Prima meditazione per la Quaresima a Santa Maria Maggiore

Prima meditazione per la Quaresima a Santa Maria Maggiore


Eros e agape

 


La Chiesa, madre premurosa e maestra sapiente, fin  dalle prime generazioni cristiane ha chiamato i suoi figli a prepararsi con cura alla celebrazione del mistero della Pasqua. In effetti, siamo così presi da noi stessi e dai nostri problemi, piccoli o grandi non importa, ma sempre nostri , da dimenticarci del Signore da non comprendere il senso della sua passione, morte e resurrezione.


Sì, può venire la pasqua e noi rischiamo di non vivere questo mistero di amore che sta al centro della nostra salvezza. Abbiamo bisogno di fermarci, di un tempo per riflettere, per rientrare in noi stessi, non per fermarci ancora una volta su di noi, ma per ascoltare il Signore per lasciarci cambiare il cuore. La liturgia della chiesa prevede questo periodo di quaranta giorni perché con la preghiera, il digiuno e  l’elemosina, potessimo avvicinarci a Gesù nel deserto per avere anche noi i suoi stessi sentimenti. La quaresima né perciò un tempo di Grazia, un tempo opportuno per avvicinarci al Signore, per stargli accanto e soprattutto per permettergli di parlare al nostro cuore. Sia vera anche per noi l’affermazione del profeta Osea:” Ecco , l’attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2, 16).


Cari amici, lasciamo che il Signore parli al nostro cuore  : vuole dirci tutto il suo amore. I quattro incontri che avremo in questa quaresima vogliono essere un aiuto perchè ciascuno di noi ritrovi il cuore , e lo ritroverà se comprende ancora una volta quanto è grande L’amore del Signore per lui. Nelle quattro riflessioni , ci interrogheremo sull’amore. E lo faremo lasciandoci aiutare dall’enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est.  Con essa il Papa, all’inizio del suo pontificato, ha voluto riproporre la centralità dell’amore ai cristiani e la priorità che nella comunicazione del vangelo al mondo. Il Papa sente che vi è un’urgenza particolare nel proporre questo messaggio. In effetti, in un mondo segnato così fortemente dalla paura e dalla solitudine, in una società stravolta dalla tragedia delle guerre e del terrorismo e così duramente ferita dalla fame e dalle ingiustizie, in un mondo come questo Benedetto XVI ha scelto di parlare di amore. L’amore, infatti, resta la via più salda ed efficace per costruire un futuro di pace e di giustizia per tutti, per costruire un mondo meno crudele. Non è il conflitto tra i popoli o tra le culture o tra le civiltà o peggio ancora tra le religioni che ci salva. Solo l’amore salverà noi e il mondo dalla distruzione. Ho constato con piacere il favore con cui è stata accolta l’enciclica anche dai cristiani delle altre chiese e confessioni, anche loro concordano nella centralità del tema. Ma deve interessare anche gli altri credenti. Scrive Benedetto XVI :” in u n mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta e perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto”.  Questa enciclica è davvero un dono prezioso per questo nostro tempo . Noi cattolici abbiamo un compito straordinario in questo orizzonte: il Vangelo ci impegna a vivere e predicare l’amore. Siamo perciò esortati a leggerla, a meditarla e soprattutto a viverne il messaggio.


 


Come sapete, l’enciclica si divide in due parti. Nella prima , più speculativa , il Papa presenta i tratti essenziali dell’amore di Dio e i legami che tale amore intreccia la realtà dell’amore umano. Nella seconda parte invece viene esaminato l’esercizio ecclesiale del comandamento dell’amore per il prossimo. Ovviamente, Benedetto XVI non intende esaurire in questa enciclica la ricchezza della dottrina cristiana sull’amore.  Vuole aiutare i cristiani a immergervisi sempre più per poter fermentare con maggior efficacia la pasta spesso arida


di questo nostro mondo. Scrive il Papa: “È mio desiderio insistere su alcuni elementi fondamentali (dell’amore), così da suscitare nel mondo un rinnovato dinamismo di impegno nella risposta umana all’amore divino”(1). Due brani, tra i molti, vorrei che fossero come i binari che guideranno queste quattro riflessioni. Il primo: “Ad un mondo migliore si contribuisce soltanto facendo il bene adesso ed in prima persona, con passione e ovunque ce ne sia la possibilità, indipendentemente da strategie e programmi di partito. Il programma del cristiano – il programma del buon samaritano, il programma di Gesù – è un cuore che vede. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente”. È un invito chiaro rivolto ad ogni singolo credente, ad ognuno di noi, perché “facciamo il bene adesso e in prima persona”.  Il secondo brano ci dice: “L’amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio. Vivere l’amore, e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente enciclica”. Il Papa ci chiede di vivere davvero la radicalità dell’amore, per far brillare nel mondo la luce di Dio. Del resto Gesù aveva detto ai suoi: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”(Gv 13, 35).


 


Una società senza padre bisognosa d’amore


 


 Ma qual é il mondo nel quale viviamo? Com’è questa pasqua chwe abbiamo di fronte?


Se c’è una parola sintetica per descrivere il dramma di questo mondo , direi che è costituito dall’assenza dell’amore. . Ogni giorno assistiamo allo straripamento dell’egoismo nella vita delle nostre società. Il mondo viene come travolto da queste terribili onde provocate dall’egoismo di singoli e di gruppi, di nazioni e di popoli. La mancanza di amore rende incontenibile l’egocentrismo che a sua volta favorisce il dilagare della violenza, della cattiveria, della morte .  Sì, cari amici, per mancanza di amore si muore e si arriva anche a programmare la morte. Perché si parla sempre più di eutanasia? Perché è l’unico esito possibile di una vita senza amore? Perché stare al mondo se non si è amati e se non si ha nessuno da amare? Ricordo un’anziana donna, abbandonata e sola in un cronicario vicino Roma. Senza più scopo nella vita si lasciava andare, non si vestiva né si curava più. E quando le dissi che doveva invece essere più attenta, che doveva vestirsi bene, lei mi rispose: “E per chi mi vesto?”. La solitudine è insopportabile. È l’opposto della vocazione dell’uomo. “Non è bene che l’uomo sia solo”, disse il Signore dopo aver creato Adamo che pure costituiva il vertice della sua opera. Con questa affermazione divina si evidenzia uno dei nodi centrali dell’intera esistenza umana. Senza una persona da amare e senza essere amati, la vita diviene un inferno. E la solitudine è diventata una delle malattie più gravi  in particolare nell’Occidente.


Madre Teresa, che conosceva sia il grande mondo asiatico sia l’Occidente, notava: “La peggiore malattia dell’Occidente oggi non è la tubercolosi o la lebbra, ma il non sentirsi amati e desiderati, il sentirsi abbandonati. La medicina può guarire le malattie del corpo, ma l’unica cura per la solitudine, la disperazione e la mancanza di prospettive, è l’amore. Vi sono numerose persone  al mondo che muoiono perché non hanno neppure un pezzo di pane, ma un numero ancora maggiore muore per mancanza di amore”. Ed è la mancanza di amore che rende l’Occidente triste e ripiegato su se stesso, e  incapace di sognare un mondo nuovo rassegnato ad una vita solo individuale. Vediamo persone che vivono le une accanto alle altre senza comprendersi; persone che entrano in conflitto con incredibile facilità (basti vedere cosa accade nelle periferie di non poche città europee); e intanto sembra affermarsi uno scontro di religione o di civiltà. Cari amici, solo l’amore può aiutarci  a vivere insieme. Solo l’amore porta la pace nelle nostre case, nei quartieri di periferia delle nostre città, nei luoghi di dolore, nei luoghi di conflitto. Per costruire una civiltà del vivere insieme c’è bisogno di un amore diffuso, di un amore che divenga cultura, abitudine all’incontro e al rispetto. Paolo VI parlava di civiltà dell’amore, e aveva ragione, perché solo l’amore rende possibile una civiltà degna di questo nome. E intendeva un amore concreto, un amore fedele, che si fa servizio, che si fa storia quotidiana. È quel che Benedetto XVI chiede ai cristiani quando dice loro di “avere un cuore che vede”. Sì, un cuore che vede l’altro, che si accorge di chi è nel bisogno e si commuove per lui. L’amore non è ideologia; è amore concreto che vuol dire vicinanza, aiuto, sostegno, amicizia, soccorso.


 


Ripartire dall’amore


 


Ebbene è da questo amore che l’enciclica chiede di ripartire dall’amore cristiano. E’ bene sottolinearlo perché l’amore che sgorga dal vangelo  ha una sua originalità. Non è che si contrappone nettamente all’amore umano. Insomma non si oppone come qualcuno potrebbe credere all’eros. Ma l’amore di Cristo fu così straordinario che gli autori del Nuovo Testamento quando dovettero parlarne furono costretti a trovare un termine nuovo, agape, appunto, praticamente non usato dalla cultura greca, la quale preferiva eros e philia. Con il termine agape in effetti il N.T.  introduceva una nuova e impensata concezione dell’amore: un amore che non si nutre della mancanza dell’altro (eros) e che nemmeno semplicemente si rallegra della presenza dell’altro (philia), ma un amore, appena concepibile dagli uomini, che trova il suo modello culminante in Gesù: un amore disinteressato, gratuito, perfino ingiustificato, perché continua ad agire – ed è il meno che si possa dire – al di fuori di ogni reciprocità. Sì, Gesù non conosce il termine reciprocità. Non è sceso sulla terra dopo che noi gli abbiamo assicurato l’accoglienza, appunto la reciprocità. A dire il vero è accaduto esattamente il contrario. E l’apostolo Paolo ce lo ricorda nella Lettera ai Romani quando scrive: “A stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore per noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”(Rm 5, 7-8). Gesù, semmai, si lamenta della irriconoscenza come disse dopo che uno solo dei 10 lebbrosi guariti uno solo tornò a “rendere gloria a Dio”(Lc 17, 18). Mai però ha chiesto reciprocità. Dovremmo essere noi, ovviamente, a praticarla. Ma questo è un altro problema.


Con il termine agape si esprime la radicalità più assoluta dell’amore; ed è un amore impensato perché solo Dio poteva rivelarlo. In questo amore Dio incontra il suo stesso cuore. Benedetto XVI nel presentare l’enciclica, disse che voleva mostrare un Dio dal volto umano, un Dio che sa commuoversi, che sa appassionarsi, che si coinvolge in maniera del tutto inimmaginabile con la storia degli uomini. L’agape descrive un Dio che scende tra noi. Il cristianesimo – in questo si differenzia da altre fedi – più che religione che divinizza l’uomo, è la religione di un Dio che per amore si fa uomo, è la religione del Dio-uomo. E l’abbassamento di Dio giunge sino all’esito paradossale di Gesù che si lascia crocifiggere per amore.


Su quella croce è stato sconfitto per sempre l’amore per sé ed è stato innalzato l’agape, l’amore per gli altri senza porre alcun limite. Per questo Benedetto XVI invita i cristiani a fissare lo sguardo sul “Trafitto” per comprendere il vero senso e la vera forza dell’amore cristiano.


Qui vi è tutta l’originalità dell’amore cristiano, ma soprattutto la sua forza irresistibile. Sì, l’amore cristiano è più forte della morte. Ma poi spesso lo dimentichiamo, fino a considerare stoltezza “offrire l’altra guancia”. Ascoltiamo le parole di don Andrea Santoro ucciso a Trebisonda, in Turchia, un mese fa. Nella sua ultima lettera, scritta il 22 gennaio 2006, ragionando sulla fede islamica e i tratti di violenza che talora mostra, don Andrea non nasconde questa concezione, anzi invita a considerarla rivendicando però il vantaggio della fede cristiana. E spiega di che natura è il vantaggio del cristianesimo sull’islam: “Il vantaggio di noi cristiani nel credere in un Dio inerme, in un Cristo che invita ad amare i nemici, a servire per essere “signori” della casa, a farsi ultimo per risultare il primo, in un vangelo che proibisce l’odio, l’ira, il giudizio, il dominio, in un Dio che si fa agnello e si lascia colpire per uccidere in sé l’orgoglio e l’odio, in un Dio che attira con l’amore e non domina con il potere, è un vantaggio da non perdere. È un “vantaggio” che può sembrare “svantaggioso” e perdente e lo è, agli occhi del mondo, ma è vittorioso agli occhi di Dio e capace di conquistare il cuore del mondo. Diceva san Giovanni Crisostomo: Cristo pasce agnelli, non lupi. Se ci faremo agnelli vinceremo, se diventeremo lupi perderemo. Non è facile, come non è facile la croce di Cristo sempre tentata dal fascino della spada…Ci sarà chi voglia essere presente in questo mondo mediorientale semplicemente come “cristiano”, “sale” nella minestra, “lievito nella pasta, “luce” nella stanza, “finestra” tra muri innalzati, “ponte” tra rive opposte, “offerta” di riconciliazione?” Don Andrea ci richiama alla realtà dell’amore evangelico che è per sua natura eroico. L’eroicità è connaturale dall’amore evangelico. Purtroppo spesso noi lo epuriamo, lo attutiamo. Ma se il cristiano è talora inefficace o poco attrattivo è perché il nostro amore ha perso la sua eroicità, la sua forza, la sua dimensione evangelica.  Cari amici solo l’amore è credibile, il resto è ritualismo.


Ecco perché l’agape, cuore della vita del credente, è superiore a tutte le virtù. Sì, non c’è nulla al disopra dell’amore: né la profezia della tradizione ebraico-cristiana; né l’ineffabile lingua degli angeli; e nemmeno la speranza; e neppure la conoscenza, la quale in questo mondo è così misera sì che conosciamo Dio solo confusamente, come attraverso uno specchio, dentro “enigmi”, afferma san Paolo. Il canto alla carità della prima Lettera ai Corinzi è tra le pagine più alte che mostrano la forza dell’agape. E Paolo afferma che è superiore persino alla fede. Nel Vangelo di Matteo, Gesù dice: “Se avrete fede quanto un granellino di senape potrete dire a questo monte spostati da qui a lì, ed esso si sposterà. Niente vi sarà impossibile”. San Paolo con un incredibile capovolgimento afferma: “Se avessi tutta la fede tanto da poter trasportare i monti, ma non avessi l’amore, non sarei nulla”. Tutto passerà, anche la fede e la speranza. Al termine resterà solo l’amore che ci aprirà definitivamente gli occhi alla visione di Dio. In questa prospettiva, l’apostolo Giovanni può scrivere: “Chi non ama non ha conosciuto Dio” (1Gv 4,8).


L’amore evangelico, l’agape, con la sua forza, però salva anche l’amore umano.  Benedetto XVI, riprendendo un’antica tradizione patristica, esorta a legare l’agape all’eros. L’eros, nel senso dell’amore umano, sgorga anch’esso da Dio, sebbene sia stato ferito dal peccato. Ognuno di noi ha pulsioni d’amore, spinte ad amare, sentimenti d’amore, ma – nota ancora Benedetto XVI – “i sentimenti vanno e vengono. Il sentimento può essere una meravigliosa scintilla iniziale, ma non è la totalità dell’amore”. L’incontro con l’amore di Dio cambia il nostro modo di amare: “l’amore – continua il papa – non è mai concluso e completato; si trasforma nel corso della vita, matura e proprio per questo rimane fedele a se stesso”. La via dell’amore infatti è una via di crescita, è una via di ricerca di totalità e di perfezione. “Abbiamo bisogno dell’amore di Dio per amare” conclude Benedetto XVI. Questa affermazione è piena di sapienza spirituale. L’amore umano, o se volete l’eros, ferito dal peccato, se non è fecondato dall’amore di Dio, rischia di farci ripiegare su noi stessi. Porta insomma a quell’amore per se stessi che sta alla radice dei vizi. L’agape viene dall’alto, perchè è stesso Spirito Santo riversato nei nostri cuori, e salva l’intera gamma dell’amore umano: salva l’amore coniugale, l’amore ai genitori per i figli e quello dei figli per i genitori, salva l’amore per gli anziani e per i poveri, salva l’amore tra i fratelli della fede, salva l’amore tra i sacerdoti, salva l’amore tra chi non si conosce, e così oltre.  L’amore umano è ferito e ha bisogno di essere salvato perché sia pieno e forte. Non sappiamo amare se ci lasciamo guidare solo dal nostro cuore, solo dal nostro carattere, solo dai nostri gusti “Ho un buon carattere…ma sempre egoista sei.” Sarai un egoista con un buon carattere… Abbiamo bisogno che agape e eros s’incontrino. Se l’amore di Dio viene lasciato libero di operare in noi senza che sia coartato opera miracoli nel nostro cuore perché taglia in radice la filautia, l’amore per se stessi che sta alla base dei nostri vizi. Scrive Massimo il Confessore: “Facendo scomparire l’amore per sé mediante la carità, colui che si mostra degno di Dio fa sparire al tempo stesso l’intera moltitudine dei vizi, che in lui non hanno altro motivo d’esistere né altro fondamento. Un uomo simile non conosce più l’orgoglio, segno di arroganza nei confronti di Dio, male multiforme e innaturale; egli…facendosi amici gli altri essere umani con una volontaria benevolenza, consuma l’invidia, la quale per prima consuma quanti la possiedono; recide la collera, i desideri omicidi, l’ira, l’inganno, la menzogna, lo scherno, il rancore, l’avidità, e tutto ciò che divide l’uomo”.  L’agape rende capaci di amare , di amare con passione, direi con un gusto nuovo. L’agape cambia il gusto all’eros. Esempio San Francesco e il lebbroso… Quel giorno Francesco compose…“c’è più gioia nel dare che nel ricevere”, c’è più gioia nel baciare il lebbroso che in una vita senza senso.