Mons. Paglia a Mosca parla di fine vita e Cure Palliative. E porta la traduzione in russo della Lettera del Papa Humana Communitas

Una globalizzazione senza l’ispirazione cristiana è povera di amore e in preda ai conflitti; e il compito del mondo cristiano consiste nel rimettere al centro le relazioni tra le persone: curare significa prendersi cura degli altri, come insegna il Vangelo. La parabola del Buon Samaritano assume una nuova dimensione nella società tecnologica e iperconnessa il cui risvolto sono persone «sempre più ripiegate nei propri recinti».

Lo ha ribadito mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, parlando a Mosca martedì 12 febbraio, nell’ambito del «Colloquio» che ogni anno la Chiesa cattolica e il Patriarcato di Mosca organizzano per ricordare l’incontro di Cuba tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill, avvenuto nel 2016. In questa occasione il tema del Colloquio è il «fine vita».

Mons. Paglia ha affrontato il tema «A servizio della dignità dell’uomo, chiamato alla vita».  Citando Humana Communitas, la Lettera inviata da Papa Francesco alla Pontificia Accademia per la Vita in occasione dei 25 anni dalle fondazione, mons. Paglia ha sottolineato come nel «prenderci cura», «dobbiamo occuparci della vita umana  nel senso della qualità umana delle scelte che custodiscono e riaffermano il destino ultimo della vita» ed allo stesso tempo prenderci cura dell’ambiente.  «Siamo chiamati a riscoprire il collegamento tra le relazioni tra noi e i luoghi che ospitano le nostre esistenze».

Dopo aver così inquadrato le sfide a cui rispondere, mons. Paglia si è soffermato sul tema specifico del «fine vita» ed ha sottolineato come la Pontificia Accademia abbia inserito come uno dei punti qualificanti del suo impegno le Cure Palliative.

Le Cure Palliative accompagnano le persone nel passaggio verso la morte; non abbandonano il malato come a volte fa la medicina quando «non c’è più nulla da fare»; non si indirizzano verso un «accanimento terapeutico». Le Cure Palliative dicono che «non abbiamo pazienti, abbiamo persone, con tutto il loro bagaglio fisico, psicologico, culturale e spirituale»; riconoscono «accanto ai malati, la presenza dei familiari e di quanti si operano per la loro salute». Le Cure Palliative «ricollocano la persona sofferente, anche quella che si appresta al passaggio della morte, dentro le sue relazioni fondamentali, familiari e sociali. Non si può morire da soli! L’esperienza dice che la domanda di eutanasia o di suicidio assistito è nella quasi totalità dei casi figlia dell’abbandono sociale e terapeutico del malato. Al contrario, una volta che si sia messa in atto una valida presa in carico multidisciplinare del paziente e coinvolta positivamente la rete di relazioni affettive e professionali è rarissimo trovarsi di fronte a una richiesta di morte».

«Cari amici – ha concluso mons. Paglia – la sequela del Signore Gesù, medico dei corpi e delle anime, ci affida la responsabilità nei confronti delle vite degli uomini e delle donne, soprattutto dei più piccoli e dei più poveri, di oggi e delle generazioni future. È una sfida grande, per la complessità del mondo che viviamo e per la vastità del suo orizzonte. Certo non può essere ridotta a una semplice questione tecnologica. Il cristianesimo può davvero, in questa nostra epoca, aiutare l’umanità intera a cogliere le sfide della vita in una dimensione umanistica e spirituale imprescindibile, essenziale».

Infine mons. Paglia ha fatto dono al Patriarcato di Mosca e alla Chiesa Cattolica della traduzione in russo della Lettera Humana Communitas.

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Mosca, 12 febbraio 2019