Messa crismale

Messa crismale



Carissimi sacerdoti e diaconi,


care sorelle e cari fratelli,


 


la celebrazione della Liturgia crismale è tra i momenti più significativi nella vita della Chiesa diocesana. Da secoli questa liturgia è ricca di una straordinaria bellezza. Ed è divenuta uno dei momenti che meglio manifesta il mistero della Chiesa che si raduna con il vescovo i sacerdoti i diaconi i religiosi e i laici come in un unico corpo. E la cattedrale diviene la nostra casa, la casa di questa Chiesa, il luogo dove siamo allevati. Un luogo santo – e ho voluto che fosse bello e luminoso – perché qui intere generazioni di credenti sono state allevate: quanti hanno ricevuto qui la fede! Quanti qui hanno qui pregato il Signore e di qui sono partiti per comunicare il Vangelo! Le mura di questa cattedrale racchiudono e conservano una storia spirituale lunga di secoli a cui magari non pensiamo neppure ma nella quale siamo tutti immersi. E’ una storia santa: è la storia di una Madre che da secoli non cessa di vivere e testimoniare come può il Vangelo in questa terra. E noi siamo gli ultimi suoi figli: nel suo grembo siamo nati, sotto la sua guida siamo cresciuti, sotto il suo manto siamo stati protetti e in comunione con lei possiamo continuare a testimoniare il Vangelo.


Sento importante esortare tutti noi ad avere una più chiara consapevolezza di avere questa madre. Oggi siamo portati accanto al suo cuore, come siamo attorno a questo altare, perché ne cogliamo l’amore, ne sentiamo i battiti, ne viviamo la forza e l’universalità. Talora ci dimentichiamo di essere figli di questa Madre magari pensando di essere adulti, autonomi, sciolti da essa e ripiegati su noi stessi, sui nostri orizzonti ristretti, sulle nostre realizzazioni, sul nostro piccolo recinto. Il rischio è di avere un cuore ristretto che batte solo per noi stessi o per il nostro piccolo io. Non è che dobbiamo diminuire l’attenzione alle parrocchie o alle comunità, ma è necessario che anche nei luoghi ove siamo inviati il cuore batta con lo stesso ritmo di quello di questa Madre. Il cuore di ciascuno di noi viene modellato sul cuore della Chiesa diocesana. Non a caso, noi sacerdoti siamo incardinati nella Diocesi e non nelle parrocchie. Siamo un unico presbiterio che ha un cuore che pulsa per l’intera Diocesi. Prima di essere responsabili di una parte lo siamo di tutto il corpo. La Chiesa perciò non è la mia parrocchia, non è la mia associazione, non è il mio gruppo, non è la mia realtà. La Chiesa, la mia Chiesa è quella di Terni, Narni, Amelia. Se non rinnoviamo questa coscienza rischiamo di frammentare l’unico corpo di Cristo, di frazionarlo, di scompaginarlo e comunque di non far scorrere nelle nostre parrocchie la ricca linfa della Chiesa. E’ ormai consuetudine che nella liturgia crismale siano presenti non solo i sacerdoti e i diaconi ma anche i membri dei consigli pastorali: questo ci aiuta a crescere come un cuor solo e un’anima sola.


Quest’anno desidero sottolineare tale dimensione diocesana in maniera particolare perché, dando seguito alle indicazioni dell’ultima lettera pastorale, abbiamo davanti a noi un importante appuntamento che ci vedrà riuniti per riflettere sulle responsabilità che come cristiani abbiamo di fronte alla nostra città, alle nostre città. Questo ci chiede di assumere con più evidenza l’orizzonte complessivo della città. Non si tratta perciò di interrogarci solo sulle responsabilità della parrocchia verso il proprio quartiere, ma su quelle dell’intera Chiesa verso la città. Abbiamo bisogno di una visione più ampia, più larga e quindi più responsabile. Va riscoperto quel singolare rapporto che lega la Chiesa alla città. Sappiamo che fin la Chiesa è nata nelle città, basti ricordare le sette Chiese dell’Apocalisse e poi il modo di chiamarle dell’apostolo Paolo. Il loro nome veniva specificato dalle città ove le comunità cristiane vivevano. E c’è una ragione anche umana. La città infatti non è semplicemente la somma delle case o dei quartieri; significa invece una convivenza particolare o organica dei cittadini. Per questo ogni città ha un suo genio e una sua identità, un suo passato e un suo futuro, che si possono anche attutire e persino perdere se non se ne ha cura. Ebbene, la Chiesa, anche la nostra Chiesa, non può vivere prescindendo dalla città nella quale vive. Anzi è stata mandata per annunciare il Vangelo a partire da quella città, avendo davanti il mondo. La nostra Chiesa, o le nostre Chiese quando erano tre distinte diocesi, ha svolto con passione questa missione. Ed è per questo che Terni, Narni e Amelia fanno parte del nostro nome, proprio perché segnano la nostra vita. Non è possibile parlare di esse senza guardare la Chiesa e viceversa.


Ma oggi? Non dobbiamo interrogarci sulle responsabilità che abbiamo di fronte alle nostre città, ai loro problemi, alle loro angosce, al loro futuro? Noi cristiani abbiamo qualcosa da dire agli uomini, ai giovani, agli anziani, ai ragazzi di queste città? Cosa il Vangelo ci chiede fare per aiutarle a crescere in maniera più solidale? Come evitare che si perdano dietro la ricerca spasmodica solo del benessere materiale? Molti altri interrogativi si potrebbero aggiungere e tutti richiedono una risposta responsabile. Ma essa potrà venire solo se coltiviamo una coscienza più ampia che abbraccia appunto l’intera vita delle nostre città. E’ vero, come ci ricordano le Scritture, che la Chiesa ricerca la città del cielo, ma la via per raggiungerla passa attraverso le città della terra, impegnandoci ad edificarle a misura di quella del cielo. Il Concilio Vaticano II ha richiamato l’intera Chiesa a farsi carico “delle gioie e delle speranze, delle tristezze delle angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”. E’ il cammino che ci aspetta nei mesi prossimi.


Questa Liturgia crismale lo illumina. Gesù per primo, potremmo dire, torna a Nazaret, nella sua città e ci insegna come tornarci. Egli vi torna con un’autorevolezza nuova, quella di essere l’ “Unto” del Signore, mandato per adempiere la profezia Isaia. Dice infatti al termine: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura”. Anche a noi è chiesto di adempiere oggi il Vangelo che ci viene annunciato. Sappiamo bene che la Chiesa è Gesù oggi. Essa è unta dello Spirito santo per compiere la missione affidatale da Gesù. E in essa tutti siamo stati unti con l’olio della salvezza, unti nel Battesimo e nella Confermazione e unti nel Ministero Ordinato. Tutti siamo stati riempiti dello Spirito di amore per testimoniare agli uomini la misericordia di Dio. La Chiesa, le nostre comunità parrocchiali, ciascuno di noi, siamo inviati per liberare gli abbandonai dall’abbandono, i soli dalla solitudine, i disperati dalla disperazione, i poveri dall’indigenza, i malati dalla dimenticanza, i deboli dalla indifferenza, i disperati dalla tristezza, gli affamati e gli assetati dalla fame e dalla sete, gli schiavi del denaro del sesso del potere dalle loro catene e a proclamare per la città un futuro di pace.


Care sorelle e cari fratelli, permettetemi che mi rivolga infine ai sacerdoti. Sapete bene il compito particolare nella Chiesa. La Liturgia crismale, carissimi sacerdoti, ci ha raccolti assieme qui in cattedrale, attorno all’altare, che è per noi davvero la nostra Nazaret, il luogo da dove siamo stati consacrati e da dove veniamo inviati. L’unità dell’altare fa di noi un unico presbiterio, un unico corpo. Sento con noi anche don Ciancuti, don Zanzotti e don Marchetti, impediti a venire, ma anche don Sergio che sta in missione a Ntambue e don Stefano in nunziatura nelle Filippine. Anche mons. Franco Gualdrini è vicino a noi; ha risposto al mio invito con un a lettera con la quale esprime il suo amore per questa Chiesa e per ciascuno di voi. Sono presenti anche i sacerdoti che ci aiutano nel ministero pastorale: vorrei che sentiste il calore della nostra fraternità. E ricordiamo anche don Reginelli che quest’anno abbiamo accompagnato al Signore.


Negli ultimi esercizi spirituali abbiamo riflettuto sulla nostra comunione presbiterale, comprendendone ancor più il valore che ha per ciascuno di noi e per la Chiesa. E vedo con particolare gioia che gli incontri nelle vicarie si vanno intensificando: sono un dono per tutti e rappresentano una tappa fondamentale per quella comunione anche pastorale che dobbiamo intensificare. E’ urgente che si irrobustisca una unità di cuori e di intenti anche tra noi. La nostra vita sarà più serena e il ministero più fruttuoso. Non è forse vero anche per noi, anzi soprattutto per noi, quel che Gesù disse ai discepoli: “da come vi amerete riconosceranno che siete miei discepoli”? E’ pieno di significato il fatto che in questa liturgia crismale tutti voi, carissimi sacerdoti, siete chiamati a rinnovare le promesse fatte nel giorno della ordinazione. Le rinnovate davanti a Gesù e all’assemblea dei fedeli. E’ un momento che possiamo paragonare a quel che avvenne nella sinagoga di Nazaret quando “gli occhi di tutti stavano fissi sopra di lui”. Sì, cari sacerdoti, i miei occhi e il mio cuore sono fissi nei vostri occhi, ed anche quelli dei fedeli e dei membri dei consigli pastorali sono fissi su di voi, e direi che le nostre città ci guardano con amore e con attesa, mentre rinnovate la vostra fedeltà a Gesù, buon pastore. Il Signore vi protegga e vi renda testimoni del suo amore. E si possa dire di ciascuno di voi: ecco è tornato Gesù sulla terra. Amen.