No Euthanasia, Yes Palliative Care: Position Paper of the Abrahamic Monotheistic Religions

Eminenze, Eccellenze, illustri rappresentanti delle confessioni cristiane, gentili Leaders delle religioni monoteiste, è una grande gioia essere qui insieme per la firma di questa dichiarazione congiunta su un tema cruciale in questo momento storico. Sono tre i principali motivi che mi inducono a ritenere questo momento così significativo.

1. Centralità del tema

Siamo tutti consapevoli della importanza del tema dell’eutanasia e del suicidio assistito nel contesto delle società contemporanee. Il dibattito non si volge solo all’interno della comunità scientifica e medica a motivo delle risorse terapeutiche rese disponibili dalla medicina nelle fasi conclusive della vita terrena, ma anche nel più ampio orizzonte della cultura generale relativamente alle questioni riguardanti il passaggio finale della morte. Si aprono in effetti nuovi spazi per le scelte da compiere ed è responsabilità di tutti contribuire ad assumerle in modo costruttivo e favorevole alla dignità di ogni persona. È perciò molto significativo riaffermare da parte dei rappresentanti delle tre religioni monoteistiche l’impegno a rispettare e a promuovere la vita umana nei momenti in cui, in prossimità della morte, mostra con particolare evidenza la sua fragilità e debolezza. Credo perciò importante la nostra presa di posizione chiara e decisa: noi non vogliamo né procurare la morte di un paziente né aiutarlo a darsi la morte.
La dichiarazione che stiamo per firmare costituisce peraltro a richiamare il significato più autentico della medicina e delle professioni sanitarie. La medicina non ha nel suo orizzonte il dare o il togliere la vita dei pazienti. Porre termine alla vita significa negarle il senso. Siamo consapevoli di muoverci in un’area in cui è difficile separare le cose in modo netto. Ma questa mai finita ricerca di senso, che proprio la malattia mette in questione, è un compito svolto dalla cultura nel suo complesso. Ogni società è chiamata a una elaborazione di questo tipo, mettendo in campo le proprie risorse relazionali, simboliche, narrative, artistiche oltre che religiose. La medicina si colloca all’interno di questo quadro, ma svolge un compito più limitato: quello di prendersi cura della persona malata e di valutare quali siano i trattamenti più adeguati e pertinenti per promuovere la salute della persona, assumendo con saggezza i limiti della condizione e dell’agire umani. Essa non è tenuta a ripristinare ad ogni costo la salute o a prolungare indefinitamente la vita, ma a prendersi sempre cura della persona, anche quando la malattia è inguaribile.
La pratica delle cure palliative sottolinea proprio tale aspetto. Per questo nella Dichiarazione si sottolinea la loro importanza e l’impegno sia a farne conoscere il ruolo sia a diffonderle ovunque compreso l’ambito universitario. L’obiettivo che si prefiggono è di prendersi cura della persona in senso integrale, a partire dalla terapia del dolore, considerando tutte le sue dimensioni e valorizzando anche l’orizzonte spirituale in cui l’esistenza umana si inscrive. E va allontanato ogni dubbio circa una loro collusione con logiche che non sostengono la vita. E’ vero esattamente il contrario, come ribadito nel 2002 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità quando afferma che le cure palliative non intendono né affrettare né rinviare indiscriminatamente il momento della morte. Il loro scopo è di accompagnare i pazienti in modo competente e complessivo, impiegando un approccio di équipe multidisciplinare, nel delicato passaggio del morire, prendendosi cura anche delle famiglie.

2. La dimensione interreligiosa ed ecumenica

Questo nostro evento ha certo una valenza particolare poiché manifesta il desiderio di lavorare cercando accordi e convergenze, laddove nel mondo di oggi sembra troppo spesso e tristemente prevalere la divisione, se non la contrapposizione. Certo occorre dialogo e disponibilità ad accogliersi reciprocamente, come l’itinerario che abbiamo compiuto nella redazione di questo testo dimostra. Ma è di importanza fondamentale sperimentare noi stessi – e testimoniare a tutti – che intraprendere con responsabilità e coraggio un cammino condiviso conduce a scoprire aree di convergenza e consente di portare frutti di comunione. Non è un dispositivo automatico: è un processo che richiede decisione della volontà e ricerca della ragione. Ma se siamo disposti a lavorare insieme con l’obiettivo di rendere un servizio a tutti gli uomini e le donne del nostro mondo, in cui noi tutti vediamo figli e figlie di Dio, possiamo riconoscerci a nostra volta sempre più fratelli e sorelle, chiamati a unire le forze per dare risposta alle domande da cui tutti siamo provocati. Oggi celebriamo quindi anche un passo verso la costruzione di quella cultura dell’incontro che papa Francesco ci ha insegnato ad apprezzare e a praticare, e che da parte nostra vogliamo coltivare. È su questa base che possiamo «adottare la cultura del dialogo come via; la collaborazione comune come condotta; la conoscenza reciproca come metodo e criterio», secondo quanto troviamo scritto nel documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi. Un lavoro che non si improvvisa, ma è frutto di un impegno che riguarda anzitutto la dinamica della coscienza personale e che potrà poi irradiarsi anche nelle forme istituzionali che sapremo individuare. In questo senso il dialogo è virtù: non si tratta di un singolo atto, ma di un orientamento intenzionalmente e stabilmente coltivato, di uno stile di vita che favorisce la ricerca e la scelta del bene nelle concrete situazioni e sui singoli temi che vengono affrontati.
E qui sta un secondo elemento: il fatto di conferire maggiore forza e intensità alla tutela e alla promozione della dignità umana in un momento così delicato e vulnerabile, come è il passaggio del morire. Riconoscere e disinnescare le scorciatoie che porterebbero a rinunciare a quella solidarietà in cui solo è possibile far fronte alla sofferenza e al limite che la morte rappresenta. Che le religioni abramitiche trovino un’intesa per esprimere in modo condiviso il loro impegno è un evento di grande rilievo. Una base così ampia, che nel complesso coinvolge una non piccola parte dell’intera umanità (alcuni miliardi di persone!), potrà fornire un contributo di peso non solo teorico per approfondire il significato della vita umana, ma anche pratico, attraverso le relazioni vissute nelle comunità credenti per testimoniare la reciproca responsabilità di cura che ci lega gli uni gli altri.

3. Il cammino prosegue

Certamente gli obiettivi che abbiamo fin qui raggiunto non sono una conclusione, ma una tappa e ci sollecitano a proseguire il cammino. Si aprono ora diversi possibili sviluppi futuri, che richiedono ancora il nostro impegno. Anzitutto a far conoscere e a diffondere non solo i contenuti della Dichiarazione, ma anche il processo che ne ha reso possibile la realizzazione. Si tratta di coinvolgere altri in questa dinamica, caratterizzata da uno stile di collaborazione e di dialogo, nelle comunità religiose a cui ciascuno di noi appartiene e raggiungendo altri responsabili e leader di comunità.
Inoltre vogliamo anche allargare il raggio della nostra comunicazione, coinvolgendo altri soggetti che possono essere sensibili al messaggio che intendiamo promuovere. Ciò significa farsi lievito nelle società in cui le nostre comunità vivono e rivolgersi a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, nei diversi ruoli e compiti che essi svolgono. Occorre non solo ricercare, ma anche produrre creativamente le occasioni in cui questo possa avvenire. E certamente questo richiede da parte nostra la capacità di essere presenti nella sfera pubblica elaborando discorsi che possano essere compresi anche da chi si avvale di diverse categorie di interpretazione del mondo e della vita umana, ma che ha ugualmente a cuore la dignità degli esseri umani e la ricerca di vie di giustizia che le onorino nella concretezza delle situazioni. Il linguaggio della Dichiarazione mostra chiaramente la consapevolezza di questo compito e offre diversi spunti per avviare questa mediazione comunicativa. È quindi con lo sguardo rivolto al futuro che vogliamo vivere la giornata odierna.

28 ottobre 2019