Le radici ebraico-cristiane dell’Europa

Radici culturali non etniche

Parlare di radici ebraico-cristiane dell’Europa significa, anzitutto, allontanare decisamente ogni prospettiva dal sapore etnico. Le radici più lontane – ma non le meno importanti – dell’Europa, infatti, non sono europee, ma asiatiche. Gli studiosi ci dicono che gli europei discendono da popolazioni provenienti dall’Asia centrale emigrate verso Ovest, passando poi attraverso il Mediterraneo e le pianure centro-europee. Proprio di qui partì il paradosso che spinse il nazismo ad affermare la superiorità della “razza” ariana sulle altre “razze” con il simbolo – la croce uncinata – creato in India settentrionale. Ed è opportuno ricordare che le popolazioni europee discendono da immigrati provenienti da un altro continente. Insomma il fenomeno migratorio è parte della vicenda umana e chiede più che diffidenza capacità di governo. Gli europei dunque non si distinguono dagli altri popoli della terra per motivi di “sangue”: del resto, come è ormai acclarato sul piano scientifico, tutti gli abitanti della terra sono molto “mischiati” tra loro e non riconducibili a ceppi genetici nettamente distinti tra loro. Questo ci dice la storia.

Ma anche la geografia ci dice che le migrazioni dall’Asia centrale costituiscono una delle conseguenze del legame che unisce l’Europa al grande blocco continentale euro-afro-asiatico, di cui l’Europa costituisce in sostanza un’appendice, peraltro relativamente piccola. La sua storia più antica, non a caso, rientra in quella della più ampia ecumene euro-afro-asiatica di cui la Via della Seta – tornata oggi di moda con l’iniziativa cinese OneBeltOne Road – ha costituito una delle testimonianze più significative. In altre parole la separazione dell’Europa dall’Asia – su cui si è tanto insistito anche in termini di contrapposizioni tra valori civili e modelli sociali, come la libertà occidentale e il dispotismo asiatico – non ha origini “naturali”. L’Europa ha iniziato ad esistere quando qualcuno ha cominciato a vedere un confine dove prima nessuno lo aveva visto: quello che separa oggi la Grecia e la Turchia o, più precisamente, la Turchia europea da quella asiatica attraversando la grande città di Istanbul. E’ un confine tutt’altro che evidente sotto il profilo geografico, nato per ragioni storiche: quelle cui fa riferimento la grande epopea della guerra di Troia raccontata da Omero.

Non a caso, l’incertezza del confine orientale ha segnato tutta la vicenda europea. In molte rappresentazioni successive, la stessa Grecia – che pure ha costituito il primo nucleo dell’Europa–è stata posta ai margini o addirittura fuori dalle rappresentazioni dell’Europa (ad esempio durante la lunga stagione dell’offensiva ottomana che ha fatto guardare a Vienna come estremo avamposto europeo). Una sorte analoga è toccata – in modo ancora più evidente – anche alla Russia, alternativamente inclusa o esclusa in tali rappresentazioni. L’Europa, insomma, ha un problema di confini orientali mai nettamente definiti, con i suoi abitanti occidentali che tendono ad escludere i territori più ad Oriente e quelli orientali che tendono ad includerli, come ha fatto Giovanni Paolo II che ha sempre parlato di un’unica Europa dall’Atlantico agi Urali molto prima che si verificasse il collasso sovietico. E’ forse questo il segno più evidente di un’identità che non è mai stata tanto definita dalla geografia quanto dalla storia.

Tre città simbolo: Atene, Roma e Gerusalemme

L’identità europea possiamo delinearla – in grande sintesi – attorno a tre città-simbolo: Atene, Roma e Gerusalemme (quest’ultima peraltro non collocata sul suolo europeo). Com’ è noto, Atene incarna la tradizione della polis e della stessa razionalità europea che nel Settecento sarà chiamato IIluminismo. Roma invece è la città simbolo della legge e del diritto: a Roma è stato coniato il motto ubi societas, ibi ius. Ricordo qui solo la vicenda di San Paolo che alla condanna inflittagli dalla legge locale ribatte orgogliosamente: civis romanus sum. Cittadini di Roma si diventa perché le istituzioni pubbliche riconoscono i diritti delle persone. E, infine, Gerusalemme. Quest’ultima, anche se non collocata sul suolo europeo, è sempre stata rivendicata come parte dello spazio europeo: le crociate prima che proporsi l’obiettivo della conquista intendevano affermare la sua appartenenza a questo spazio. Gerusalemme vuol dire fede cristiana, peraltro in stretto collegamento con quella ebraica e la cultura semitica. L’europeo insomma è colui che edifica la convivenza civile sulla base del diritto e sulla legge ma anche colui che crede nella tradizione evangelica. Menzionare queste tre città, e ciò che rappresentano, non significa tuttavia ignorare né tantomeno escludere altre importanti influenze, come quella esercitata a più riprese dalla stessa cultura araba.

Queste tre tradizioni rappresentate da Atene, Roma e Gerusalemme hanno traversato momenti difficili come quelli costituti da nuovi movimenti migratori che chiamiamo abitualmente invasioni barbariche. Benché si sia trattato di uno sconvolgimento profondo, proprio le eredità rappresentate da queste tre città hanno permesso di saldare vecchio e nuovo. E’ noto il ruolo avuto in questo senso dalla Chiesa e in particolare dal Monachesimo benedettino che ha fatto incontrare l’eredità classica con le nuove popolazioni immigrate, plasmando in una luce cristiana le fondamenta valoriali e culturali dell’Europa moderna. Il panorama architettonico e urbanistico che caratterizza ancora oggi l’Europa si è formato attraverso questa saldatura tra rapporti diversi fusi però da una sintesi.

Oggi le diverse tradizioni ideali, morali e culturali rappresentate da queste tre città vengono talvolta viste in contrapposizione tra loro. Negli ultimi anni, in particolare, proprio il dibattito sulle radici cristiane dell’Europa è stato animato da discussioni che hanno contrapposto cultura laica e cultura cristiana. Ma si tratta di una contrapposizione nuova, che dimentica come le diverse tradizioni europee si siano sviluppate a partire da radici comuni e in modi strettamente intrecciati. Anche se laici e cattolici nel contesto ottocentesco si sono scontrati duramente sul ruolo pubblico della Chiesa, i loro valori profondi erano per molti aspetti simili. Se oggi sembrano emergere divaricazioni a volte radicali – per esempio su grandi questioni come la famiglia e la vita – non è perché tali tradizioni siano diventate improvvisamente incompatibili ma al contrario perché se ne sta perdendo la comprensione storica profonda. Il contrasto infatti nasce spesso da radicalismi ideologici dell’una o dell’altra parte che stravolgono il senso profondo di tradizioni diverse ma unite da comuni riferimenti etici e antropologici.

“Potere mite” e universalismo europeo

Tra i prodotti più significativi dello sviluppo storico-culturale europeo vorrei sottolineare due prospettive, due ideali, particolarmente importanti. Il primo è l’ideale di un “potere mite”. In Europa, infatti, sono maturati, lentamente e faticosamente ma in modo profondo, il rispetto della dignità umana e il superamento dell’antica legge del capro espiatorio. Le radici ebraico-cristiane e quelle illuministe hanno contribuito a desacralizzare, dominare e raffinare il potere dell’uomo sull’uomo, un potere ineliminabile della convivenza umana e capace di produrre effetti terribili. Non è un caso se proprio in Europa la politica è stata separata dalla religione (l’opposizione non è tra Cesare e Dio, ma tra Dio e Mammona): la sovranità è andata incontro a molteplici limitazioni, la separazione dei poteri si è progressivamente imposta, i principi liberali si sono diffusi, la democrazia è stata pensata e praticata ecc. E così l’Europa è stata autorevole per l’intero pianeta. Il riconoscimento dei diritti umani ha radici europee. Ed appartiene alla tradizione europea il legame tra l’esercizio del potere e la protezione dei cittadini: dai re taumaturghi medievali al moderno welfare state, in Europa il potere è chiamato a prendersi cura della vita degli uomini e delle donne che la popolano.

La seconda prospettiva ideale dell’Europa è la sua innata “universalità”. Direi che il genio europeo è identificabile con una capacità di rapportarsi ad altre aree del pianeta terra e di “pensare” il mondo intero in una visione universale che è propria della tradizione ebraico-cristiana. Il cristianesimo è per sua natura universale. Ecco perché l’Europa si è concepita anche come un soggetto storico che si costruisce e si organizza intorno a principi, obiettivi e iniziative in grado di coinvolgere il mondo intero. Questa spinta ha prodotto un progetto particolarmente rilevante nella storia degli ultimi cinque secoli: il progetto Occidente. Naturalmente, il modo in cui gli europei hanno praticato l’universalità è stato spesso censurabile, specie quando si è preteso di imporre con la forza l’egemonia europea. Eppure, l’apertura di orizzonti che investe l’umanità intera resta fondamentalmente valida e, anzi, preoccupano alcune tendenze attuali al ripiegamento degli europei su loro stessi.

Le ragioni dell’Europa unita

Queste radici fondano anche le ragioni attuali dell’Europa unita come appare nel corso del Novecento. Durante il XX secolo, l’Occidente – per così dire – è uscito dall’ Europa: la fiaccola di questo ideale di universalità è passata prima in mani americane e poi ha cominciato a subire la concorrenza di altri progetti, maturati in aree del mondo precedentemente marginali sulla scena mondiale. L’idea di un’Europa unita si è sviluppata a partire da un contesto di processi di globalizzazione non più riconducibili all’egemonia degli Stati nazionali europei, con l’obiettivo non solo di assecondarne gli sviluppi positivi ma anche di contrastarne conseguenze e implicazioni negative. Oggi i movimenti euroscettici accusano le istituzioni europee di “rubare” sovranità agli Stati nazionali. Non è così: sono piuttosto alcuni processi di globalizzazione ad erodere le sovranità nazionali, mentre l’unità europea cerca di difenderle attraverso una più stretta collaborazione. L’unità europea si basa su uno scambio tra indipendenza e sovranità: gli Stati europei cedono quote di indipendenza alle istituzioni comunitarie per difendere collettivamente le loro sovranità.

Il Vecchio continente si è messo su questa strada già a partire dal primo dopoguerra, iniziando a sognare un’Europa senza guerra e finalmente unita, e dopo la Seconda guerra mondiale ha cominciato a realizzare questo sogno. L’assenza di guerre nell’Europa unita dal 1945 ad oggi è una novità eloquente che non ha bisogno di commenti. Vorrei anche ricordare un altro ruolo esercitato dalle istituzioni europee, che già Alcide De Gasperi segnalava in una famosa conferenza tenuta nel 1948 a Bruxelles: l’Europa unita aiuta i singoli Stati europei a difendere e a sviluppare la democrazia. De Gasperi pensava all’Italia, ma vale anche per altri paesi europei.

Naturalmente, tutto ciò non significa che l’Unione europea sia perfetta. Tutt’altro. Ma c’è bisogno non di meno Europa bensì di più Europa: solo un’Europa più unita e solidale può affrontare le sfide della globalizzazione. Un esempio evidente è quello dei migranti che cercano di raggiungere il nostro continente. Sarebbe disumano, ingiusto e pericoloso ignorare le loro richieste e, del resto, i migranti costituiscono risorse lavorative di cui l’Europa ha bisogno. Ma è chiaro che un fenomeno di dimensioni straordinarie ed epocali come questo può essere affrontato solo dagli europei tutti insieme, attingendo a risorse non solo economiche e politiche ma anche ideali e morali. Si tratta di un’iniziativa importante anche per rendere più umana la globalizzazione. Fermarla, chiudendo tutte le porte come vorrebbero i nuovi nazionalismi, oltre che impossibile sarebbe sbagliato, come mostrano gli effetti negativi per tutti della guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina. Un’Europa più forte, invece, non aiuta solo gli europei: è una grande spinta anche per sviluppare la globalizzazione della solidarietà di cui parla papa Francesco. Un altro grande terreno su cui l’Europa può e deve svolgere un ruolo fondamentale nella realizzazione della globalizzazione della solidarietà è certamente quello della crisi climatica e dello sviluppo sostenibile. Solo grandi gruppi di Stati che condividono con forza valori comuni – come l’Europa, appunto – ppossono agire efficacemente per realizzare l’enorme cambiamento a livello planetario, che sta diventando sempre più urgente. Si tratta di una grande impresa in cui il ruolo delle religioni e delle Chiese è fondamentale, per il bene dei popoli europei e del mondo intero, per contrastare i nazionalismi e per costruire la pace.

Convegno a Napoli sul tema «Europa. Radici. Ragioni. Futuro» organizzato dalla Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro.
28 settembre 2019