Omelia dell’Epifania

Omelia dell'Epifania

“Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio”(Is 60,4). Queste parole del profeta aprono la festa dell’Epifania, la festa della manifestazione del Signore. Il 25 dicembre abbiamo celebrato la nascita di Gesù nella nostra carne: Dio ha squarciato i cieli ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Oggi, la Santa Liturgia mostra piuttosto il cammino degli uomini verso il Signore. E c’è come un’ansia di universalità e assieme di urgenza che percorre questo giorno: è il desiderio profondo che i popoli e le nazioni della terra non debbano aspettare ancora troppo tempo per incontrare Gesù. Egli è appena nato, non sa ancora parlare, ma tutti i popoli possono già incontrarlo, vederlo, accoglierlo e adorarlo. Tutti i popoli accorrono per vedere e per accogliere quel Bambino.


“Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”, dissero i magi ad Erode appena giusero a Gerusalemme. I magi erano uomini di regioni lontane, ricchi e intellettuali, incamminatisi dall’Oriente verso la terra d’Israele per adorare il “re” ch’era nato. Il Vangelo non indica né il numero, né la patria, né i nomi di questi singolari personaggi; ci fa capire però che non erano ebrei e che pertanto non conoscevano le Scritture. La Chiesa da sempre ha visto in essi l’intera umanità e, con la celebrazione dell’Epifania, vuole quasi guidare ogni uomo e ogni donna verso il Bambino ch’è nato. Nella notte di Natale Gesù si è manifestato ai pastori, uomini d’Israele, anche se tra i più disprezzati; furono loro i primi a portare un po’ di calore in quella fredda stalla di Betlemme. Ora giungono i magi dal lontano Oriente e anch’essi possono vedere quel Bambino. 


I pastori e i magi, molto diversi tra loro, hanno però una cosa in comune: il cielo. I pastori non si mossero perché erano buoni, ma perché alzando gli occhi al cielo videro gli angeli, ascoltarono la loro voce ed obbedirono. Così pure i magi. Non lasciarono la loro terra per una nuova avventura o per chissà quale strano desiderio; certo, speravano e attendevano un mondo diverso, più giusto, e per questo scrutavano il cielo: videro una “stella” e fedelmente la seguirono. Gli uni e gli altri suggeriscono che per incontrare Gesù è necessario alzare lo sguardo da se stessi, che non si deve restare incollati alle proprie sicurezze e alle proprie abitudini, bisogna invece scrutare le parole e i segni che il Signore ci pone lungo il nostro cammino.


Per i magi, come del resto per i pastori, non fu tutto chiaro fin dall’inizio. L’evangelista non a caso nota che la stella ad un certo punto scomparve. E tuttavia quei pellegrini non si persero d’animo; il loro desiderio di salvezza non era superficiale e neppure banale e la stella aveva davvero toccato in profondità il loro cuore. Giunti a Gerusalemme andarono da Erode a chiedere spiegazioni; le ascoltarono con attenzione e continuarono subito il loro cammino. Si potrebbe dire che la Scrittura aveva sostituito la stella. Ma il Signore non è avaro di segni: all’uscire da Gerusalemme la stella ricomparve, “ed essi provarono una grandissima gioia”, nota l’evangelista. A noi, che tanto spesso ci autocondanniamo ad essere guide di noi stessi, oppure a sentirci adulti e indipendenti ad ogni costo, viene rubata la gioia di avere la “stella”. Sì, c’è un sollievo nel vedere la stella, ossia nel sentirsi guidati e non abbandonati a se stessi e al proprio destino. La corsa sfrenata verso l’autosufficienza, la testarda convinzione di credere solo a se stessi, non portano consolazione ma solo timore e paura, durezza e tristezza.


I magi ci esortano a riscoprire la gioia di dipendere dalla stella. E la stella è anzitutto il Vangelo, la Parola del Signore, come dice il salmo: “La Tua parola è luce sul mio cammino”(119. La luce del Vangelo ci conduce verso quel Bambino; senza vedere, senza leggere, senza seguire la stella del Vangelo non è possibile incontrare Gesù. I magi terminarono il loro viaggio quando la stella si fermò e “videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono”. Giunti in quella povera casa, divenuta un singolare santuario essi, che pure erano re, si inginocchiarono. Probabilmente era la prima volta che si prostravano davanti ad un bambino, loro ch’erano abituati a ricevere onori ed ossequi. Resta senza dubbio un gesto strano; ma per loro che, sapendo guardare oltre se stessi, avevano riconosciuto in quel Bambino il Salvatore, quel gesto era la cosa più vera. Assieme a Maria, a Giuseppe e ai pastori, avevano compreso che la salvezza era accogliere nel proprio cuore quel Bambino, debole e indifeso.


Ben diversa fu la reazione di Erode e degli abitanti di Gerusalemme. Appena seppero del Bambino non sentirono gioia come i magi o i pastori; al contrario, tutti si turbarono ed Erode lo fu a tal punto da decidere addirittura di ucciderlo. Il re non voleva che qualcuno insidiasse il suo potere e il popolo non desiderava che le solite e comode abitudini subissero scosse o cambiamenti. L’intera città non volle alzare gli occhi da se stessa. E non poté vedere la stella. Non volle ascoltare le Scritture, che pure parlavano così chiaramente di quel Bambino e non poté gustare la gioia della salvezza. Gesù, non solo non aveva trovato posto a Betlemme, non trovava accoglienza neppure nella città santa. Come si può notare, fin dalla nascita è già presente in nuce l’intera vita di Gesù, compresa la sua morte. Sono i magi ora a salvare quel Bambino e a sottrarlo alla ferocia di Erode, il quale pur di conservare il suo potere non ebbe scrupolo di ordinare l’uccisione di bambini innocenti.

I magi, per un’altra strada, fecero ritorno al loro paese, nota l’evangelista. Del resto, quando si ha il Signore nel cuore non si può più percorrere la strada di sempre. I magi sono oggi accanto a noi, forse un poco più avanti di noi, per aiutarci ad alzare lo sguardo da noi stessi e a dirigerlo verso la stella. Sono accanto a noi per guidarci verso le tante mangiatoie di questo mondo ove giacciono i piccoli e i deboli per portare loro il dono dell’amore, della solidarietà, della giustizia. Essi sono accanto a noi per farci gustare la gioia di coloro che difendono e amano i poveri da coloro che vogliono continuare a sfruttarli e a soggiogarli. Beati noi, se con i pastori e con i magi, ci facciamo pellegrini verso quel Bambino e con affetto ci prendiamo cura di lui. In verità, sarà lui a prendersi cura di noi.