Saluto alla giornata conclusiva del convegno di teologia morale

Sono lieto di rivolgervi il mio saluto all’inizio di questa ultima mattinata del Convegno. Due altre grandi questioni sono state aperte dall’esortazione apostolica Amoris laetitia: il nesso tra epistemologia e metodo, e quello tra natura e cultura. Ieri Papa Francesco ci ha offerto un orizzonte che richiede da parte di tutti noi una nuova generosità nel nostro fare teologia morale. Per fare anche solo un cenno al tema della «natura» – che rinvia all’idea, collegata, della «legge (morale) naturale» – siamo spinti a interrogarci su ciò che possiamo chiamare «l’umano comune», lasciandoci «inquietare» anche dalla pluralità delle culture nelle quali siamo immersi. Pur tenendo conto della diversità di elaborazione teorica e di sensibilità culturale, mi pare assodata la convinzione della necessità di riprendere l’ermeneutica di questa tradizione attraverso l’approfondimento e la rielaborazione dello statuto conoscitivo della teologia morale. Il disinnesco della deriva “naturalistica” e rispettivamente “soggettivistica” della coscienza morale, emerge senza dubbio come l’obiettivo più urgente – e insieme appassionante – che chiama la teologia morale all’articolazione coerente del suo servizio alla testimonianza dell’ispirazione evangelica e della novità cristiana riferite alla ricerca della giustizia e all’amore del bene.

Da parte mia, avendo vissuto in prima persona l’esperienza del Sinodo sulla famiglia da cui è maturata AL, vorrei anche solo ribadire la sua importanza per la vita delle famiglie. L’Esortazione è stato il frutto di un intenso cammino sinodale, contrassegnato da diverse novità. Per la prima volta i lavori sono stati accompagnati da un ampio esercizio di ascolto e di consultazione. La complessità del tema e del modo con cui lo si è voluto trattare, ha richiesto di protrarre i lavori per un periodo più lungo del solito: come ben sapete, si sono tenute due Assemblee, una straordinaria nel 2014 e una ordinaria nel 2015, ciascuna conclusa con una propria distinta votazione. È stato significativo inoltre il ciclo di catechesi sul matrimonio e la famiglia tenuto dallo stesso Papa Francesco nel tempo tra le due assemblee. Infine, nel testo sono confluite aggiunte proprie di papa Francesco il cui esempio più evidente è il cap. IV che sviluppa una bellissima meditazione – troppo spesso trascurata – sul significato dell’amore, a partire dall’inno alla carità di 1Cor 13 e non – come ci si sarebbe potuto più comunemente aspettare – del Cantico dei Cantici. Ma su questo non vado oltre, sebbene non poche riflessioni sarebbero utili per la comprensione anche del testo di Amoris Laetitiae.

Questo convegno – e ringrazio gli organizzatori delle due istituzioni accademiche che l’hanno voluto, in coerenza con l’imprescindibile ruolo della ricerca teologica professionale nell’ambito dell’intelligenza della fede – si iscrive nel cammino di rinnovamento della teologia della famiglia, che AL ha avviato. La portata per così dire “sistematica” di questa integrazione manca ancora di adeguata promozione e sviluppo, nell’ambito stesso della teologia accademica (un limite, per altro, che interessa attualmente anche l’antropologia sociale e la filosofia politica). L’esigenza è quella di una teologia della famiglia all’altezza della teologia del matrimonio: già in molti modi frequentata con indubbia qualità di risultati. È una missione che il Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia intende assumere come un vero e proprio obiettivo del suo progetto di adeguamento e di sviluppo. Il papa stesso, del resto, ha voluto investire l’Istituto di questo specifico mandato: esso viene esplicitamente menzionato nel Motu proprio Summae familiae cura (8 settembre 2017) di cui in questo anno corre il quinto anniversario. In questi ultimi cinque anni l’Istituto ha sviluppato questa indicazione papale con l’opportuno rimodellamento dei suoi piani di studio, dei suoi progetti di ricerca, della sua offerta didattica e formativa.

Mi permetto una sola citazione del documento, in un passo che riguarda da vicino il lavoro di voi teologi: «Il cambiamento antropologico-culturale, che influenza oggi tutti gli aspetti della vita e richiede un approccio analitico e diversificato, non ci consente di limitarci a pratiche della pastorale e della missione che riflettono forme e modelli del passato. Dobbiamo essere interpreti consapevoli e appassionati della sapienza della fede in un contesto nel quale gli individui sono meno sostenuti che in passato dalle strutture sociali, nella loro vita affettiva e familiare. Nel limpido proposito di rimanere fedeli all’insegnamento di Cristo, dobbiamo dunque guardare, con intelletto d’amore e con saggio realismo, alla realtà della famiglia, oggi, in tutta la sua complessità, nelle sue luci e nelle sue ombre» (SFC, Introduzione). Il Papa ha pertanto chiesto esplicitamente, in coerenza con il profilo di questo mandato, di “ampliare il campo di interesse, sia in ordine alle nuove dimensioni del compito pastorale e della missione ecclesiale, sia in riferimento agli sviluppi delle scienze umane e della cultura antropologica in un campo così fondamentale per la cultura della vita” (Ivi).

Per muoversi in questa direzione è di fondamentale importanza il contatto con l’esperienza in cui i fedeli sono immersi nella loro quotidiana esistenza. Ce lo ricordava ieri il Papa nel suo discorso. Di qui derivano due esigenze: da una parte, conoscere le situazioni concrete in cui le persone trascorrono la loro vita, soprattutto coloro che si trovano in varie forme di periferia, e pertanto in situazione di maggiore vulnerabilità; dall’altra, acquisire la capacità di comunicare in modo comprensibile con interlocutori di diverse culture, nella varietà dei luoghi e dei tempi. Si profila così il ritratto di un teologo che sa andare oltre il perimetro del «tavolino» per muoversi verso le frontiere; che sa avvalersi non soltanto della pur indispensabile esperienza personale, ma anche dei risultati delle scienze che esplorano in modo sistematico le dinamiche vissute, sociali ed economiche, in cui sono coinvolti i nostri contemporanei. È quell’esigenza di trans-disciplinarietà che viene affermata con forza in Veritatis gaudium. Ebbene, è l’insieme di questo processo che consente di forgiare nuovi linguaggi capaci di interagire con le diverse culture. In tale prospettiva è particolarmente fruttuosa la collaborazione dell’Istituto con la Pontificia Accademia per la Vita per una rinnovata riflessione sull’intero orizzonte della morale. In questi anni stiamo sperimentando la fecondità dell’incontro tra teologi e teologhe di diversa impostazione in vista di un approfondimento dei temi che potremmo iscrivere in quelle che un tempo si chiamavano “questiones disputatae”. Mi auguro che presto possiamo coglierne i frutti. In ogni caso, carissimi teologhe e teologi – soprattutto sul versante della morale – il vostro compito è particolarmente arduo ed anche indispensabile per la vita della Chiesa e, in essa, per tutte le famiglie cristiane.