Le conquiste dei poveri
di Valerio Castornovo
A soccorrere i poveri è stata per lungo tempo la Chiesa in base a quanto stava scritto nei Vangeli sulla predilezione di Gesù verso i più umili e bisognosi. Tant’è che l’impegno fraterno al loro servizio, costituendo per la Chiesa un cardine fondamentale della propria missione, ha contribuito a differenziare il Cristianesimo, nel corso della sua storia bimillenaria, da altre tradizioni religiose.
Lungo questo filo conduttore si snoda la ricostruzione delle concrete iniziative e modalità con cui la Chiesa ha corrisposto al mandato evangelico nel suo magistero e nella sua azione pastorale, che monsignor Vincenzo Paglia (presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia) ha compiuto attraverso un ampio profilo d’insieme. Si tratta di un’analisi animata da un vigoroso fervore personale, connaturato a uomo di fede qual è il suo autore, e segnata peraltro da un sostanziale equilibrio di giudizio.
Di fatto, questa sua storia della povertà colma, per taluni aspetti, una lacuna in campo storiografico. Sia perché copre l’intero arco di tempo dagli esordi delle prime comunità cristiane sino ai giorni nostri. Sia perché rende conto non solo delle risoluzioni e degli interventi della Chiesa riguardanti l’assistenza ai poveri ma anche dei complessi e alterni rapporti, quanto alla valutazione di un fenomeno come la povertà, susseguitisi fra le istituzioni ecclesiastiche e quelle civili. D’altra parte, il modo di raccordarsi con una gran messa di poveri e di occuparsi della loro sorte, se è stato al centro dell’opera di evangelizzazione e delle riforme religiose interne alla Cristianità, ha costituito una questione di fondo per le autorità pubbliche.
La carità in forme diverse è stata la leva per eccellenza di cui si sono avvalsi il clero e determinate confraternite per aiutare i miseri e gli emarginati, attingendo a tal fine al patrimonio della Chiesa e ai lasciti di vari notabili più facoltosi (mossi da scrupoli religiosi e motivi etici), ma ricorrendo anche alle elemosine di tanti semplici fedeli. Queste risorse, impiegate per cercare di sollevare le condizioni dei poveri e alleviare le sofferenze, sono risultate provvidenziali in determinati periodi cruciali come quelli fra l’alto e il basso Medioevo, in cui alle perenni insidie della fame e delle guerre si aggiunsero particolari calamità naturali, carestie e pestilenze. Non a caso, del resto, sorsero o si affermarono proprio a quel tempo alcuni Ordini religiosi (a cominciare da quello francescano) che patrocinarono la causa dei diseredati all’insegna di un concetto precipuo come quello della solidarietà.
Questo motivo, mentre andò diffondendosi con i movimenti di riforma e rinnovamento della Chiesa, tardò invece molto a trovare udienza al di fuori del mondo religioso. Trascorsero infatti vari secoli prima che la povertà venisse considerata dai governanti meritevole di assistenza. Essa continuò a essere vista, in genere, con sospetto e ostilità, tanto da essere soggetta a dure sanzioni.
Tra il Cinque e il Settecento l’universo dei poveri fu infatti identificato per lo più con quello dei mendicanti e dei vagabondi, quando non associato sovente con le figure dei briganti, e perciò con gente da reprimere e da recludere, o da deportare in lontane colonie. Muovendo dal pregiudizio che si trattasse comunque di persone che praticavano l’accattonaggio per mestiere o che si erano ridotte in miseria a causa di propri vizi e inettitudini, si giunse così a ritenere che l’unico modo per gestire i poveri fosse di utilizzarli attraverso il lavoro forzato, in funzione dell’interesse e della prosperità dello Stato.
Solo nell’età dell’Illuminismo cominciò a farsi strada l’idea che il lavoro libero da costrizioni e assecondato dalle applicazioni della scienza avrebbe potuto risolvere il problema del pauperismo e sorsero inoltre le prime organizzazioni filantropiche in nome di un sentimento umanitario. Fu questo il preludio di un orientamento che, ispirato da principi liberali, portò lo Stato nel corso dell’Ottocento ad affrontare il problema della lotta alla povertà con un proprio specifico indirizzo in materia di assistenza ai più indigenti, sostitutivo o comunque complementare sia alla “carità cristiana” di matrice cattolica che al solidarismo delle associazioni di volontariato protestanti.
L’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII diede poi un notevole impulso alle iniziative del cattolicesimo sociale nell’ambito del proletariato operaio; inoltre, oggi è riconosciuta l’importanza di istituzioni come la Caritas e la Comunità di sant’Egidio per la loro opera a sostegno sia della causa dei diseredati che del dialogo fra le diverse culture e religioni. Note sono infine le motivazioni che hanno spinto papa Francesco a porre, richiamandosi al l’esempio del santo d’Assisi, l’azione a favore dei poveri al centro dell’apostolato della Chiesa.
Sta di fatto che adesso rischia di indebolirsi, per via di una riduzione strutturale dei livelli occupazionali e sotto la pressione di congiunture economiche avverse, ma anche di una crescente lievitazione dei costi dovuta al progressivo invecchiamento della popolazione, quel sistema di Welfare che, dal secondo dopoguerra, ha rappresentato, nell’ambito delle democrazie europee e dei paesi più avanzati del mondo occidentale, il principale antidoto alla povertà e, insieme, uno strumento preminente di protezione sociale e di equità distributiva. Al punto che, mentre nei paesi emergenti e in via di sviluppo si assiste a una graduale riduzione delle più stridenti diseguaglianze sociali, esse riemergono invece nel cuore del Vecchio Continente e al di là dell’Atlantico coinvolgendo anche parte del ceto medio.
Vincenzo Paglia, «Storia della povertà. La rivoluzione della carità dalle radici del Cristianesimo alla Chiesa di Papa Francesco», Rizzoli, pagg.607,
euro 20,00.
(da Il sole 24 ore)