«Noi sull’orlo di un baratro ora temo scelte irrazionali»

di Donatella Trotta

«Per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale, siamo sull’orlo di un baratro». È preoccupato l’Arcivescovo monsignor Vincenzo Paglia, scrittore, presidente della Pontificia accademia per la vita, Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II e consigliere spirituale della Comunità di Sant’ Egidio: «Per me, che sono nato nel 1945 e mi gloriavo di essere figlio della pace, questa guerra è come rimbalzare di colpo 77 anni indietro», dice.

Monsignor Paglia, con lungimiranza profetica già nel 2014 papa Francesco disse che «stiamo vivendo la terza guerra mondiale, ma combattuta a pezzi»: come valuta questo conflitto fratricida in Ucraina, dopo la pandemia da Covid ancora una «inutile strage» della porta accanto?
«Con enorme preoccupazione, per il modo oserei dire spensierato, dunque gravissimo, con cui la guerra si riaffaccia ora in Europa. Anche Kissinger, nel 2014, sottolineò l’urgenza di risolvere il problema dell’Ucraina che non è un Paese qualsiasi con una soluzione politica. A suo avviso, pur senza entrare nella Nato, l’Ucraina doveva essere aiutata in tutti i modi, tranne che con le armi. Ma il messaggio è rimasto inascoltato come il grido del Papa. E in pochi giorni, la situazione che da anni era sotto gli occhi di tutti è esplosa. Il mio timore è che ora si reagisca solo per impulso emotivo, con scelte irrazionali».

Ad esempio?
«Se è ovvio che il primo obiettivo immediato deve essere fermare l’invasione, indispensabile è pure pensare, sin d’ora, al futuro: mi auguro che i colloqui iniziati per un negoziato verso una conclusione dialogata della guerra non siano soltanto sostenuti genericamente ma circondati di simpatia, calore, impegno dei governi per non lasciare la soluzione alle armi ma aiutare con decisione lo spiraglio di una soluzione politica urgente, frutto di un lungo e laborioso dialogo».

Ma nella complessità di uno scenario dalle molteplici dinamiche (e ricadute: energetiche, finanziarie, nucleari, informatiche) cosa vuole davvero, a suo avviso, Putin, ridefinito Putler per la violenza espansionistica con cui sta tentando di riscrivere la storia non soltanto dell’Ucraina, definita «debole pedina della doppiezza» di un Occidente da lui accusato di essere nientemeno che «l’impero della menzogna»?
«Mi viene di attingere alla mitologia greca: stiamo navigando tra Prometeo e Narciso, ovvero tra delirio di onnipotenza e chiusura solipsistica. Non sono un politologo, né so cosa passi per la testa di questo personaggio che alcuni vedono antropologicamente mutato, da prima a dopo il Covid: da freddo calcolatore a figura passionale. Di certo, è urgente da parte dell’Occidente un aiuto all’Ucraina che non sia solo una risposta armata ma una riflessione seria e compatta: ma vorrei uno scatto di creatività nel dibattito politico. Mi chiedo: l’interesse da difendere dei calcoli di convenienza tra le parti, ad esempio sul tema energetico, ha lo stesso peso delle vite umane perse in Ucraina?».

Intanto, mentre l’Ucraina chiede di entrare nell’Ue, e Josep Borrell annuncia 500 milioni di euro per l’acquisto di armi letali e materiale non letale destinati al Paese, Putin reagisce alzando il tiro con il deterrente nucleare: minaccia presa sul serio dagli Usa. Peggio della guerra fredda Che ruolo gioca la Ue?
«Molto debole e fiacco, finora. È la seconda volta, dagli anni ’90 con la guerra nei Balcani, che la divisione dell’Europa, la mancanza di compattezza in politica estera non riesce a impedire un conflitto. Altro che clima da guerra fredda, ora è rovente. E rischia di surriscaldarsi. Ed è la seconda volta che la preoccupante leggerezza e ritardo nel ricompattarsi in una unità d’intenti (come il muro d’acciaio delle sanzioni), o la disattenzione su realtà annidate nell’attuale conflitto come la guerra a bassa intensità nella regione contesa del Donbass, con 14mila vittime dal 2014 produce una catastrofe umanitaria. Il male avanza, la distrazione significa diventarne complici».

Quale ruolo strategico può avere la Chiesa (anche di rito orientale) per un processo di pace? E come utilizzare «La forza della fragilità» del suo ultimo libro sulla pandemia?
«In questo scenario paghiamo anche le divisioni interne alle confessioni cristiane. Serve uno scatto di consapevolezza nel capire la radicalità evangelica di una fraternità che è la grande lezione di interdipendenza del Covid: nessuno si salva da solo. Come il magistero della Chiesa, anche i Padri Costituenti sapevano che la guerra non può mai essere strumento di pace. Ma bisogna tener vivo lo sdegno: unico antidoto all’indifferenza, per ostacolare il cammino del male. La preghiera, per i credenti, può tenere acceso il lumicino della speranza. Sogno che papa Francesco, con tutti i patriarchi dei diversi riti orientali, scenda come il 27 marzo 2020 in piazza San Pietro, per propagare un’ondata di indignazione e amore che renda le coscienze di tutti più reattive».

(da Il Mattino del 28 febbraio 2022)