L’etica clinica si confronta con la “Samaritanus Bonus”

Ringrazio per questa iniziativa e per questo invito, che sottolineano l’importanza della collaborazione tra esperti che si confrontano con le questioni riguardanti la vita. Il testo Samaritanus bonus si iscrive nella linea del magistero ribadendo quanto ha affermato in molte occasioni, anche in questi ultimi decenni. Basti pensare, per fare un esempio, alla enciclica Evangelium vitae, di cui ricorre quest’anno il 25° anniversario. Nella stessa linea, la Lettera ribadisce la condanna di ogni atto che abbrevi intenzionalmente la vita, sul versante sia dell’eutanasia sia del suicidio assistito.

Da parte mia vorrei solo sottolineare il contributo che la Lettera fornisce in tema di accompagnamento. Il punto di partenza è la parabola del Samaritano, che «non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada».[1] La concezione della medicina che emerge in questa prospettiva a me pare particolarmente importante per il contesto odierno. Ossia come una pratica che si qualifica per il prendersi cura e che si basa anzitutto sul riconoscimento della comune dignità umana, e non su un contratto che stabilisce la fornitura di prestazioni professionali in una relazione tra soggetti moralmente estranei. Nelle fasi critiche che si presentano con l’avvicinarsi della morte, soprattutto in caso di malattie cronico-degenerative, quanto più si prolunga il decorso tanto più impegnativa diventa l’assistenza richiesta. In queste circostanze si fa ancora più urgente l’appello a integrare nella cura la dimensione personale, data la presenza di particolari bisogni a cui si può rispondere solo se si ha la disponibilità a esporsi come persone, oltre che a fornire la propria competenza professionale.

La Lettera esprime anche molto opportunamente la convinzione che tra sofferenza e dignità umana non c’è inevitabilmente contraddizione e allo stesso tempo sostiene l’opportunità di impiegare analgesici ed eventualmente la sedazione, affinché la morte sopraggiunga nella massima pace possibile e nelle migliori condizioni interiori. Viene anche incoraggiata l’attenzione alla dimensione spirituale, sia perché fa parte di una presa in carico complessiva della persona, sia per la sua incidenza nella fase conclusiva della vita. Si tratta infatti di momenti in cui i fondamentali interrogativi di senso della vita si impongono in modo inderogabile e radicale. Di qui la sintonia con la prospettiva delle cure palliative, su cui anche la Pontificia Accademia per la Vita si sta impegnando con un progetto iniziato da più di tre anni e che ha anche portato alla pubblicazione di un libro bianco, ampiamente distribuito già dall’anno scorso, anche oltre la rete degli ospedali e delle università cattolici. E’ singolare che l’unica citazione nella Lettera che non sia riferibile a documenti del Magistero sia proprio a un libro di Cicely Sanders, di cui ben conosciamo il ruolo svolto per il movimento delle cure palliative e fondatrice del primo hospice moderno (C. Saunders, Watch with me: Inspiration for a life in hospice care, 2005).

Accenno appena a due aspetti irrinunciabili per l’etica dell’accompagnamento. Il primo consiste nella costruzione attorno alle persone in fase terminale di una “comunità sanante” (SB, p. 5) che faccia sentire la vicinanza di altre persone che mostrano la forza dei legami umani che neppure la morte distrugge. La morte è anch’essa parte dell’esistenza umana intesa come communitas. E qui si colloca il secondo punto, che nella Lettera si sviluppa dallo spunto evangelico della Madre e dei discepoli che “stanno” sotto la Croce (SB, p. 14). Declinato nel contesto delle cure della persona in prossimità della morte, questo significa l’impegno a non fuggire, a rimanerle accanto in una fase così delicata. Sappiamo che questo atteggiamento si può esprimere in molti modi, ma tutti hanno alla base alcuni atteggiamenti fondamentali. Anzitutto la capacità di un ascolto accogliente, che permetta alla persona malata di sentire la “risonanza emotiva” con cui si offre ospitalità ai suoi sentimenti; inoltre, la disponibilità a mantenere sull’altro uno sguardo che confermi il senso della sua dignità in situazioni che possono essere così imbarazzanti e faticose da comprometterlo gravemente. In fondo questo è quello che ha fatto (a sua volta) anche Gesù sulla croce, condividendo la stessa condanna del malfattore. Gesù gli è stato accanto, sino all’ultimo, senza mai lasciarlo per cogliere quell’ultima preghiera che gli è valsa il paradiso. Davvero per il cristiano resta salda la prima lex – come recita il Diritto – della salus animarum. Quella communitas – Gesù, Maria, Giovanni e le altre donne – sono state accanto al malfattore morente e lo hanno aiutato ad entrare nel cielo di Dio.

[1] Francesco, Messaggio per la XLVIII Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali (24 gennaio 2014): AAS 106 (2014), 114.