come la città del loro futuro. Le parole che chiudono la pagina evangelica illuminano anche quest’orizzonte. Gesù allarga lo sguardo verso tutto il gregge e dice: “Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore”. E’ l’invito a tutti noi ad accogliere la sua passione di pastore perché ci impegniamo ad edificare una città che sia davvero la città dell’amore, della fraternità, della speranza per noi e per le generazioni che seguiranno. E San Valentino continui ad ispirarci e a proteggerci. Amen.