Romero è riconosciuto da tutti come una figura dal valore universale

Intervista di MARIE CZERNIN – versione italiana

Mons. Paglia, Postulatore della causa di Beatificazione di Oscar Romero, dal 1996

Lei ha conosciuto Oscar Romero personalmente?

Purtroppo no. Ma Papa Giovanni Paolo II aveva incontrato Oscar Romero due volte prima della morte. Romero diventa Archivescovo nel 1977 e il Papa viene eletto nel 1978. Lo riceve una volta e poi una seconda volta in febraio 1980, quindi due mesi prima della morte. Alla notizia della morte di Oscar Romero  il Papa aveva compreso con maggiore evidenza chi era stato Oscar Romero. Papa Giovanni Paolo II aveva ricevuto notizie sempre molto allarmanti di Mons. Romero. Il giudizio che giungeva a Roma su Romero non era favorevole. C’era stato un conflitto intorno alla figura di Romero, sopratutto di coloro che potevano raggiungere Roma o inviare notizie a Roma, cioè il Nunzio, che non era a favore di Romero. Romero era stato accusato a volte di marxismo, e di essere poco equilibrato. L’episcopato era molto diviso, in El Salvador i vescovi erano contro di lui per motivi politici– ed era vero. Lui vedeva uccidere preti, uccidere catechisti, opprimere il popolo, schiavizzare gli operai e contadini e Romero reagì.

Certamente il 24 marzo 1980, quando il Papa Giovanni Paolo II aveva appreso dell’assassinio di Romero, certamente era rimasto colpito. Anche perché il primo vescovo ucciso sull’altare è stato San Stanislao, Arcivescovo di Cracovia.

Io ho poi parlato con Giovanni Paolo II di Romero. Il 24 marzo del 1982 dopo la messa durante la prima colazione, insieme al segretario di Romero Jesus Delgado  parlammo a lungo di Romero e il Papa  già in quell’occasione capì e me lo disse: „Romero è nostro, è della Chiesa.“ Quindi, non puoteva essere lasciato alla sinistra. Aveva già capito tutto. L’anno successivo, nel 1983 decise il viaggio in El Salvador. Voleva andare alla tomba di Romero, ma il governo non era d’accordo. Tutti hanno timore, durante quel viaggio. Ma lui, la prima cosa che fa, quando arriva in El Salvador, è la visita alla tomba cambiando tutto il programma. Non era prevvisto. Aspetta un’quarto d’ora davanti alla basilica (era chiusa e tutti stavano da un’altra parte). Questo è il segno come se il Papa volesse dare il suo segno su Romero. Durante gli anni successivi io ho parlato molte volte con il Papa di Romero e lui  ha sempre ripetuto che Romero è della Chiesa.

Nel 1996 l’Arcivescovo di El Salvador mi affidava la causa di beatificazione. In realtà era tutto accaduto per caso, perché il postulatore doveva essere  Delgado. Quando abbiamo portato tutte le carte della causa alla Congregazione dei Santi ci avevano chiesto il nome del postulatore e noi avevamo detto “padre Delgado” che era venuto con me. Quando gli chiesero dove abitava, lui rispose El Salvador. Ma il postulatore doveva abitare a Roma. Allora abbiamo chiamato Mons. Lacalle e gli abbiamo detto che bisognava scegliere come postulatore uno che stava a Roma. Allora l’Arcivescovo mi disse: „Mons., perché non lo fa Lei?“ Quindi è stato per caso.

Dopo che la Congregazione dei Santi aveva approvato il processo diocesano, alcuni Cardinali dal Vaticano e dell’America Latina lo bloccarono e chiesero che il caso venisse portato al Sant’Uffizio.

E qui comincia l’iter difficile. Comunque Papa Giovanni Paolo II è sempre stato  convinto della bontà di Romero. Infatti nell’2000, quando decise di fare la celebrazione per i nuovi martiri  al Colosseo, lui chiese di vedere le bozze del libretto liturgico per i martiri dall’ufficio delle cerimonie. E glielo portò il Cardinale Cassidy, allora era coinvolto nel Consiglio Ecumenico. Il Papa apre e sfoglia il libretto e chiede a Cassidy: „Perché non c’è scritto Romero, qui?“ Cassidy aveva conosciuto Romero subito dopo il Concilio, a quell’epoca era Segretario di Nunziatura in El Salvador. Erano grandi amici, tanto che IL Papa mi disse una volta: „Chiedi informazioni anche a Cassidy su Romero“. Cassidy era un difensore di Romero. Il Papa vedendo che non era scritto il nome di Romero sul libretto die nuovi martiri, prese la penna e aggiunse all’oremus conclusivo la frase: „Riccordiamo oggi tutti i nuovi martiri come l’Arcivescovo Oscar Romero che è stato ucciso sull’altare.“ Quindi questa frase è stata aggiunta alla fine nel libretto. Giovanni Paolo II voleva che la causa di Romero andasse a conclusione.

E che ne pensava Papa Benedetto XVI?

Devo dire che anche Papa Benedetto XVI era d’accordo, ma poi è stato frenato da alcuni. Il 20 dicembre 2012 nella mia prima udienza mi disse: „È giunto il momento che la causa vada avanti.“ Poi un mese e 20 giorni dopo lui si è dimesso. Papa Benedetto non conosceva Romero personalmente, ma mi esortava, da Cardinale, a far studiare la figura di Romero. Lui era fondalmentalmente favorevole. Credo che il blocco della causa era sulla opportunità o meno, non sul contenuto. Ratzinger era convinto che Romero non fosse un teologo della liberazione nel senso marxista. Ho parlato molte volte col Cardinale Ratzinger. Lui ha letto ed ha detto che non era vero, conosceva benissimo i suoi scritti.

Come reagì la Chiesa del Salvador?

Alcuni gli misero timore dicendo che era meglio aspettare per motivi politici, perché ancora ci sono forti divisioni nella Chiesa locale del Salvador, ma credo che oggi questa beatificazione abbia fatto ricredere molti. Romero è diventato una figura universale che unisce il popolo salvadoriano.

Cosa intende quando dice che Romero è stato „il primo Martire del Concilio Vaticano II“?

Perché lui era stato ucciso non in „odium fidelium“, ma in odio contro una Chiesa del Vaticano II, perché era per una Chiesa che doveva essere vicina ai poveri. Questo concetto di Chiesa era già presente nella Gaudium et Spes, poi negli scritti di Medellin, Puebla. Questa imagine di „Chiesa in cammino tra la gente“ era odiata dalla estrema destra del El Salvador. Quindi uccidevano tutti quelli che vivevano in questo modo. Era  una lotta contro la Chiesa vicino alla gente. Questo è il senso di Romero martire.

Quindi Romero era fortemente ispirato dalla spiritualità del Concilio?

Assolutamente! Cassidy mi racconta che lui stesso chiedeva a Romero di spiegare il Concilio ai vescovi e agli altri preti in Salvador negli anni 70 e lo fece.

Quindi già in quel momento arrivavano reazioni negative contro Romero?

No. Il problema comincia quando lui prende la guida dell’Arcidiocesi e comincia anche a denunciare l’ingiustizia. Prima parlava della giustizia ma dopo ne parlava e denunciava le ingiustizie. Questo era troppo. Doveva tacere.

Si può dire che Papa Francesco non è soltanto un forte sostenitore di Romero  è anche ispirato da lui?

Credo che Romero sia uno dei punti più alti della pastorale del CELAM (Conferenza Episcopale del Latino America), una delle figure che ha meglio interpretato la scelta prioritaria per i poveri. Romero, che adesso è in paradiso, sta convincendo tutti gli oppositori, perché devono appoggiare Papa Francesco. Per questo nulla è per caso!

Abbiamo parlato di Romero proprio il giorno dell’inizio del pontificato di Papa Francesco: Il 19 marzo 2013, ore 13.30, finisce la messa dell’apertura, il Papa sta rientrando in Vaticano con la macchina  e mi vede che sto davanti alla porta del Collegio Teutonico, vede e gira la macchina e si ferma. Mi saluta e dice: „Andiamo a vedere che cosa c’è qua dentro“ e quindi abbiamo fatto il giro del cimitero tedesco, siamo entrati dentro la chiesa e poi durante il tragitto abbiamo parlato di Romero. E lui ha detto: „Bisogna andare avanti.“ Quindi nel giro di due mesi, la causa è passata dalla mano di Papa Benedetto nella mano di Francesco. Certamente questo è stato provvidenziale. Non solo la causa poi è andata veloce, ma la cosa sorprendente, secondo me miracolosa, è questa: Credo che la stragrande maggioranza fosse contro Romero. Nel 2015, l’8 gennaio c’è stata la riunione dei teologi che hanno esaminato la positio, l’atto finale. Abbiamo dovuto lavorare velocemente per produrre la positio per la Congregazione dei Santi. Questo testo viene esaminato prima da un gruppo di teologi, poi da un gruppo di Cardinali. Bene, i giudizi adesso sono stati di un’unanimità. È cambiato tutto, e quindi per questo è stato possibile in poco tempo superare ostacoli che prima sembravano impossibili. E lo erano. Io sono convinto che ci voleva un’intervento divino. Quando sono andato il 18 marzo ad annunciare la data della beatificazione ho notato quel entusiasmo della gente nel Salvador. Il 19 marzo 2015 per la prima volta abbiamo celebrato la messa con i vescovi del Salvador. Ormai è diventato una figura della Chiesa universale e non soltanto del loro paese.

Quale importanza ha avuto padre Rutilio Grande nella vita di Romero?

L’altra notizia importante è che è iniziata anche la causa di beatificazione di P. Rutilio Grande, di questo Gesuita che è stato ucciso avendo scelto di stare in mezzo al popolo  in un piccolo villaggio del El Salvador. È stato ucciso il 12 marzo del 1978, quindi pochi mesi dopo che Romero era diventato Arcivescovo. Rutilio era il suo amico, perché P. Rutilio aveva organizzato la celebrazione per l’ordinazione di Romero. Romero aveva una grande stima per P. Rutilio. E quella notte vegliando il corpo di questo suo prete ucciso, decise che doveva prendere il suo posto, anche a costo della morte. Non doveva abbandonare le sue pecore.

Il giorno della sua morte, il 24 marzo è stato proclamato già alcuni anni fa „Giornata dei nuovi martiri“ della Conferenza Episcopale Italiana. Nella sensibilità del popolo Romero era già una figura che rappresentava una nuova figura della Chiesa. Non è mai mancato questo „sensum fidelium“. Come anche gli Anglicani hanno messo la sua statua davanti alla Cattedrale di Canterbury. E anche le Nazioni Unite hanno scelto il 24 marzo come International Day for the Right to the Truth Concerning Gross Human Rights Violations and for the Dignity of Victims” pensando proprio a Romero.

Quindi ormai Romero è accettato come figura universale da tutti?

Assolutamente! In questo senso c’è una providenzialità nell’unione tra il primo Papa latino americana e il primo martire della Chiesa del Vaticano II che è Romero. Romero oggi conferma il pontificato di Papa Francesco. Le critiche che oggi si sente già rivolti contro Papa Francesco sono identiche! È la stessa identica accusa. Ma sono sufficentemente consapevole che vinceremo anche le sfide del Sinodo sulla Famiglia.

L’attegiamento è quello di una Chiesa che riesce a capire ad essere misericordioso. La verità è misericordia. Non c’è contradizione. (Anch’io ho ricevuto minacce!) Dividere la misericordia dalla verità vuol dire non capire ne l’una ne l’altra. Ed è frutto di una fede astratta. È possibile dividere in Gesu la misericordia? Faccio un esempio: La Samaritana. Gesu svela alla Samaritana il suo peccato. Lei viveva da adultera. Però non gli ha chiesto: „Risolvi prima la tua situazione e poi dammi da bere“. Verità e misericordia sono talmente unite da essere impossibile separarle. L’unica cosa che è inseparabile l’accompagnamento. Gesù dice alla Samaritana: „Io ti sto accanto e ti accompagno.“ Quello che è importante è non mentire sulla situazione e non disinteressarsi dell’accompagnamento. Verità e misericordia sono inscindibili. Un medico non è che nasconde la malattia, ma la cura e accompagna il malato. In questo senso, la visione della Chiesa di oggi è la visione di voler includere tutti. Nessuno è escluso, dicendo a tutti la diversa situazione in cui si trovano, ma dando a tutti l’amore indissolubile. Non è possibile sciogliere l’amore di Gesu con le sue pecore. Alla pecora che è uscita, Gesù non dice: „Meno male che sei andata via“. No, lui gli dice: Io ti voglio bene, ti prendo e ti accompagno, fino a riportarti dentro. L’imagine che riassume nel modo migliore tutto questo è quella del Buon Samaritano che non a caso Paolo VI usò alla chiusura del Concilio. Il Vaticano II è stato come il Buon Samaritano che si piega sulle ferite del uomo contemporaneo per aiutarlo a guarire ed accompagnarlo. Il Buon Samaritano non è che si ferma, resta li e loda, neppure condanna, neppure continua la sua strada, ma si ferma e lo cura con l’olio, forse si deve strappare le bende, lo prende e lo porta nella locanda. Questo è verità e misericordia. Quindi verità e misericordia sono concettualmente indivisibili. Se le dividiamo concettualmente, perché vogliamo salvare la verità, allora è platonica e non più evangelica e secondo me neppure storica. Il problema di oggi è l’assenza e di verità e di misericordia. Questo è il nodo pastorale di fondo.

La Chiesa ha quindi mancato in questo prima del Concilio?

Ma anche adesso! I Cristiani oggi spesso sono lontani. Non c’è dubbio. Di fronte agli Immigrati che muoiono nel Mediteraneo non siamo forse lontani? Va recuperata una prospettiva che è proprio quella che Papa Francesco ci sta dimostrando. La Chiesa deve dare questo esempio, se no, non è più Chiesa. Non esiste l’una senza l’altra.

Romero parlava di „due teologie di liberazione“. Che cosa intendeva?

Il Papa che più aveva colpito Romero era Paolo VI. Era il Papa di Romero. Il Papa del Concilio, il Papa di Medelin, il Papa della Popolorum Progressio, il Papa della Evangeli Nuntiandi. Quindi per lui la teologia della liberazione era quella integrale di cui parlava Paolo VI. Per questo disse che „per me la teologia di liberazione è quella di Paolo VI.“ Il Papa parlava di „liberazione integrale“. La „Popolorum progressio“ è una cosa straodrinaria. Alcuni teologi usavano le categorie marxiste per interpretare la teologia di liberazione, che era un discorso tecnico ed ideologico, mentre Paolo VI. intendeva la liberazione totale, che cominciava da se stesso.  Era una teologia ispirata dal vangelo, dalla salvezza dell’uomo totale, integrale, non solo politica, anche quella ma non solo.

Quindi anche politica?

Come Paolo VI chiedeva: Bisogna anche togliere le cause che provocano la poverta e la ingiustizia. Non c’è dubbio che lui intendeva anche di cambiare le strutture politiche. Parlava di „strutture di peccato“.

Quindi non basta fare soltanto elemosina?

È ovvio! Romero le diceva tante volte. Bisogna anche cambiare le strutture che provocano poverta e ingiustizia. Per questo chiedeva un cambiamento profondo. Ma questo cambiamento profondo –  lo diceva tante volte Romero ed anche Paolo VI. – non può avvenire con la violenza, perché la violenza genera sempre violenza.

La tentazione era di prendere il fucile in mano per lottare per la giustizia?

Esattamente. Come capitava persino a qualche prete. Romero e Paolo VI condannavano la violenza ma volevano il cambiamento delle strutture per una dimensione pacifica della vita. Questo cambio delle strutture inizia cambiando da se stessi, lo dicevano Romero e Paolo VI, e non pensando di essere fuori e che devono cambiare gli altri. Questo è anche la differenza di una politica politicante ed una politica profonda. La rivoluzione da sé implica che non posso ammazzare l’altro per provocare una giustizia perché il male porta sempre il male. Questa è la teologia di liberazione di Paolo VI e quindi anche di Romero e in molte omelie di Romero si ripete questo.

Qual’è stato allora l’errore di alcuni teologi di liberazione?

Che sono stati troppo strutturalisti, come se bastasse un’analisi scientifica con le categorie del materialismo storico dialettico per avere la giustizia e la pace. Di fatto, nei regimi marxisti abbiamo visto ciò che è accaduto. Anche teologia di liberazione intesa in questo modo diventa ideologica. Questo era il problema e lo è ancora. Ma anche nelle nostre discussioni del Sinodo: se si diventa ideologia, noi rischiamo di polarizzare e di distruggere e non costruire. L’ideologia è separare la verità dal suo abito, dalla storia, dalla vita concreta, quindi diventa parziale e violenta, sempre esclusiva.

L’ideologia può nascere sia nella sinistra sia nella destra?

Certamente. Può nascere sia nella teologia, che nella politica, sia nell’economia – una finanza che non si lega alla storia e alla vita diventa totalitaria, quindi disumana!

Per questo ripartire dai deboli e dagli esclusi è la prova che siamo in un cammino non ideologico. Perchè l’escusione viene bandita e diventi vicino a chi è stato escluso. Sono i poveri a darci la sicurezza a non essere ideologici. E non a caso alla fine della vita saremo giudicati proprio su quello. Questa è la grande profezia di oggi, cioè i veri profeti che ci fanno toccare con la mano Dio, sono quelli che abbiamo allontanato. Perché ci dicono la nostra verità. C’è una profezia nei poveri perché loro ci dicono che cosa siamo tutti noi, dei poveracci, bisognosi di Dio. Sono l’antidoto più forte ad ogni totalitarismo di destra, di sinistra, di centro, fondamentalismo religioso o finanziario o scientifico. Questo è il cuore dei problemi contemporanei. I poveri sono il limbo del mistero della vita. Chi li tocca, tocca il mistero. È la presenza di Dio sulla terra, perciò il limbo del mistero. Dio nessuno l’ha mai visto. Gesu c’è l’ha rivelato, questo può essere tradotto: Dio, nessuno l’ha mai visto, ma i poveri c’è lo rivelano.

Allora perché così tanta povertà nel mondo?

Perché siamo tutti figli di „buona donna“. Ognuno pensa agli affari suoi. In questo Papa Francesco ha toccato il cuore del problema di oggi, compreso con l’Expo sulla Fame di Milano.

Si può dire che Romero ha avuto una conversione?

Io parlerei piuttosto di „conversione pastorale“. Romero già credeva in Gesù e già amava i più poveri. In un diario suo del 1937 scrive: „Sono passato al Lungotevere. Ho visto un povero che mi chiedeva una cosa. Io glielo data. Sono andato più avanti e ho visto un’altro. Mi sono comosso perché i poveri puzzano e chiedono ma in loro c’è Gesu.“ Aveva 18 anni quando scriveva questo. 1977 muore Rutilio Grande e Romero chiede giustizia al governo ma non glielo danno. Romero vede il popolo assasinato. Romero quindi cambia attegiamento pastorale. È una conversione pastorale che Papa Francesco sta chiedendo oggi alla Chiesa. Questo Romero lo ha vissuto. Non ha più paura. Dice: „In quella notte Dio mi diede una grande fortaleza (forza!).“ Romero decise da quella notte di difendere i poveri in maniera più pubblica, denunciando quello che veniva fatto contro di loro. La nuova responsabilità di vescovo gli chiedeva un cambiamento pastorale. Lui disse al Presidente: „Finche non fate luce su questo assasinio (di P. Rutilio), io non verrò alle vostre cerimonie.“ Loro non facevano indagini contro gli assassini, allora lui non ci è mai più andato. Non faceva più compromessi con il governo.

Romero aveva capito il governo della Chiesa in senso dialogale e non tanto gerarchico?

Si, lui stava sempre in mezzo alla gente. Era il pastore che dava la vita, che conosceva le sue pecore. La gerarchia nella Chiesa ci vuole.  Questo ci vuole anche in una famiglia. Se il padre diventa solo fratello i figli cresceranno male, perché non c’è nessuno che con una autorevolezza (non autorità) gli aiuta a crescere. Quello che dobbiamo riscoprire è l’autorevolezza dell’amore. Una gerarchia senza l’amore è terribile. (L’autorità deve nascere dall’amore e non dal potere). Attenzione a dire che non ci vuole la gerarchia! Se  non c’è la gerarchia nella famiglia, o nella società e nella Chiesa, alla fine c’è il caos totale. Perche se questo accade, alla fine viene la gente richiede il fascismo, democraticamente! Hitler, Stalin o Mussolini non sono nati per caso. Sono stati un frutto del chaos. Per questo l’amore come servizio è il motore vero della storia.

Che cosa si intende per ‘martirio della giustizia’?

Proprio a motivo di questi nuovi martiri, Romero compreso, il concetto di martirio ha acquisito una dimensione più larga, più profonda rispetto alle precedenti concezioni. In passato il martirio era inteso come uccisione di qualcuno che non rinnegava la fede. Era il concetto antico della Chiesa, ma oggi fa parte della verità della fede della Chiesa anche la dimensione della pace, della giustizia, della vita solidale e fraterna, proprio perché la fede non sono formule ma la fede è un servizio di amore per cambiare il mondo. Questo è il Vaticano II. Pero quando Romero disse: „Io sono qui come il Buon Pastore che da la vita per le sue pecore“, allora questo è perfetto. Agli uccisori andava pure bene che Romero predicava che Gesù era Figlio di Dio purché questo non significasse di dover cambiare vita! Quando hanno ammazzato Massimiliano Kolbe, è stato ucciso per un gesto di amore (che aveva fatto per una famiglia), non perché non aveva rinnegato Gesù. Quindi il martirio acquisisce un senso in rapporto ad una fede che si mescola con la vita della gente, che difende  i poveri, che difende la pace, che difende la giustizia, perché questo fa proprio parte della fede. Questo è la fede incarnata. Giovanni Paolo II lo disse: „Nell’amore siamo già tutti uniti. Non importa se ebrei, protestanti, ortodossi o cattolici o gli uomini di buona volontà”.

Versione integrale della rivista realizzata per la rivista “Alle welt” delle Pontificie Opere Missionarie in Austria – www.missio.at

LEGGI L’INTERVISTA IN TEDESCO