Monsignor Paglia, dalle siringhe sulla porta della chiesa ai clochard: una vita tra gli ultimi

Dal Corriere della Sera del 1 febbraio 2014

ROMA – Piazza Sant’Egidio 3, a Trastevere. Con la sua chiesetta che nel 1973 diventa sede della Comunità di Sant’Egidio. La basilica di Santa Maria, allora, era retta da Monsignor Bianchi. Nella chiesetta c’era invece don Vincenzo, oggi Monsignor Vincenzo Paglia vescovo e presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Allora era solo don Vincenzo, la mattina staccava le siringhe che i tossici di Trastevere infilzavano sulla porta della piccola chiesa così come facevano anche con la Basilica, quella con i pavimenti cosmateschi e i grandi mosaici col Cristo Pantokrator.

L’INIZIO IN PERIFERIA – E’ con Monsignor Vincenzo Paglia, oggi «ministro della famiglia» per la Chiesa cattolica come dice scherzosamente lui, che bisogna parlare innanzi tutto per mettere a fuoco la vocazione verso i più diseredati come Modesta Valenti che ha fatto muovere i primi passi alla Comunità. «La Comunità era nata nel ’68, con Andrea Riccardi e pochi altri, si riuniva nelle case, la sede ce l’ha avuta solo col la chiesetta di Sant’Egidio che amministravo allora io quarant’anni fa – ricorda il vescovo Paglia -. Non eravamo molti, due, trecento allora. Il lavoro sulle povertà era stato fatto fondamentalmente nelle periferie. Con quel piccolo luogo di culto in cui ci riunivamo dal ’73 cominciammo a mettere a fuoco quello che succedeva nel cuore di Roma.

Monsignor PagliaMonsignor PagliaNEL CUORE DI ROMA – «E così cominciammo a occuparci delle povertà meno note come quella degli anziani soli e dei senza fissa dimora. Ecco, scoprivamo allora il nuovo volto delle povertà…”. “Avvicinare gli anziani, curare i barboni – prosegue il racconto di Monsignor Vincenzo -, andare in giro dove vivevano i più diseredati. E’ allora che alla Stazione Termini abbiamo incontrato Modesta Valenti. Ci siamo occupati anche di immigrati, ma allora gli immigrati erano fondamentalmente connazionali venuti dal Sud ed erano persone che vivevano nelle periferie. L’ondata dei primi immigrati africani abbiamo cominciata ad avvertirla nei primi anni ’80. Ed è da allora che si è ulteriormente allargato il campo d’intervento, ad esempio con le scuole di italiano per favorire l’integrazione dei nuovi arrivati.

INSIEME AGLI IMMIGRATI – Da allora calcoliamo di aver insegnato la nostra lingua a 101 mila immigrati secondo quanto è stato calcolato”. “Eravamo nati nelle borgate, da Ponte Marconi a Primavalle, dal Trullo ad Ostia ed ecco spalancarsi un nuovo mondo di povertà, nascosta tra le pieghe del centro della città. I ragazzi di Sant’Egidio hanno cominciato a parlare con i senza fissa dimora. Ricordo un barbone che a piazza del Gesù un giorno sbottò: “Ma che è, una nuova moda, questi ragazzi che si fermano a parlare con gente come noi?”. Don Vincenzo Paglia poi nel 1981 diventò il parroco di Santa Maria in Trastevere, ufficio pastorale che ha retto fino al 2000 quando è stato nominato Vescovo di Terni e venne sostituito da don Matteo Zuppi, oggi anche lui Vescovo.

IL RITORNO A TRASTEVERE – Monsignor Paglia è tornato a Trastevere da un anno e mezzo, il suo ufficio è a piazza San Calisto nel palazzo cosiddetto della Caritas. Si occupa della famiglia, ma il suo sguardo resta legato alle infinite trasformazioni del presente in una città come Roma. Anche don Matteo lo imita, dopo una parentesi a Torre Angela, è tornato a vivere in un convento di suore tra il Gianicolo e Trastevere. I loro consigli sono molto ascoltati dai volontari di Sant’Egidio.